Come spiegare a mia nonna che uno squalo sotto formaldeide è un’opera d’arte e vale 12 milioni di dollari? E come farle avere un’idea di cosa può essere il valore di 12 milioni di dollari?

Sono in giardino sotto il sole di aprile; poco dopo si siede vicino a me mia nonna con i suoi libri e mi chiede: “Cosa stai leggendo?” Le rispondo un vago: “Di arte”. Mi allunga la mano e mi dice: “Leggi qua”. Prendo quello che dalla forma è un santino, lo leggo e le rispondo che le parole sono molto belle.

Non ho potuto contraccambiare il gesto offrendole quello che stavo leggendo io. Come spiegarle che uno squalo sotto formaldeide è un’opera d’arte e vale 12 milioni di dollari? Proprio a lei che mi aveva appena raccontato i suoi ricordi di un tempo passato dove per campare si tagliava l’erba e si portava a pascolare la vacchetta, tempi in cui la miseria era il denominatore comune ma che, a detta sua: “Si stava bene, perché ci si voleva bene”. Ci ho pensato un po’ e mi è davvero dispiaciuto non coinvolgerla in quella che è la materia del mio studio e del mio lavoro. So, in cuor mio, che saprebbe comprenderne il contenuto, che, per quanto “astratta”, sarebbe in grado di capire l’arte contemporanea; se è in grado di leggere e interpretare gli scritti religiosi è in grado di trovare un senso anche all’arte contemporanea... che poi, tutto sommato, non è così distante dal senso di fede che si prova di fronte ad un oggetto sacro, l’arte non è poi tanto diversa dal mistero della creazione. Il parallelo mi fa riflettere e mi convinco che posso spiegare l’arte contemporanea a mia nonna, classe 1926. Lì mi viene l’intuizione. Ho deciso che scriverò un libro per lei, anzi con lei. Nasce così L’arte contemporanea spiegata a mia nonna.

Le parlo subito di questa idea e mi dice che ci sta; ribadisce che lei i miei libri - i cataloghi delle mostre che ho curato - li legge sempre perché le piace sapere e in effetti, i volumi sono nel malloppo di libri sotto la finestra, assieme alle scritture che maneggia tutti i giorni. Capisco che non scherza e non è sua intenzione assecondarmi. Le dico che ci dovremo registrare: “Io ti faccio delle domande, poi ti faccio vedere dei quadri, delle sculture e proviamo a capire insieme perché sono delle opere d’arte. Dovremo partire proprio dalle basi, per esempio da che cosa è arte”.

Mi risponde subito così: “Tutte le cose del mondo sono arte. L’arte è nella nostra testa. La vita, da quando si nasce, è arte”. Penso, dopo una risposta del genere, che posso chiudere il libro qui, ha detto tutto... eppure proprio questa risposta mi fa capire che si può fare. Sono convinta che il grado zero dell’arte contemporanea sia il lavoro di Marcel Duchamp [1] artista francese attivo dai primi anni del Novecento. Per arrivare allo squalo di Damien Hirst [2] devo partire da Duchamp. Tra il primo e l’ultimo c’è più di mezzo secolo di distanza, c’è un mondo stravolto nello scenario geopolitico e sociale, c’è un’arte diversa sotto il profilo della produzione, delle possibilità espressive e di quelle ricettive, c’è un mercato cambiato; i due artisti hanno una propria poetica e un linguaggio individuale che ne distingue le identità, eppure i due sono legati da un approccio e da una modalità operativa che ne accorcia le distanze, come se il patrimonio genetico del “nonno” francese, pur non avendo mai abdicato, fosse riemerso preponderante nella genesi creativa del “nipotino” inglese. Non ci sarebbe Hirst se non ci fosse stato Duchamp.

Nel tempo che passa dall’uno all’altro c’è la storia che è una materia immensa, un firmamento pieno di stelle, più o meno grandi, più o meno visibili, con le meteore, le stelle cadenti e le costellazioni, con idee e pratiche espressive che hanno scritto le pagine dell’arte divenendo ognuna, a proprio modo, fondamentale per quello che sarebbe successo poi. L’arte è un divenire lineare, anche quando torna indietro per riprendere qualcosa è comunque un andare avanti [3]. Qui, pur seguendo un senso cronologico, non ho avuto la preoccupazione di attenermi alle date, ho rimescolato le carte a mio piacimento e, non potendo parlare di tutti, ho dovuto adoperarmi facendo delle scelte, motivo per cui sono più gli assenti che i presenti; ma questo non è un manuale di storia dell’arte, non è un testo teorico, né un saggio di estetica; questo è solo il desiderio di avvicinare le persone all’arte; è l’ambizione, accompagnata da un dovere morale che mi sento addosso, di rendere comprensibile l’arte contemporanea a qualsiasi osservatore non preparato, ma curioso. Questo libro vuole essere una cassetta di pronto intervento con il minimo necessario per “medicare” la mancanza di conoscenza su un mondo, quello dell’arte contemporanea, che spesso può apparire bizzarro e senza senso, ma che si nutre proprio del reale per esistere.

