Carosello ha costituito l’esclusiva via italiana alla pubblicità televisiva per circa un ventennio. La pubblicità televisiva in Italia, infatti, nasce con Carosello che andò in onda sul primo canale RAI, ogni sera, dal tre febbraio 1957 al primo gennaio 1977 e, fu sospeso solo in occasione dell’assassinio di J.F. Kennedy e della strage di piazza Fontana.

Eravamo, però, già in forte ritardo rispetto agli Usa, dove nel 1941, su commissione della Bulova, fu realizzato il primo spot nella storia della tv. Anche l’Inghilterra ci batté sul tempo iniziando a trasmettere la pubblicità in tv nel 1955. In territorio anglosassone fu la Gibbs a dare il via alle danze. Quello italiano non fu però un semplice ritardo cronologico, poiché il gap era anche e soprattutto di natura strutturale. Mentre nel mondo la pubblicità già si sviluppava in spot di breve durata, l’alba della pubblicità italiana vide sorgere filmati della durata di 135 secondi. La RAI “puritana” e “antindustriale” dell’epoca impose una rigida struttura ai filmati di Carosello: 100 secondi di spettacolo (in cui il prodotto non poteva assolutamente essere presente) e 35 secondi per il cosiddetto “codino” commerciale che tutt’al più poteva essere separato in due e dislocato all’inizio e alla fine della scenetta purché non si superasse in ogni caso il limite temporale imposto. Furono fissate regole molto rigide:

  1. In ogni cortometraggio la parte pubblicitaria potrà avere complessivamente una durata massima di 30” pari a m.14 e 28 cm. di pellicola. Per parte pubblicitaria si intende qualunque riferimento, diretto o indiretto, visivo o fonico, al prodotto reclamizzato o alla ditta inserzionista.
  2. Il tempo pubblicitario a disposizione per ogni cortometraggio potrà essere così utilizzato: in un codino finale consistente nella presentazione visiva del prodotto (o di un altro elemento pubblicitario) della durata massima di 30” (pari a m.14 e 28 cm.) con un commento parlato contenuto nel medesimo metraggio (circa 35 parole); all’inizio, nei titoli di testa e in un codino finale, fermo restando che la durata complessiva non potrà superare i 30”.
  3. Come pubblicità redazionale sia visiva che discorsiva nel corso del cortometraggio, purché detta pubblicità risulti chiaramente collegata con la vicenda scenica ed abbia un nesso di logica continuità con il dialogo. Rimangono quindi senz’altro esclusi quei casi in cui il dialogo e l’azione risultino comunque interrotti dalla pubblicità. Per pubblicità redazionale s’intende il riferimento al prodotto reclamizzato (o alla ditta) inserito nel corso del cortometraggio, sia esso diretto (ad esempio citazione fonica o visiva per prodotto) o indiretto (ad esempio azione scenica o dialogo consistenti in una pratica descrizione dell’uso del prodotto e degli scopi cui lo stesso è destinato). Nel caso in cui venga adoperata la forma della pubblicità redazionale, sarà consentito un massimo di 4 riferimenti, ognuno dei quali sarà valutato 5” a meno che non abbia una durata superiore, nel qual caso verrà considerato per il tempo effettivo. Tali riferimenti, con gli eventuali titoli di testa e codino, non potranno in alcun caso superare i 30” fissati.
  4. Indipendentemente dalla forma prescelta per l’utilizzazione del tempo pubblicitario, il nome del prodotto reclamizzato o della ditta inserzionista (o l’uno e l’altro insieme) non potranno essere pronunciati o scritti complessivamente (a meno che le due cose non avvengano simultaneamente) più di 6 volte.
  5. Qualora un qualsiasi richiamo pubblicitario (un prodotto, un cartellone ecc.) venga introdotto nella scenografia, nell’arredamento o nell’abbigliamento, durante tutto il cortometraggio non si potrà fare alcun riferimento, nell’azione e nell’audio, al prodotto o alla ditta. Si precisa che il richiamo pubblicitario di detto tipo potrà essere uno soltanto. In tal caso è consentito un codino pubblicitario di 10” contenente due sole citazioni del nome del prodotto (o della ditta).
  6. In nessun caso il prodotto potrà figurare come protagonista del cortometraggio (marchio di fabbrica o prodotto in movimento).1

