Si dice che René Clément fosse titubante, sua moglie Johanna M. Harwood invece no. “Dai la parte principale al quel ragazzo. Fidati di me” consigliò al marito, mentre spignattava.

Il ragazzo era Alain Delon che si era presentato a casa Clément, fuori Parigi, per convincere il regista a fargli impersonare Mr. Ripley, l’assassino senza morale creato da Patricia Highsmith, in Plein Soleil (Delitto in pieno sole, 1960). Clément aveva offerto al giovane Delon un ruolo secondario ma le attrattive dell’attore portarono scompiglio e madame Clément, dalla cucina, decise le sorti dello splendente Alain.

Carl Brandon Strehlke racconta divertito l’episodio: ha scoperto che nel film di Clément si parla del Beato Angelico e questo gli offre l’occasione di sdrammatizzare, almeno per qualche minuto, l’artista impeccabile (ma torneremo su questo aspetto…).

Curatore della mostra che il Prado dedica al maestro del primo Rinascimento fiorentino fino al 15 settembre, Strehlke ha fatto vedere anche ai domenicani Alain Delon che porge a Marie Laforêt un libro sull’Angelico, vivacizzando la conferenza stampa di Madrid. Così, sorride lo storico dell’arte, tanto per minare la perfezione di Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, detto il Beato Angelico o Fra' Angelico (Vicchio del Mugello 1395 circa-Roma 1455). Nel 1982 beatificato sul serio da Giovanni Paolo II. “Una perfezione che potrebbe anche dare noia a qualcuno - spiega Strehlke- Il puritano protestante Henry James lo odiava. Nel Settanta, ’71, Elsa Morante, notoriamente di sinistra e sorpresa dalla richiesta di scrivere sull’Angelico per i Classici dell’Arte, lo interpretò secondo il periodo, quello dell’allunaggio di Apollo 11 e delle manifestazioni studentesche, come ‘un viaggiatore celeste, un rivoluzionario’”.

Strehlke lo immagina nella bottega d’artista più che in convento, ma sapendo che da domenicano doveva fare la confessione pubblica ogni settimana, si è chiesto che cosa mai il perfetto Angelico avrebbe potuto confessare.

"Sono andato a vedere tutti i peccati della lista dei tempi. Non quelli veramente seri come ammazzare, che sono risaputi. Diciamo i ‘peccatini’. Per esempio: non si poteva girare lo sguardo verso le cose belle. E quando i frati cantavano nel coro (sette volte al giorno) dovevano concentrarsi sulla musica e non buttare l’occhio intorno. Siccome nel coro c’era un suo dipinto, l’Angelico viveva nel peccato perché dipingeva cose belle. C’era poi un peccato ancora minore: lasciare in disordine vestiti e libri. Un artista con bottega e garzone, che lavorava tutto il giorno, non credo rimettesse sempre in ordine. ‘Peccatini’ a parte, la mostra ha venticinquemila visitatori alla settimana, sono stati già venduti undicimila cataloghi: c’è qualcosa in Angelico che attira la gente".

Che cosa pensi che sia?

Qualcuno sostiene che è perché in Spagna son tutti religiosi, ma non è vero: il Cattolicesimo è certo nel tessuto del posto che però è molto moderno, uno dei luoghi meno devoti che abbia visitato.

Il Beato Angelico fa vedere un universo molto ben ordinato, ideale, che forse ci manca un po’, e riesce a raccontare una storia in maniera diretta, racconta la sua verità non in grigio, come nel nostro mondo. L‘altra ragione riguarda il Prado che ha una bellissima collezione, ma i Velázquez sono molto marroni, sul nero. Goya può essere colorato, ma la sua visione è pessimistica e allora l’Angelico, con questa Annunciazione piena di colore, dà un tocco diverso, un lampo di luce. Dopo c’è Bosch con grandi tinte, ma un’iconografia diversa. Credo che nel contesto del Prado, l’Angelico sia davvero importante.

In te cosa suscita?

Ci sto ripensando, proprio in quest’occasione. Forse la tranquillità, ricordo le prime visite al Museo di San Marco a Firenze.

Poi c’è il lato storico, e io sono molto “storico”: il mio professore, Pope-Hennessy, scrisse due libri sull’Angelico e ho un po’ riguardato la sua cronologia che secondo me e alcuni colleghi con i quali ho collaborato al Metropolitan, è sbagliata. Insomma, abbiamo un po’ combattuto la visione del nostro professore. Per esempio, la datazione dell’Angelico del Prado per noi è precedente. Quindi mi è piaciuto riguardare la questione dei rapporti dell’Angelico con i suoi contemporanei, tipo Masaccio, grande pittore, comunque molto grande, ma non superiore all’Angelico che sì a volte parla un po’ da frate, però…

A proposito di frati, qual è la differenza tra le cellette del convento di San Marco e la pittura pubblica?