La difficoltà più grande è stata quella di utilizzare un linguaggio non specialistico; è molto più facile dire “ermeneutica”, “poetica”, “escatologia”, “gnoseologia” e usare tutta quella “terminologia da testo critico” (che spesso rende gli scritti incomprensibili... testi che per altro portano anche la mia firma) per risolvere il senso di una frase, piuttosto che articolare un concetto con parole semplici. Aveva ragione Bruno Munari: “Complicare è facile, semplificare è difficile”. Così, incoraggiata dall’obiettivo di “far capire” che m’ha fatto superare ogni mio scrupolo linguistico, ho cercato di spiegare il complesso riducendolo all’accessibile, confesso non senza sentirmi afasica in qualche momento.

Ho strutturato questo progetto elaborando piccole lezioni vis à vis con mia nonna, ogni lezione è stata fatta rispettando i suoi tempi, i suoi ritmi e i suoi impegni, la sua agenda fatta di rosari, di scuola di canto, di messe, di orto e giardino; ho avuto riguardo per i suoi spazi, non ho voluto impormi, piuttosto ho cercato di vivere il tempo insieme come lo facevamo una volta, ma con la consapevolezza che i ruoli si sono ribaltati, anche se resto sempre la sua toseta [4]. Mi sono lasciata sorprendere dall’imprevisto, dalle risposte non scontate che ho ricevuto e dalle domande che lei mi ha posto, interrogativi a cui non avevo mai pensato che, a volte, mi hanno costretta a imboccare un’altra strada obbligandomi a mettere in discussione i miei parametri.

Ad ogni capitolo corrisponde una categoria estetica (tempo, bello, valore, memoria, ricordo, giudizio) a cui ho abbinato un artista e non ho avuto nessuna remora a mettere assieme pensatori che normalmente nei manuali non stanno sotto lo stesso tetto, per questo ho abolito per lo più le etichette, le date e le biografie a favore di una spiegazione leggera e permeabile che mettesse in luce soprattutto la genesi e la logica di funzionamento; mi interessa arrivare all’essenziale e scoprire il processo ideativo delle cose, per questo le pagine di questo libro vogliono essere un “attrezzo” per addestrare il pensiero ad esplorare.

Ho fatto il possibile per mettermi al livello del mio interlocutore sforzandomi di elaborare una strategia dialogica che potesse creare sempre una triangolazione tra il contenuto dell’arte, l’esperienza di vita di mia nonna e la mia, in modo che le nozioni non le scivolassero addosso ma l’attraversassero agganciandosi a qualche ganglio della nostra esistenza. Ho messo in piedi volutamente una metodologia maieutica [5] restituendole, così, anche tutti gli anni in cui lei mi ha fatto da “levatrice” e forse per questo le pagine di questo libro sono anche un regalo che faccio a me stessa, dedicandomi a una delle persone a me più care, mia nonna, con la quale sono cresciuta e che tutt’ora è un grande punto di riferimento. Ho sentito l’urgenza di dare forma all’intima complementarietà che ci lega fermando nella carta il tempo che avanza, osservandolo da vicino e ponendomi a braccia aperte di fronte ad esso, giocando con i ricordi, cercando una scappatoia per la nostalgia che si affaccia al presente e pensando al domani come portavoce del passato... per poterlo ascoltare, quel giorno che verrà, senza aver nessun rimpianto.

Testo di Alice Zannoni tratto da L'arte contemporanea spiegata a mia nonna, Nfc edizioni, Rimini.

[1] Marcel Duchamp, artista francese nato nel 1887 e morto nel 1968. È stata una delle figure più in influenti e determinati per gli sviluppi dell’arte del Novecento.
[2] Damien Hirst, nato a Bristol nel 1965. Esponente del Young British Artist.
[3] Mi riferisco a tutti quei movimenti che hanno avuto come riferimento qualche elemento del passato e che hanno ripensato la sperimentazione in virtù della tradizione, dai vari ritorni all’ordine (Nuova oggettività, Realismo Magico, Purismo) fino a quelli che hanno riaperto il grido di battaglia posizionandosi nell’avamposto del “neo” in diretta ripresa dell’avanguardia (Newdada).
[4] In dialetto veneto: bambina, ragazza.
[5] Maièutica s. f. ([dal gr. μαιευτική (τέχνη), propr. «(arte) ostetrica», «ostetri- cia», der. di μαῖα «mamma, levatrice»]. – Termine con cui viene generalmente designato il metodo dialogico tipico di Socrate, il quale, secondo Platone, si sarebbe comportato come una levatrice, aiutando gli altri a «partorire» la verità: tale metodo consisteva nell’esercizio del dialogo, ossia in domande e risposte tali da spingere l’interlocutore a ricercare dentro di sé la verità, determinandola in maniera il più possibile autonoma.