A William Faulkner sembrava così: “Il passato non muore mai. Non è nemmeno passato”. Della permanenza di ciò che è stato in ciò che è, dell’impossibilità di confinare il tempo, lo scrittore americano, Nobel nel 1949, era un intenditore tanto che nei suoi libri sovvertiva l'ordine cronologico del racconto.

Certo, quando la stanchezza non si recupera con una notte di sonno, e il viso lo manifesta, il passato è passato, eccome. Ed essere composti in un sarcofago non è dondolare in una culla. Eppure, se ci concentriamo sui processi interiori, sulla complessità delle concatenazioni, è evidente che davvero il passato non è morto e non è nemmeno passato. L’individuo nostalgico addirittura lo coltiva, ma anche chi è provetto nella saggia arte del carpe diem non sfugge all’inesorabilità delle conseguenze che si inanellano.

Il passato che abbiamo vissuto noi ce lo ricordiamo. Magari con abbellimenti, imbruttimenti, sforbiciate, aggiunte. Nel passato secolare, millenario, non c’eravamo quindi lo trasformiamo per forza in contemporaneo perché lo viviamo adesso, ma ne viene fuori una contemporaneità ancora più indecifrabile della nostra.

L’Homme Armé, intelligente, senza idealizzarlo come paradiso perduto, senza liquidarlo come ingenuo, ci porge un passato in divenire, ricco di suggerimenti: durante i concerti dell’ensemble la capacità di pensare si espande (che avvenga per l’acquisizione della storia attraverso le note?) mentre la bellezza del suono polverizza sia i pensieri spiccioli che i pensieri distruttivi.

Specializzato nello studio e nell’interpretazione della musica antica, soprattutto vocale, L’Homme Armé rivolge particolare attenzione alla musica italiana e all’ambiente culturale della città in cui l’associazione ha sede, Firenze.

Dal 1994, in autunno, organizza I Concerti al Cenacolo, la più longeva rassegna annuale di musica antica in Toscana (se non in Italia). I programmi dell’attuale edizione, che si conclude il 19 novembre, coprono un arco storico molto vasto, spostandosi tra il cuore del Rinascimento musicale al primo barocco fino ai tratti “eterni” della canzone tra Rinascimento e XX secolo. Tre produzioni distribuite nell’area metropolitana fiorentina e il tradizionale concerto al Museo di San Salvi a Firenze, sotto il magnifico affresco di Andrea del Sarto. Il Cenacolo, appunto.

Dal 2017, a settembre, organizza il festival FloReMus, dedicato alla musica rinascimentale, che ospita fuoriclasse da tutto il mondo e che rappresenta un importante progetto artistico per restituire a Firenze, simbolo di arte persino sugli atolli disabitati, il suo ruolo fondamentale anche nello sviluppo del Rinascimento musicale. FloReMus diffonde un repertorio sconosciuto alla maggior parte del pubblico e fa riflettere sull’importanza della consapevolezza delle proprie radici culturali, frutto di numerose influenze che vanno ben oltre la musica stessa.

In questo 2023 L’Homme Armé festeggia i 40 anni dalla fondazione che avvenne in un periodo nel quale non era proprio di moda (via con l’eufemismo!) votarsi alle partiture stagionate. La denominazione L’Homme Armé proviene da una melodia che data forse all’inizio del XV secolo, di origini assai misteriose, usata dalla metà del Quattrocento fino all’inizio del Seicento come cantus firmus di oltre trenta messe polifoniche.

«Non siamo stanchi, anzi!» ha detto il presidente Renato Baldassini. «E quando le crisi si sono presentate sono state benefiche», ha aggiunto il direttore artistico Fabio Lombardo. Entrambi commossi, e sono uomini dallo stile controllato, per il concerto di festeggiamento “40 voci per 40 anni”. Nell’auditorium di Sant’Apollonia a Firenze un insieme di 42 cantanti e 12 strumentisti (numerosi collaboratori dell’Homme Armé, tra cui alcuni fra i migliori cantanti e musicisti italiani) ha eseguito, il mottetto a 40 voci Ecce beatam lucem, probabile rifacimento con testo latino della canzona che Alessandro Striggio compose su commissione del Granduca Cosimo I nel 1561.

Un brano assolutamente straordinario e di rarissima esecuzione. Dieci minuti di beatitudine che sono stati bissati per un pubblico entusiasta.

Nel calendario gioioso dei suoi “Quarant’anni vissuti… polifonicamente”, L’Homme Armé ha inoltre allestito il convegno È ancora antica la musica antica?

L’obiettivo dell’incontro, al quale hanno partecipato Stefano Lorenzetti e Renato Meucci (relatori), Rossana Bertini, Paolo Da Col, Bettina Hoffmann, Gian Luca Lastraioli, Michele Pasotti, Federico Maria Sardelli, Dino Villatico (tavole rotonde), Gabriele Giacomelli e Gregorio Moppi, (moderatori), era quello di provare a fare il punto sullo stato attuale della cosiddetta “musica antica”, termine ormai troppo generico, in vista delle prospettive future, quantomeno in Italia, dei tanti giovani che negli ultimi anni stanno seguendo percorsi formativi in questo ambito.

Al convegno dell’Homme Armé si è parlato di libertà.

Libertà dal mirare all’unica, perfetta, esecuzione; all’unica, perfetta, interpretazione. Libertà dallo sguardo incollato alla partitura, con elogio della soluzione ex tempore (che non è improvvisata, ma sgorga all’improvviso dal sapere), libertà dalla costrizione di suonare tutti di seguito, per dire, i quarantotto Preludi e Fughe del Clavicembalo ben temperato, pietra miliare di Johann Sebastian Bach.

La libertà, dunque: Bartolomeo Barbarino (1568 circa-1617 o più tardi), nato a Fabriano ma detto il Pesarino, fu compositore e cantante. Dava indicazioni solo ai musicisti mediocri, che quelli bravi decidessero da soli. Ma al convegno si è parlato anche della non libertà. Nella didattica, ad esempio, alcuni hanno invocato regole. Ed è utile ricordare che qualche compositore visse nell’incubo che la propria musica venisse “tradita”, lasciando istruzioni minuziose.

Nessuna vincolante certezza e tanti spunti di riflessione, alla fine della giornata di lavori dell’Homme Armé. E senso dell’umorismo. Non è mai iniziatica, l’atmosfera creata dall’ensemble. Stefano Lorenzetti, autore della relazione del mattino Forme dell’esistenza della ‘musica antica’ nel contemporaneo ha suscitato vari sorrisi quando ha detto: «C’è un nuovo tipo antropologico: l’esecutore che legge. È un musicista?».