Insomma, mentre da noi la pubblicità televisiva occupava tempi “biblici” altrove imperversavano spot di 30 secondi. A tal proposito Falabrino giustamente si chiedeva: “Perché noi così poco brevi? La RAI mascherava la pubblicità da spettacolo, in quanto non considerava consono ai propri scopi (servizio pubblico) trasmettere pubblicità d’interesse privato. La pubblicità appariva ai dirigenti Rai di allora (Guala, Pugliese, Vasari) come il grimaldello dell’americanismo capitalista e protestante, cioè della società edonistica e industriale (consumi e divorzio). Ecco perché venne fuori quella formula ibrida (il divertimento come fine dichiarato e il messaggio pubblicitario come appendice trascurabile).

Carosello fu frutto, dunque, di un’ipocrisia: si accettava di fare pubblicità ma con vergogna e, quindi, la si mascherava da spettacolo, con l’intenzione di attutirne il diabolico impatto sui frugali italiani. Ma la formula che avrebbe dovuto annacquare la pubblicità al contrario la esaltò al massimo, ragioni del successo furono: anzitutto la novità; ma anche la struttura narrativa; l’iterazione imposta dallo schema; l’ancoraggio ai divi del momento; i cartoni animati; la brevità e l’essenzialità dello spettacolo”. 2

Carosello nacque, quindi, dopo molte resistenze da parte della dirigenza RAI dell'epoca che, alla fine, dovette cedere alle pressanti insistenze dei grandi produttori che vedevano nel mezzo televisivo un potente strumento di diffusione pubblicitaria. Ma le culture del periodo, sia quella di sinistra sia quella cattolica, pur con motivazioni diverse, erano fortemente avverse a quest’uso del mezzo e ciò produsse una vera anomalia in campo pubblicitario: uno spettacolo di promozione in cui il prodotto, invece di essere centrale, costituiva quasi un accessorio la cui menzione era giustificata dal fatto di aver offerto, appunto, all'utente un piccolo intrattenimento.

Carosello non era una pubblicità, ma un programma contenitore, il cui contenuto era la pubblicità, e ciò rappresentava una divergenza rispetto agli altri sistemi pubblicitari. Carosello, infatti, contenuto in una cornice-sigla, intervallava a ogni scenetta (inizialmente 3, poi 4, poi 6) alcuni siparietti. Per quanto concerne la struttura di ogni singolo pezzo, oltre ai limiti imposti alla durata v’erano anche forti censure ai testi adottati, e molte erano le parole-tabù che assolutamente non si potevano menzionare. Sul piano del linguaggio, i filmati possono essere classificati in due grandi filoni:

  1. i film d’animazione, che a loro volta si distinguono in cartoni animati e in “passo uno”3 in senso stretto;
  2. i “film dal vivo” (con attori in carne e ossa).

I film d’animazione diedero vita a personaggi totalmente di fantasia che si sono imposti stabilmente nell’immaginario collettivo. Gran parte del suo successo Carosello lo deve ai cartoni animati. Carosello sostituì la favola classica (Esopo, Fedro, La Fontaine, Collodi, Andersen). I film dal vivo erano invece veri e propri spettacoli, seppure di breve durata, che venivano interpretati dagli attori in auge all’epoca.

Ciò che probabilmente più d’ogni altra cosa contraddistinse, e soprattutto rese appetibile Carosello, fu la sua notevole portata economica. Ogni ciclo di spot costava circa 1 milione e mezzo di lire e il contratto, stipulato tramite la SIPRA (la concessionaria pubblicitaria della RAI), implicava anche, al traino, un investimento, per lo stesso prodotto, in pubblicità sui giornali, fatto questo che, nato per tutelare la pubblicità tradizionale, si rivelò poi un potente strumento di finanziamento dei giornali di partito. La produzione era affidata completamente ai privati (fatto questo che, originato dall'impossibilità per gli studi tv di far fronte alle richieste, porterà allo sviluppo, in Italia, di una moderna industria pubblicitaria) ma con la supervisione della SIPRA stessa che poteva decidere sulla messa in onda o meno del ciclo e che quindi svolgeva vere e proprie funzioni di censura.

