Rita Urso è lieta di presentare How to ask better questions?, la prima personale in Italia di Julie Béna.
How to ask better questions? è un interrogativo che non prevede una risposta ma il ripensamento dell'atto stesso del domandare.

E' una formula impiegata nel decision making, attività centrale nel management contemporaneo, ovvero quell'insieme di processi cognitivi risultanti dalla selezione di un'azione tra diverse possibilità alternative.
Gli anni in cui la disciplina del decision making si intensifica e si afferma, e i diversi campi del sapere cercano di razionalizzare ciò che porta all'atto del decidere, sono i medesimi in cui le strategie globali legate ai beni di consumo producono oggetti che sembrano favorire una progressiva esautorazione dell'utente dal pensare.

Di questo fenomeno, sempre più pervasivo, ne è esempio emblematico la Magic 8 Ball, un giocattolo predittivo commercializzato nel 1997 e composto da una sfera per biliardo che, se stimolata con le mani, produce una serie di risposte o soluzioni corrispondenti presumibilmente al volere inconscio di chi la agita. Oggetto di conforto dalle proprie insicurezze più che di emancipazione, la Magic Ball viene abilmente decostruita da Julie Béna. Le quindici balls pensate dall'artista e disposte nello spazio espositivo formano una poesia visiva fatta di diversi imperativi assurdi e paradossali.

La lettura delle sfere viene interrotta dalle voci provenienti dal piano superiore della galleria dove Miss None, un personaggio dalla parrucca rossa privo di identità, dialoga animatamente con Mr Peanuts, la mascot leggendaria della snack food company americana Planters. In una conversazione burlesca e caricaturale, che richiama i toni del teatro dell'assurdo per lo sfondo drammatico che si cela dietro un apparente "legerité", i due personaggi discutono il paradigma dell'ubiquità.

Nell'assenza di profondità della rappresentazione contemporanea e nei tentativi di guidare il destino, il successo e l'opportunità, giace il desiderio di essere ovunque e in nessun luogo allo stesso momento.
Sullo sfondo di questo lavoro, Julie Béna costruisce un ambiente site-specific fatto di oggetti liminali tra arte e design che diventano protagonisti di una narrazione surreale in un ambiente di soglia che mette in discussione la percezione dello spazio.

Una serie di collage stampati su tessuto ricreano una scenografia che, con riferimenti agli interni e alla spazialità di De Chirico, restituiscono uno sguardo voyeristico sulla cultura domestica contemporanea.

L'universo di Julie Béna è fatto da un continuo rimescolamento di citazioni provenienti dal mondo che ci circonda, quello degli spazi e degli interni della cosiddetta città generica, caratterizzata da un eclettismo saturo di forme, di superfici e di "Oggetti banali"1. Attraverso la delocalizzazione di immagini, materiali e linguaggi, l'artista confonde i registri tra cultura classica e cultura kitch, in un continuo altalenarsi di valorizzazione e de-valorizzazione della produzione artistica e letteraria.

I suoi ambienti sono simulazioni di realtà materiali autonome e svincolate. C'è in questi ambienti talvolta alienanti, che richiamano una certa atmosfera di sapore cinematografico americano anni Novanta, l'intenzione di far compiere al visitatore un salto nell'inconscio della cultura materiale e post-digitale e circondarlo con forme fatalistiche, metafisiche, svuotate di senso ma sempre accompagnate da una forte presenza umana.

La mostra è accompagnata da una pubblicazione che prosegue il progetto editoriale della galleria. Da settembre 2014 Artopia ha modificato i suoi spazi espositivi con l'intento di intraprendere un nuovo percorso ancora più dinamico e attento alla realtà attuale. Dall'esperienza maturata negli anni è nata la galleria Rita Urso che intende presentare e promuovere alcuni tra gli artisti più interessanti nel panorama italiano ed internazionale.

1 "Si va verso una nuova odissea umana, che include e accetta il senso della catastrofe e i valori della cultura sommersa, il kitsch e il banale", Alessandro Mendini, Elogio al kitsch in Progetto infelice, RDE, Milano 1983

Julie Béna (nata in Francia nel 1982) lavora sulla costruzione di ambienti che traggono ispirazione dal mondo della letteratura, del teatro, del cinema e della cultura popolare. Julie Benna ha studiato presso Vil- la Arson a Nizza e presso la Gerrit Rietveld Academie ad Amsterdam. Tra le mostre personali: Nail Tang, Galerie Joseph Tang (2015-Upcoming); Destiny, Galerie Edouard Manet, Gennevilliers (2015); T&T consortium, you're already elsewhere, FIAF, New York (2014); The Song of the hands, 100% Transparent, New-York (2013) and Das ReisebuH ro, Display art projects, Parigi (2012). Tra le mostre colletive: Rideaux / blinds, IAC, Villeurbanne, (2015); Late capitalism, it's like, al- most over, The Luminary, St Louis, Missouri (2014); Things, Design Cloud, Chicago, (2014); La Me thode Jacobson; Nouvelles vagues, Palais de Tokyo, Parigi (2013) and Oracular Vemacular, MAMO, Marsiglia (2013).

Julie Béna ha realizzato progetti performativi presso Lives Works, Centrale Fies (2014); Palais de Tokyo, Parigi (2014); PERFORMA In 100% Transparent, New-York (2013); Fondation Ricard, Paris (2012) e la Fonderie Darling, MontreHal (2011) dove ha presentato il primo atto del progetto a lungo termine Have you seen Pantopon Rose? che eH poi proseguito presso Fahrenheit, Los Angeles (2014). Nel 2012-2013 ha preso parte a le Pavillon, il laboratorio di ricerca del Palais de Tokyo.

Silvia Franceschini (nata in Italia nel 1985) è curatrice indipendente e ricercatrice. E' coautrice di Global Tools 1973-1975: When Education Will Coincide With Life una monografia su Global Tools, un progetto di educazione sperimentale iniziato dai protagonisti dell'Architettura Radicale (Salt e-publishing, 2015). Tra i recenti progetti curatoriali: Sources Go Dark (FUTURA, Praga, 2015); Global Tools.1973-1975: Towards an Ecology Of Design (Salt, Istanbul, 2014); The Way of Enthusiasts ( V-A-C Fondazione La Biennale di Venezia — Architettura, Programma Parallelo, Venezia, 2012); Mazama Recidency Program (Mazama, USA, 2011). Ha lavorato come assistente curatore per ASAP - Archive for Spatial Aesthetic and Praxis - e per il Dipartimento di Design del Centre Pompidou. Silvia Franceschini fa parte del team curatoriale di The School of Kyiv, Kyiv Biennale of Contemporary Art 2015 diretta da Georg Schiillhammer e Hedwig Saxenhuber. Si è laureata al Politecnico di Milano dove sta svolgendo un dottorato di ricerca in teoria dell'arte e del design. Ha frequentato lo Strelka Institute for Media, Architecture and Design di Mosca e ha preso parte al 6th Gwangju Biennale International Curator Course.