Ormai piu di un quarto di secolo fa, nel 1990, i miei carissimi amici Rudi Fuchs e Johannes Gachnang prepararono una mirabile esposizione di opere pittoriche, di tecniche miste e di disegni di Arnulf Rainer – circa centocinquanta in tutto nel Castello di Rivoli. Non si erano mai visti in Italia così tanti lavori del Maestro austriaco se si eccettua una prima apparizione delle sue opere nella XXXVIII Biennale di Venezia del 1978 e successivamente nel 1986 nell'ampia mostra personale nell'Abbazia di San Gregorio a Venezia.

L'arte di Rainer, d'altronde, ha riscosso un evidente interesse in Italia se si considera che dopo quelle importanti e significative sue mostre, egli ha esposto con nuove personali sia nel Museo di Arte Moderna di Bolzano (1995) che nella Galleria d'Arte Moderna di Bologna (2001) con la direzione di Peter Weiermair. Meno frequenti sono state le apparizioni della pittura di Rainer in gallerie private o in mostre collettive italiane così che questo episodio romano si distingue e si qualifica nel consentirci di rivedere e apprezzare il lavoro di un protagonista assoluto dell'arte della seconda meta del XX secolo e di uno dei piu originali pittori europei. Rainer, infatti, calca la scena artistica precocemente sin dagli anni Quaranta, per partecipare, appena ventenne, all'Hundsguppe (Gruppo del cane), 1950, distinguendosi per il suo surrealismo visionario e per il proprio carattere irruento. Peraltro, anche i suoi rapporti con il mondo dello studio e accademico artistico si rivelano, sin dall'inizio, incompatibili per il suo temperamento. Dopo l'esperienza surrealista culminata nella optische Dezentralization (1951) e il deludente incontro con Breton a Parigi, Rainer esperimenta la pittura a occhi chiusi (Blindmalerei) e automatistica, con la serie delle Zentralizationen.

L'incontro con il religioso Otto Mauer, che nel 1955 apre a Vienna la galleria piu influente per l'avanguardia internazionale, lo coinvolge in studi sul misticismo, che approdano alle prime Photoposen di se stesso. Intanto tra il 1953 e il 1964 egli si dedica alle Übermalungen, opere in cui ricopre con stesure pressoche monocrome dipinti altrui o suoi. Suggestiva, in tale frangente temporale (1957-57), la quindicina di opere a forma di croce, i Kreuze, su masonite di diverse dimensioni.

Invitato da Udo Kultermann alla mostra “Monochrome Malerei” presso lo Stadtische Museum di Leverkusen, si incontra con gli italiani Lo Savio, Fontana, Castellani e l'americano Ad Reinhardt, mentre si accinge ad aprire vari studi a Berlino, Monaco, Colonia, chiedendo e ottenendo da Vedova, Mathieu e Vasarely le loro opere da ricoprire con la propria pittura. Fa esperienze di droghe allucinogene e realizza disegni figurativo-allucinatori. Tra il 1962 e il 1968 Rainer concorre all'affermazione dell' “Aktionismus” viennese assieme a Nitsch, Muehl, Brus e Schwarzkogler elaborando premesse enunciate da Kubin, Schiele, Kokoschka e dalle ricerche sui processi psicofisici e stati emozionali della psicanalisi freudiana. Nel 1968 realizza le prime fotografie del proprio viso in preda a smorfie e atteggiamenti del corpo, su cui disegna e dipinge sia accompagnando che profanando con cancellazioni i suoi stessi gesti. Maturano intanto importanti mostre nei musei di Vienna, Amburgo, San Paolo del Brasile e la partecipazione nel 1972 per la seconda volta, alla Documenta di Kassel.

Ha inizio il suo lavoro con la pittura stesa con le dita delle mani, giungendo con alle Handmalerai e le Fingermalerei nel 1974 alla mostra presso la Kunstraum di Monaco. Con una rilevante indagine e riflessione sul tema della morte , lavora alle Totemwaschen, ai Leichegesichter (volti di cadaveri) e alle Mumien, aprendo da pioniere la strada ad artisti come Damien Hirst e altri. Alla decade degli anni Settanta appartengono numerose opere in mostra a Roma, tra le quali si distinguono Kopf, 1970, una matita grassa, pastello e mina di piombo su carta, e le tecniche miste su fotografia montate su alluminio Hang, 1973-1976, Weicke Ecke, 1973-1976, Zacke ander Kehle, 1973-1976, ma anche Eleganter Rücken, 1973-1976, Binkel, 1975 e Ohne Titel (Fingermalerei), 1973.

Negli anni Ottanta, dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia 1978, Rainer acquista dei grandi atelier nell'alta Austria e in Baviera, nei quali elabora simultaneamente numerose opere e diversi cicli di Handmalerei e Fingermalerei riprendendo temi religiosi come i cicli Kreuze e Christusdarstellungen (Rappresentazioni di Cristo).

