Saluzzo è una piccola cittadina della provincia di Cuneo situata all’imbocco della val Po, valle dominata dal Monviso e percorsa da quello che fu per i greci il mitico fiume Eridano. Fu capitale del marchesato omonimo per più di quattro secoli (1142 – 1548) vivendo il suo splendore artistico e culturale soprattutto in epoca rinascimentale con Ludovico I e Ludovico II, quest’ultimo ricordato tra le altre cose per essere stato il promotore del primo traforo alpino, il Buco di Viso, utile per migliorare i commerci con il limitrofo Delfinato. C’è in Saluzzo vecchia, a due passi dalla gotica chiesa di San Giovanni e dal suo superbo chiostro, una stradina denominata Salita Malacarne che congiunge via Valoria Superiore e Salita al Castello: l’uomo a cui è intitolata fu Vincenzo Malacarne (1744 – 1816), ai tempi notissimo chirurgo e figlio di Giuseppe, anche lui medico sotto il regno di Sardegna.

Non avendo in prima battuta ottenuto la qualifica di ripetitore di anatomia nel Regio Collegio delle province di Torino, Vincenzo prosegue la sua vita a Saluzzo per poi ottenerla qualche anno dopo e iniziare le sue osservazioni sui pazienti dell’ospedale San Giovanni. Ne nacquero molte e disparate pubblicazioni sul cuore, sulle meningi e sull’asfissia prodotta da bevande fredde dopo un ‘violento riscaldamento’, alcune per altro edite dal suo amico saluzzese di vecchia data Gianbattista Bodoni.

Esercitò la professione sia a Torino sia ad Acqui Terme, dove si occupò anche degli stabilimenti termali studiandone gli effetti terapeutici sull’uomo, utili a suo dire per la cura delle ernie. A proposito della sua permanenza ad Acqui si possono ricavare numerose informazioni sul carattere di Malacarne da alcune lettere autografe conservate nella Biblioteca Civica di Saluzzo che ci descrivono aspetti quotidiani della vita nel paese piemontese: “Piscia contro un muro, e tutt’Aqui non va un quarto d’ora, che lo sa.

Non v’è armonia” scrive a un destinatario non precisato dopo il 1775. E ancora a proposito del suo dovere, come Professore, di partecipare alle processioni religiose: “Assediato dalle confraternite in un angolo, io mi sono cacciato in una porta, o cortile per lasciar passare tutta la processione, e goderla con una certa Mad.a Caita vedova, e di assai passabile apparenza, alcuni mi vedono e venerdì scorso una Persona di rango, nota a Mr. Baudery mi abborda, e seccamente mi dice “Sig.re Malacarne, Le abbiamo fatte aver le Patenti da Prof.re acciocché goda de’ privilegi de’ Professori, ma V. S. deve anche averne i disturbi con trovarsi alle funzioni dove tutti i Professori si trovano, solo?”. Molte altre simpatiche confidenze private saltano all’occhio dalle lettere rendendo meno austera l’immagine che ci si può fare di un chirurgo di fine settecento.

Capì tra i primi l’importanza dell’anatomia comparata e si distinse altresì per le ricerche condotte sul cervello pubblicando nel 1776 La Nuova esposizione della vera struttura del cervelletto umano e, nel 1780, l’Encefalotomia nuova universale. Sui libri di anatomia odierni spicca ancora la ‘piramide di Malacarne’ – conosciuta anche come ‘eminenza crociata di Malacarne’ – una piccola porzione del verme cerebellare inferiore individuata per la prima volta dal chirurgo saluzzese. Si dedicò poi allo studio del cretinismo (chiamata anche ‘stupidità endemica’ nei suoi scritti), patologia che compariva con frequenza nelle vallate piemontesi, individuandone le cause non in carenze alimentari come si credeva ma in anomalie craniche (ipoplasia dei lobuli e delle lamelle del cervelletto).

Nelle famose lettere anatomico-fisiologiche al biologo svizzero Charles Bonnet – di tutt’altro tono rispetto a quelle indirizzate agli amici – emergono due aspetti interessanti sulla concezione anatomico-fisiologica del Malacarne: il primo, di carattere più scientifico, riguarda l’idea della tracciabilità di una scala evolutiva degli esseri viventi derivante dalla maggiore complessità dell’encefalo; l’altro, più filosofico, si sposa con lo spirito religioso del Malacarne che gli fece anche vestire per breve tempo l’abito domenicano. Concerne la non ammissione di un recettore organico preciso per l’anima, la quale dovrebbe dunque essere in contatto con tutte le cellule nervose indistintamente.

Effettivamente l’idea di un’anima nella sua completezza in grado di interagire equamente con tutte le cellule utili in qualche modo a formare la nostra coscienza è, nella sua originalità, molto differente da altre precedenti che la volevano ubicata in una zona precisa come ad esempio nel chiasma ottico per Leonardo da Vinci o nella ghiandola pineale per Cartesio. In un’altra lettera (29 agosto 1792) questa volta indirizzata all’abate Carlo Denina, illustre umanista revellese, espone una sua teoria rivoluzionaria, in parte precorritrice della craniologia, concernente l’utilizzo di uno strumento da lui inventato (il cefalometro) utile per misurare l’attività elettrica intracerebrale. Dal 1794 sarà docente di istituzioni chirurgiche e ostetricia all’Università di Padova continuando febbrilmente a pubblicare studi non solo dedicati al cervello ma anche alla teratologia, iniziando la classificazione dei vari tipi di ‘mostri’ umani, e alla traumatologia (anche in questo caso distinguendosi come precursore).

Si sarà notato che l’uso di termini come cretinismo, stupidità, mostro non dava nel XVIII secolo molto spazio agli eufemismi o alle perifrasi, tanto in voga al giorno d’oggi per mantenere un decoro inclusivo utile a non ledere la sensibilità dei più fragili; non intendo calcare la mano ma mi pare interessante citare ancora i Dialoghetti per le levatrici idiote (1808): il titolo forse è un po’ diretto ma il contenuto è assai utile per dare alle operatrici maieutiche del tempo qualche dritta pratica per intervenire nel migliore dei modi durante casi di parto con situazioni impreviste.

Insomma, una carriera medica ineccepibile votata alla ricerca e alla scienza; peccato che nella Storia di Saluzzo di Carlo Fedele Savio, nel capitolo dedicato proprio al Malacarne, emerga un altro aspetto, molto meno nobile e non così evidenziato da altre biografie, dell’illustre saluzzese: quello della sua inclinazione a falsificare le informazioni e le citazioni delle sue pubblicazioni.

Fine prima parte