Se volessimo in modo elementare definire la luce, potremmo dire che è quel qualcosa di impalpabile che ci permette di vedere, distinguere le cose contrapponendolo al buio vissuto come assenza di luce. Sempre in modo semplicistico potremmo cercare di definire che la nostra percezione di essa è dovuta al nostro apparato oculare che da essa viene colpito. Un modo certamente rudimentale, non scientifico ed empirico. E per quanto proviamo a dare definizioni comprensibili, ci troviamo sempre allo stesso punto.

Eppure la luce esiste, la vediamo, qualcuno potrebbe dire anche che la sentiamo in determinati contesti. È però arduo misurarsi con quello che essa è realmente e quel che con essa è possibile ottenere ed in infiniti campi dall’arte alla scienza. Prima di affrontare uno di questi utilizzi affrontiamo quel che la scienza ci indica. Con il termine luce che deriva dal latino lux – questa la definizione – ci si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d'onda, ossia tra 790 e 434 THz di frequenza. Non siamo sicuri di capire bene di cosa stiamo parlando e rischiamo di peggiorare la situazione se aggiungiamo che questo intervallo di frequenza coincide con il centro della regione spettrale della radiazione elettromagnetica emessa dal Sole che riesce ad arrivare al suolo attraverso l'atmosfera. Ecco, era così semplice!

La spiegazione ci dice anche che i limiti dello spettro visibile all'occhio umano non sono uguali per tutte le persone, ma variano soggettivamente e possono raggiungere i 720 nanometri, avvicinandosi agli infrarossi, e i 380 nanometri, avvicinandosi agli ultravioletti. La presenza contemporanea di tutte le lunghezze d'onda visibili, in quantità proporzionali a quelle della luce solare, forma la luce bianca, ovvero quella che noi distinguiamo come tale, mentre per i colori che noi vediamo dobbiamo ritornare alle frequenze che ognuno di essi ha diverse.

Un’altra cosa che dobbiamo sapere è che la luce, come tutte le onde elettromagnetiche, interagisce con la materia. I fenomeni che più comunemente influenzano o impediscono la trasmissione della luce attraverso la materia sono: l'assorbimento, la diffusione (scattering), la riflessione speculare o diffusa, la rifrazione e la diffrazione. La riflessione diffusa da parte delle superfici, da sola o combinata con l'assorbimento, è il principale meccanismo attraverso il quale gli oggetti si rivelano ai nostri occhi, mentre la diffusione da parte dell'atmosfera è responsabile del colore del cielo. Ne capiamo qualcosa di più ma con molte zone... d’ombra! Mentre nell'elettromagnetismo classico è descritta come un'onda, l'avvento della meccanica quantistica agli inizi del XX secolo ha permesso di capire che la luce possiede anche proprietà tipiche delle particelle e di spiegare fenomeni come l'effetto fotoelettrico. Nella fisica moderna la luce (e tutta la radiazione elettromagnetica) risulta composta da unità fondamentali (quanti) del campo elettromagnetico chiamate fotoni.

Tutto chiaro... nello spettro del visibile? Forse sì o anche no!

Occupiamoci ora di quel che abbiamo premesso. La ricerca sembra aver raggiunto la prova di come un cristallo possa manipolare la luce. Per chi è digiuno di fisica il cristallo lo ricordiamo perché riflette e scompone lo spettro luminoso. Invece un gruppo di ricerca del CNR Isasi, in collaborazione con il Lawrence National Laboratory di Berkeley (California), ha realizzato un microdispositivo in grado di creare “vortici di luce. E qui ritorniamo... nell’oscurità! Seguiamo allora i risultati dello studio pubblicati su Advanced Optical Materials. I ricercatori del CNR Isasi, l’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti di Napoli, in collaborazione con la Molecular Foundry - Lawrence National Laboratory di Berkeley (California), hanno ideato una nanostruttura per la manipolazione della luce che può essere usata nei sistemi ottici di telecomunicazione, nella crittografia, nella manipolazione di particelle e in altre tecnologie laser e quantistiche.

Il dispositivo descritto nello studio è un cristallo fotonico, una nanostruttura, cioè, che sfrutta i fotoni - le particelle della luce - per trasmettere una determinata informazione. “Tra le loro molteplici proprietà, i cristalli fotonici possono supportare particolari configurazioni del campo elettromagnetico in cui la luce, anziché propagarsi nello spazio rimane “confinata” all’interno del cristallo”, la descrizione di Gianluigi Zito coordinatore della ricerca condotta sperimentalmente da Edoardo De Tommasi e Silvia Romano presso i laboratori di nanofotonica dell’Istituto, e con il supporto teorico e computazionale di Vito Mocella e Fabrizio Sgrignuoli. “Tale configurazione - prosegue - è nota come “stato legato nel continuo”, o Bound state in the continuum (BIC): la cosa interessante per le applicazioni quantistiche che sfruttano la luce è il fatto che a tali stati può essere associata una carica topologica mediante la quale comunicare una determinata informazione”.

È a partire da queste premesse che il team è riuscito a realizzare un dispositivo in grado di manipolare la luce attraverso “vortici di luce”, cioè dei fasci di fotoni generati dalla carica topologica che, illuminando opportunamente il cristallo, si “avvitano” un numero di volte ben definite. “Ci sono casi in cui un’onda luminosa può “avvitarsi” su se stessa: questo è uno dei modi in cui possiamo visualizzare un vortice di luce. Tali vortici vengono solitamente generati attraverso sistemi macroscopici, troppo grandi per un potenziale utilizzo pratico, quali lamine opportunamente ingegnerizzate o ologrammi: questo dispositivo invece, è un chip dalle dimensioni migliaia di volte più piccole, prodotto attraverso gli standard di fabbricazione della nanoelettronica”.

Il dispositivo realizzato è in grado di generare vortici di luce caratterizzati da un distinto numero e “verso” di avvolgimenti del fronte d’onda, a seconda delle condizioni di illuminazione. “Questi vortici possono trovare applicazione nella manipolazione di nanoparticelle, consentendone la rotazione in maniera controllata, o nelle telecomunicazioni, dato che al numero di avvitamenti del fronte d’onda è associata una specifica informazione.

Il cristallo fotonico è stato realizzato attraverso un raffinato processo di nano-litografia a fascio elettronico in grado di “scavare” un pattern regolare su uno strato ultrasottile di nitruro di silicio: il team italiano, con la collaborazione dei colleghi della Molecular Foundry, ha progettato e dimensionato il cristallo fotonico in maniera tale da generare vortici di luce il cui numero di avvolgimenti e verso dipende dall’angolo di incidenza e dallo stato di polarizzazione del fascio di luce con cui si illumina il dispositivo, sfruttando le proprietà dello “stato legato nel continuo”.

La consapevolezza dei passi avanti della scienza e della ricerca ci sorregge mentre ancora cerchiamo di mettere ordine, meglio ancora di fare “luce” su quanto di tutto questo abbiamo compreso e su quelli che potranno essere gli impieghi reali dei quali potremmo renderci conto, magari... vedendoli!