Tra il 1981 e il 1986, dopo aver ricevuto la nomina a Professore dell'Accademia di Belle Arti di Vienna e altri rilevanti riconoscimenti a Berlino e Francoforte, lavora sia alla serie di disegni di Hiroshima (1982) sia alla serie di dipinti Kreuze e Totenmasken (1983), sia infine alle tecniche miste su fotografia di stampe di Goya serie n. 16 (1983), Goya serie n. 23 (1983) e Goya serie n. 64 (1983). Inoltre si dedica ai pastelli, matite grasse e olii su riproduzioni incollate su legno come Cannibalia VI, Pithon Bogen, e Schlange im Feuer, tutti del 1986. Questi anni si riveleranno di pieno successo della sua opera con mostre in prestigiose sedi come il Centre Georges Pompidou (1984) e acquisizioni del suo lavoro da parte di musei come il Solomon R. Guggenheim e il MoMA di New York.

L'assegnazione nel 1989 del premio dell'International Center of Photography di New York per la sua opera di artista che ha fatto uso nella pittura della fotografia, associata ad altri media, suggella opportunamente un arco di lavoro durato trent'anni. Rainer inizia a dipingere su preziose pubblicazioni e libri del Sette e Ottocento, avviando nel contempo una collezione di opere a stampa molto rare, che non disdegna dall'adoperare come supporti della sua pittura. In una felice occasione presentatasi negli anni Novanta, ho potuto fare visita ad Arnulf Rainer nei suoi numerosi atelier. Egli nel ricevermi mi ha condotto in una localita di campagna distante chilometri da Vienna di cui non ricordo il nome. L'esperienza resta indelebile per come egli, con una piccola auto utilitaria, mi conduceva febbrilmente da un edificio all'altro dove potei osservare numerose opere in fase di elaborazione. Rainer mi indicava dove era deciso a intervenire ancora su ognuna di loro e mi manifestava la sua insoddisfazione, la necessita di modificare decine di tele gia iniziate, libri aperti pieni di preziose tavole incise da illustri artisti, tra cui Piranesi, e sulle quali egli aveva gia tracciato numerosi segni e impronte, lasciandomi nello stupore per quelle 'profanazioni trasformative'. Mi venivano alla mente le sue dichiarazioni lette in precedenza e mi resi conto di trovarmi nel cuore delle sue stesse evocazioni: «Nel 1979 riuscii a trovare in località di campagna (nell'alta Austria e in Baviera) degli studi spaziosi, che mi consentirono di allargarmi e di cominciare una consistente serie di dipinti in cui stendevo il colore con i piedi e con le dita delle mani. Dopo aver disposto molti cartoni sul pavimento e calpestato ora l'uno or l'altro, per lasciare il colore come untume, impronte e tracce, sono giunto a un modo di dipingere molto fisico, che ha rappresentato qualcosa di paragonabile al momento più alto di un principio creativo, accompagnato da lotta, crisi ed esaurimento fisico e che dunque ineriva a una gestualità espressiva psicofisica. A furia di curvarmi, piegarmi e contorcermi migliaia di volte, il risultato fu che schiena e articolazioni delle braccia presero a dolermi terribilmente. Le mani erano sempre sporche e ferite, i ginocchi escoriati. Dopo breve tempo potevo piegarmi e genuflettermi solo sentendo dolore.

Non v'è dubbio che un simile logoramento fisico ha reso impossibile questo genere di pittura- Ma dal momento che dispongo sempre di un gran numero di lavori in sospeso, i quali attendono di essere migliorati e mi disturbano molto per il loro aspetto ottuso, mi preoccupo di dare loro uno sviluppo: distruggerli equivarrebbe a una capitolazione. In questa serie ho disimparato cosa sia la normale pittura con il pennello. Finora hanno fallito le nuove tecniche con tutta la loro possibile nuova strumentazione, come gli utensili da cucina.

Resta la pittura con i piedi, con cui è iniziata la maggior parte di questi dipinti effettuati con le dita.

(Rainer)

Durante quella straordinaria visita, di fronte all'inquietudine che pervadeva l'animo di Rainer, mi fu chiaro di trovarmi al cospetto di uno dei piu intensi e straordinari artisti la cui somiglianza emotiva e di energia riversata nell'opera dichiarava la sua autenticita e la sua forza poetica. Per qualche oscura ragione, suscitata dalla sua tensione, mi e parso di percepire che egli - come Francis Bacon e Alberto Burri prima di lui, o Jannis Kounellis, analogamente estatico nell'atto artistico - abbia scelto l'impresa di una pittura segnata dal rischio speleologico di regioni del pensiero la cui latitudine paventa possibili derive senza ritorni e l'affezione melanconica di chi ha 'visto' profondamente nel buio e nella lontananza, nell'assenza e nel silenzio, nell'annegamento e nell'accecamento epocale.