Dal 14 Febbraio all’11 Aprile 2019, a cinquant’anni dalla prima mostra dell’artista a Milano, curata da Luciano Inga Pin nel 1969, la Galleria 10 A.M. ART, nella nuova sede di Corso San Gottardo 5, propone una rivisitazione, sia pure per punti essenziali, del lavoro di Sandro De Alexandris. Un itinerario di oltre cinquant’anni, i cui fondamenti si trovano in quel particolare clima creativo delle neo-avanguardie dei primi anni ’60 del ‘900 che rimettevano in discussione, radicalmente, gli statuti linguistici della poesia e della pittura, così come della scultura e della musica.

La mostra antologica, dal titolo “1964 | 2018”, curata da Alberto Zanchetta, si snoda a partire da alcune rare opere del 1964, attraversando i tempi di ricerca che hanno segnato il percorso del lavoro di De Alexandris. Da una riflessione sul senso della pittura e sul suo processo di ridefinizione, rivolta alle coordinate tempo–spazio–luce che comporta il progetto di cancellazione e di radicale azzeramento, alla riflessione – ancora sul senso della pittura – che si sviluppa attraverso l’interrogazione di espansioni cromatiche, effusioni della luce, rivelazioni dello spazio–tempo interiore, luogo privilegiato del farsi dell’opera.

Le superfici piegate e sovrapposte, articolate a formare spazi di concentrazione visiva in stretto rapporto con lo spazio che le contiene, i TS e i Rilievi attraversati da linee di luce che ne definiscono la forma, con i t/n, opere in cui si realizza un radicale abbassamento percettivo, concretizzano la ricerca che ha segnato gli anni ’60 e ’70. Negli anni ’80, con le Sovrapposizioni, frammenti di pittura organizzati a definire il processo attraverso cui si forma la pittura stessa, si apre un percorso in cui naturalmente il colore, materia elementare che percorre la superficie, è sostanza estesa ad attraversare le trame dell’essere. Luogo privilegiato che dagli anni ’90 ad oggi si fa luce interiore, rivelazione del suo fluire. Accompagna la mostra un catalogo bilingue (italiano-inglese), edizioni 10 A.M. ART, con testo critico di Alberto Zanchetta.