Dal 4 febbraio al 17 aprile 2017, Merano Arte ospita la mostra collettiva Exhibition paintings, curata da Christiane Rekade, direttrice artistica di Merano Arte, che raccoglie le esperienze di sei artisti internazionali - Charles Avery, Paolo Chiasera, Martin Pohl, Dorothy Miller, Lea von Wintzingerode e Amelie von Wulffen - accomunati dall’interpretazione del medium pittorico quale potenziale per ampliare il concetto stesso di esposizione, il rapporto tra curatori, pubblico e artisti, e indicare delle alternative alla situazione attuale. La rassegna nasce dalla considerazione che negli ultimi anni un numero sempre maggiore di artisti ha riflettuto sul medium pittorico, o meglio sui possibili approcci ad esso. Tuttavia, sempre più autori vedono nella pittura una possibilità di emancipazione dalle condizioni lavorative imposte dal presente. Condizioni che, all’interno della scena espositiva attuale, vengono sempre più determinate da un sistema dell’arte mutevole e assoggettato alle regole del mercato.

Mentre Charles Avery, Paolo Chiasera e Martin Pohl concepiscono nuove mostre che “si attuano” esclusivamente sulla tela, Dorothy Miller, Lea von Wintzingerode e Amelie von Wulffen ricercano all’interno del proprio lavoro, quei meccanismi sensibili e mutevoli che entrano in atto nel rapporto tra l’artista e il proprio pubblico.

Dal 2010, Paolo Chiasera (Bologna, 1978) lavora a un ciclo di opere intitolato exhibition paintings, ovvero delle mostre che trovano realizzazione esclusivamente sulla tela.

Chiasera ha curato egli stesso le proprie exhibition paintings, o le ha concepite in collaborazione con un co-curatore. In questo modo le esposizioni sono scevre dai vincoli tradizionali cui è assoggettato il processo di sviluppo di una mostra: sono libere nella scelta della sede espositiva e le opere possono essere esposte indipendentemente da costi assicurativi o di trasporto e da condizioni climatiche, politiche o di conservazione.

Paolo Chiasera riprende e sviluppa quanto scritto da André Malraux nel 1947 nel saggio Musée Imaginaire; ad esempio, l’opera The Art of Conversation presenta una mostra dipinta, in cui lo stesso Chiasera e Andreas Schlaegel hanno realizzato alcuni nuovi lavori che esistono esclusivamente in forma dipinta.

Allo stesso modo il britannico Charles Avery (Oban, 1973), nella serie di opere It Means, It Means! (2013), ripensa il concetto di Musée Imaginaire e l'esposizione quale luogo di produzione artistica e curatoriale. It Means, It Means! è una mostra composta da una serie di disegni ospitata al "Museum of Art" sull’isola immaginaria di Onomatopoeia. In occasione del primo evento, Avery ha invitato il curatore londinese Tom Morton a collaborare in veste di guest curator.

La serie It Means, It Means! non rappresenta solol'allestimento espositivo, ma offre anche uno sguardo sulla reazione del pubblico. Così nei disegni si possono vedere gli isolani mentre osservano opere di artisti che vanno da Kazimir Malevich a Sol Lewitt per arrivare a Tino Sehgal.

In contrapposizione ai musei fittizi di Avery, gli spazi espositivi delle opere del sudtirolese Martin Pohl (Tarres, BZ, 1961) si rivelano come vere e proprie sale museali: negli ambienti bianchi, realizzati con precisione tale da ricordare i rendering computerizzati di specifici musei e istituzioni, l’artista inserisce le proprie opere non ancora realizzate. Talvolta questi suoi dipinti gestuali vanno ad invadere copiosamente i pavimenti, le pareti e persino i soffitti delle sale.

Se per Chiasera, Avery e Pohl la tela è lo spazio di realizzazione delle mostre, il libro diveniva la cornice del Musée Imaginaire. Attraverso le possibilità della fotografia e la facile riproducibilità delle opere d'arte, il catalogo vale quale luogo espositivo flessibile e trasportabile, ma anche quale fonte di documentazione. Così la serie di opere The Americans è composta da 13 copertine di cataloghi d'arte dipinte. Tali copertine sono state realizzate da un artista anonimo, celato sotto lo pseudonimo di Dorothy Miller, una delle personalità più influenti nello sviluppo dell'arte contemporanea negli Stati Uniti, che è stata curatrice al Museum of Modern Art di New York dal 1934 al 1969. Questi lavori, che si riferiscono alla serie di esposizioni The New American Painting, curate dalla stessa Dorothy Miller e ospitate, tra il 1940 e il '60, in otto paesi europei, rivelano il metodo comunicativo delle varie rassegne (le diverse lingue dei titoli ne rappresentano il tragitto compiuto), fornendo contenuti circa il modo nel quale esse furono viste e interpretate.

Nel fatto che molti artisti tornino a ricorrere alla pittura quale mezzo espressivo, può essere letta l'aspirazione a opporsi alla velocità che altrimenti connota il mondo dell'arte contemporaneo.

Anche Lea von Wintzingerode (Bayreuth, 1990) riconosce nella pittura una possibilità di reazione alla leggibilità veloce e alla rappresentazione digitale dell'arte. Nel proprio lavoro la giovane artista tedesca approfondisce il rapporto tra l'osservatore e l'immagine. Così i contenuti visivi spesso rappresentano anche potenziali situazioni espositive, oppure momenti di una performance nel contesto della quale l'autrice si include in veste di osservatrice. Lea von Wintzingerode mantiene le esperienze di una mostra in una collocazione sperimentale, che collega con un'installazione sonora di frammenti delle proprie composizioni musicali al pianoforte.

Amelie von Wulffen (Breitenbrunn, 1966) impiega la pittura e il disegno per registrare con autoironia e gusto per l'esagerazione un “quadro di mostre” che normalmente non vengono trattate: nel suo fumetto, composto da disegni a matita abbozzati, Amelie von Wulffen descrive le paure e le fantasie dell'artista e il suo (soprav)vivere nel mondo dell'arte. Am Kühlen Tisch (2013), rappresenta, con ispirazione parzialmente autobiografica, alcune scene durante le cene dopo le inaugurazioni, dominate dallo stress di doversi sedere al tavolo giusto con la gente giusta, di ricerche del proprio nome condotte di nascosto su Google e delle frasi che vengono scambiate in occasione dei vernissage. Von Wulffen combina il fumetto con un'installazione costituita da un ritratto dell'artista di grandi dimensioni, nature morte e sedie scolastiche dipinte.