La prima fase di vita di Carosello coincise con un’epoca di grande espansione dell’economia occidentale e di conseguenza anche dei consumi e della pubblicità. Carosello, in quanto unico strumento pubblicitario a disposizione, divenne rapidamente insostituibile per le imprese italiane, che avevano all’epoca un estremo bisogno di allargare il loro raggio di azione facendo conoscere i propri prodotti. Progressivamente, tuttavia, Carosello cominciò a costruire un vincolo per il mondo aziendale, in quanto insufficiente rispetto alle esigenze di un’economia che cresceva a grande velocità. Così la SIPRA fu costretta prima a ridurre i tempi delle scenette e poi a introdurre la formula dei telecomunicati di trenta secondi in appositi programmi televisivi.

Carosello andava, quindi, incontro alla sua fine, ma più che di omicidio, come fa Marco Giusti,4 occorrerebbe, a mio avviso, parlare di morte naturale. Il programma si conclude, infatti, il 1° gennaio del 77, in un'epoca ormai profondamente mutata rispetto a quella in cui era nato. Quei vent'anni hanno, infatti, effettivamente visto l'affermazione, in Italia, della società dei consumi: quando muore, Carosello è ormai superato dai tempi. Sono aumentati a dismisura i prodotti da pubblicizzare e ciascuno di essi vorrebbe accedere alla fascia di visibilità maggiore, che è quella di Carosello; le altre trasmissioni pubblicitarie, infatti, che cominciano a diffondersi già dal ‘62, godono di molta meno audience rispetto a questo programma, il quale tuttavia, con l'ampliamento della fascia oraria delle trasmissioni, che iniziano, dal '68, alle 12,30, ha in qualche modo perso la sua centralità. Si lamenta, tra l'altro, anche la Rete 2, nata già nel '61 ma cresciuta soprattutto dalla seconda metà degli anni ‘60, che vede la presenza del programma come una sorta di concorrenza sleale nei confronti della rete minore. I produttori, d'altra parte, sono sempre più insofferenti rispetto ai vincoli in termini di tempo offerti da questo modo di fare pubblicità. Esigono una maggiore ripetitività, necessaria in un sistema nel quale ormai la concorrenza è diventata troppo forte per sopportare solo passaggi settimanali per ciascun prodotto. Inoltre fanno sentire la loro voce anche ditte minori che non possono permettersi i costi di Carosello ma che hanno l'esigenza, per sperare di catturare una fetta di mercato, di aumentare la propria visibilità.

Infine i prodotti del mercato internazionale hanno bisogno di un'immagine standard nei diversi paesi e mal sopportano di dover costruire spot particolari per l'Italia. Ma al di là delle esigenze dei produttori, è ormai il pubblico che è cambiato: con l'avvento dell'apparecchio portatile, oltre che del tv color, si moltiplicano i televisori in famiglia e quindi la trasmissione perde la sua centralità nella vita quotidiana degli italiani; non rappresenta più un momento di unità delle famiglie, non raggiunge più la totalità del pubblico che è divenuto, inoltre, più eterogeneo. Si sono create, infatti, al suo interno diverse sottocategorie di consumatori che rappresentano ormai target troppo differenziati per un programma a vocazione universalista come Carosello.

Carosello, dunque, dopo aver condotto la pubblicità dal mondo dei bisogni primari a quello delle esigenze, muore quando il mercato dalle esigenze si affaccia ormai sulla soglia del voluttuario, del superfluo: il compito di innescarne e rafforzarne il desiderio sarà di altri programmi e di altri stili comunicativi.5

Note

1 Giusti M., Il grande libro di Carosello, Milano, Sperling & Kupfer Editori 2005, p. 27.
2 Falabrino G.L., Effimera e bella: storia della pubblicità italiana, Torino, Gutenberg2000.
3 Per “passo uno” s’intendono filmati realizzati con oggetti in movimento; è il caso di: Caballero e Carmencita/Paulista; il pianeta Papalla/Philco, Pippo l’ippopotamo/Lines; Topo Gigio/Pavesi. in tale tipologia rientrano anche altre tecniche lievemente differenti: il “passo uno” realizzato con “ritagli” di pellicola come accadeva per Gringo/Montana, o con l’uso di materiale plastico modellabile che era peculiarità del Carosello del Fernet Branca.
4 Giusti M., Il grande libro di Carosello, Milano, Sperling & Kupfer Editori 2004.
5 Vayola P., La generazione di Carosello. Appunti per un percorso didattico sulla società dei consumi.