C’è questa riflessione che mi frulla in testa da anni ormai. È condensabile in un’unica domanda: perché diavolo gli esseri umani spendono così tante energie per prendersi in giro l’un l’altro? Laddove il “prendersi in giro” comprende tutte le scale di grigio: dal semplice dire falsità su chicchessia fino al raggiro, alla truffa e più in là. In termini energetici è uno spreco madornale, che prende le sue proporzioni reali quando si pensi alla brevità della vita. Sì, perché ciò che chiamiamo “vita”, per quanto possa esserci molesto il solo pensiero, prende senso solamente nel momento in cui la si paragona alla “morte”. Detto brutalmente: la ruota si fermerà, molto prima di quanto si immagini.

Il nostro cervello è diviso in due emisferi: non ci vuole dunque tanto a capire che, al netto delle credenze di ognuno, la nostra esperienza prende senso principalmente attraverso i conflitti. E questo mondo è già talmente pieno di conflitti che non ha molto senso logico aggiungerne a dismisura attraverso l’inganno.

Ma questa è solo l’opinione di un povero storico dell’arte senza denari.

Sì, perché, come dimostra ampiamente l’ottimo lavoro del giornalista Germano Milite attraverso il progetto fufflix.it, è pieno di gente che la pensa all’opposto. Alcuni nomi che popolano il web attuale: Luca Valori, Big Luca, Ale Stark, Thomas Macorig, Nicola Napolitano, Cristian Messinese, Giampaolo Morini, per non menzionare le decine (forse meglio migliaia?) di piattaforme/progetti/scuole che paiono spuntare come funghi tra Facebook e Instagram.

Quello che davvero molesta è la retorica di questi signori, disperatamente incastrata in quella di Gatto e Volpe di collodiana memoria: “dopo tanti anni di lavoro non sei soddisfatto di quello che guadagni? Ti senti un fallito perché a 20 anni non hai ancora i milioni? Per fortuna hai trovato noi! Dacci quelle 4 monete che hai in banca e le trasformeremo in milioni sfruttando l’Intelligenza Artificiale, i cui segreti sono stati a noi disvelati” (dagli alieni?).

Ora dal mio modesto angolo d’osservazione, in cui ho l’assoluto privilegio di incontrare quotidianamente e condividere del tempo con persone letteralmente provenienti dai quattro angoli della Terra, una narrazione del genere provoca grasse risate.

Perché è un po’ come se Filippo Brunelleschi, una delle più grandi menti che questo pianeta abbia mai avuto l’onore di ospitare, anziché costruire l’attuale cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, avesse messo cartelloni tutt’intorno alla cattedrale senza cupola dicendo “volete imparare a fare la cupola per questo chiesone qui? Iscrivetevi al corso ‘CupolaConMigo’ e anche voi maneggerete i segreti per costruire la cupola più grande del mondo!”. Ridicolo… vero?

Eppure è esattamente quello che sta accadendo oggi sul famigerato web, con un livello di diffusione tale da trasformare quelle grasse risate in uno sguardo attento e, almeno per quello che mi riguarda, preoccupato. Possibile che abbiamo perso così tanto la capacità di fermarci a pensare? Sembra proprio di sì. E questa rapidissima perdita è proprio da imputare alla dinamica che il web ha preso.

Ho la fortuna di ricordami perfettamente l’avvento del “www” (da pronunciare ‘vù-vù-vù’) durante gli anni 90 del ‘900 (sì, sono nato nel secolo scorso): per qualcosa meno di 20 anni abbiamo avuto la netta sensazione che il mondo virtuale sarebbe stato la svolta epocale, ciò che ci avrebbe trasformati nel ‘Sapiens 2.0’ ribattezzabile in ‘Homo Technologicus’.

Osservando lo stato attuale delle cose, di sicuro siamo parecchio lontani dal nuovo battesimo: guardando dati e prove alla mano siamo ancora impantanati col più prosaico ‘Homo rincoglionitus’. Sì, perché la dinamica del web attuale ci sta rimbecillendo tutti, separandoci dalla coscienza di quel che stiamo facendo.

Mi spiego proseguendo il summenzionato paragone.

Filippo Brunelleschi aveva un’idea per la sua cupola, della quale andava gelosissimo per il concreto rischio di plagio. Quando fu chiamato a confrontare il suo progetto con gli altri, Vasari ci racconta nelle sue Vite che

[Filippo disse] a’ maestri e forestieri e terrazzani, che chi fermasse in sur un marmo piano un uovo ritto, quello facesse la cupola, che quivi si vedrebbe l’ingegno loro. Tolto dunque un uovo, tutti que’ maestri si provarono per farlo star ritto, ma nessuno trovò il modo. Onde, essendo detto a Filippo ch’e’ lo fermasse, egli con grazia lo prese e datoli un colpo del culo in sul piano del marmo, lo fece star ritto. Rumoreggiando gl’artefici che similmente arebbono saputo fare essi, rispose loro Filippo ridendo che gli arebbono ancora saputo voltare la cupola, vedendo il modello o il disegno. E così fu risoluto ch’egli avesse carico di condurre questa opera, e dettoli che ne informasse meglio i Consoli e gli Operai.

(Giorgio Vasari, Le Vite… 1568, Vita di Filippo Brunelleschi)

Un’idea assolutamente banale quindi: un uovo in equilibrio su di un tavolo. Per niente banale è stata invece la tenacia d’ingegno, di nervi e pazienza per incamminarsi in quella strada mai battuta prima, fatta di tutti i passi necessari e solo parzialmente anticipabili, che hanno portato al risultato finale: uno dei capolavori indiscussi ed indiscutibili dell’arte mondiale. Dove l’ingegno e la volontà di uno, attraverso l’opera di molti (perché da soli non si combina assolutamente niente!), hanno raggiunto un risultato. Abbastanza notevole, direi.

Ecco mi preme dire a tutti che Filippo non è un caso isolato: perché le stesse identiche capacità sono dentro ognuno di voi. In questo preciso momento in cui mi state leggendo. Ma dovete usarle, metterle in campo, far vedere a tutti cosa sapete fare con le vostre azioni.

Certo la tecnologia ci aiuta a costruire prima e con meno fatica la nostra “cupola”, quale che sia quella su cui stiamo lavorando. Ma non ha senso subire il mondo virtuale, facendosi fregare da chi abilmente usa la nostra solitudine davanti allo schermo, dove inevitabilmente saltano i termini di riferimento e l’Homo rincoglionitus prende il sopravvento.

Non esiste, non è mai esistito nè mai esisterà il “Dacci 4 monete e facciamo tutto noi per te”. È solo fuffa… fuffa storica, direi.