Le pitture nelle celle erano destinate ai suoi confratelli: capolavori, ma tecnicamente molto povere, l’artista usa materiali semplici, spesso il fondo del muro stesso, non elabora, dipinge immagini per la meditazione, per la preghiera. Immagini iconiche come l’Annunciazione con un piccolo santo domenicano che guarda e crea il coinvolgimento. Un genio, Beato Angelico.

Le pale d’altare delle chiese, invece, erano fatte per i signori dell’epoca, l’élite. Senza tralasciare il concetto medievale che i dipinti devono raccontare le storie per coloro che magari non possono leggere.

Leon Battista Alberti, nel De Pictura, 1435, scrive che la pittura è un’arte nobile destinata agli intellettuali che ne possono godere, capirla, entrarci dentro. Però anche che è una cosa che può piacere alle persone comuni e questo mi fa pensare un po’ alla fiorentinità: chiunque tu sia, un professore o un ortolano, hai la tua opinione su tutto.

Con l’Angelico hai un rapporto stretto?

Sì, decisamente: negli anni Ottanta ho scritto un libro sul pittore; con alcuni colleghi ho curato una mostra al Metropolitan, abbiamo due Beato Angelico al museo di Philadelphia (Strehlke è curatore emerito del Philadelphia Museum of Art n.d.r.) di cui uno è esposto a Madrid.

Firenze?

È il centro di questo Quattrocento che amo tanto. Sono sempre stato accolto bene a Firenze.

Che stai preparando?

Il 12 settembre apre una piccola mostra di sessanta capolavori di arte rinascimentale della Collezione Alana a Parigi, al museo Jacquemart-André, risalente alla Belle Époque. La Collezione Alana ha quasi quattrocento dipinti, soprattutto italiani, dal Duecento al Barocco, messi insieme da Alvaro Saieh, un cileno di Santiago, con dimora a New York sulla Quinta Strada, che ha iniziato la sua collezione vent’anni fa collaborando con il professor Miklós Boskovits. Uomo d’affari di un certo successo, si è innamorato delle opere, anche dal punto di vista degli studi: gli piace dibattere sulle attribuzioni. Con altre due persone ha trasformato un po’ il mercato: la gente ora compra il Trecento e il Quattrocento italiano.

Poi c’è Philadelphia, sono ufficialmente pensionato, però sto facendo il catalogo digitale della pittura italiana e spagnola. Nei paesi anglosassoni, a differenza che in Italia, la pubblicazione scientifica on line, è lanciatissima e a me diverte lavorarci: si possono mettere più illustrazioni, ingrandire i particolari.

Un dipinto che hai nel cuore, che ti sconvolge sempre, che ti ispira?

Sono un po’ ballerino! Vado a momenti.

Adesso con chi balli?

Ballo con l’Angelico. Ma siccome ho passato quasi un mese in Spagna e lavorando giorno e notte al Prado, facevo un po’ peccato e andavo a vedere nelle sale, ho fatto delle scoperte. Io che non apprezzavo sempre El Greco, autore di vaste pale d’altare con angioletti ovunque, l’ho guardato tantissimo e ho iniziato ad adorarlo.

Soprattutto i ritratti maschili degli spagnoli suoi contemporanei sono molto intensi e mi hanno affascinato. Non sempre identificati, hanno indicazioni come: il cavaliere, lo scrittore. Ecco, El Greco ti porta dentro di loro.

Anche i ritratti di Goya mi hanno ammaliato. Poi la famiglia reale di Carlo IV, grottesco alle volte. Una sera c’è stato un concerto di musiche dei tempi di Goya e sono stato davanti al quadro per un’ora e mezzo, incantato dalla realtà di questi personaggi spesso un po’ bruttini, pensando che la famiglia Borbone doveva difendersi da Napoleone e l’altra metà era stata ammazzata in Francia, a Goya che ha servito i re, ma con un po’ di conflitto. E l’opera è molto bella.

Hai citato il tuo maestro Pope-Hennessy, uno degli storici dell’arte più illustri del Novecento. Capisci che ora potresti essere tu una figura di quel rango?

(Ridacchia n.d.r) C’è una differenza di generazione. Pope Hennessy riusciva a scrivere di tanti soggetti diversi. Ai tempi di oggi siamo molto specializzati, anche un medico generico non esiste quasi più.

Carl Brandon Strehlke potrebbe essere una figura di quel rango. Aggiornata.