Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Takako Hirai (Kumamoto, 1975).

C’ero soltanto.
C’ero. Intorno
cadeva la neve.

(Kobayashi Issa)

Il silenzio puro della natura. E di tutte le cose che parlano essendo. Un silenzio che è strada e raccoglimento, che spalanca ad altri luoghi della mente e del cuore. Il silenzio che dilata ogni percezione e rivela, a noi stessi, cosa davvero siamo e cosa più profondamente ci appartiene. Quello di Takako Hirai è un lavoro basato sull’ascolto del silenzio e sul ritrovamento della radice essenziale di ogni cosa.

Giapponese di origine, nata e vissuta a Kumamoto, e approdata a Ravenna per il desiderio di studiare e apprendere la tecnica musiva, Takako vive ormai da anni nella città romagnola capitale Unesco del mosaico bizantino.

La sua attitudine alla manualità, alla tattile conoscenza dei materiali e alla cura senza tempo della creazione, ha trovato nella lenta e controllata disposizione delle tessere, piena possibilità di evoluzione. Il mosaico le ha insegnato la calma di un tempo sospeso in cui poter far nascere la più meditativa forma di bellezza.

Gradualmente, dalle tessere musive Takako è passata alla sperimentazione di altri materiali, sempre più vicini alla natura, fino a realizzare vere e proprie installazioni. Installazioni delicate, raffinate, apparentemente fragili ma incredibilmente durevoli, e di una essenzialità tipicamente nipponica. Una essenzialità che è sapienza.

Takako crea con il legno, il vetro, il ferro battuto, l’argilla, il fogliame. Ama sperimentare, ama creare come se quest’atto fosse, più profondamente, una domanda. E forse è davvero così, forse la mutazione di un’opera nel suo divenire è una domanda. Una domanda che resta sospesa, si dilata come un respiro, poi si ritrae. Vive, insomma. Vive come ogni altro essere. Un’opera forse è una domanda che vive, e proprio per questo non può dirsi mai veramente conclusa.

Takako vive e lavora a Ravenna. E questa è la sua Voce Creativa per voi.

Chi è Takako?

Una forestiera che cerca la sua tana. Una radice che cammina.

Quando cammini in punta di piedi?

Quando voglio sapere una verità. Quando voglio raggiungere l’essenza. Quando non voglio calpestare una vertebra di qualcuno.

A cosa serve il silenzio?

Il silenzio è l’ossigeno per me. E serve anche ad aguzzare i sensi.

Il luogo dove vai per ritrovare te stessa?

Mi immergo in una foresta. E se non mi è possibile vado in una pasticceria.

Il colore della purezza?

I colori semitrasparenti che esistono in natura.

Parli ancora con la bambina che sei stata?

Sì. Mi ricorda di cose che a me piacevano, e questo tante volte mi toglie certi ostacoli nella creatività.

Quando un uomo può considerarsi povero?

Quando si deve affidare troppo ai numeri e alle classificazioni. Trovo povera una persona che si affida troppo ai numeri e alle classificazioni senza approfondire una presenza individuale.

E quando un uomo può invece considerarsi ricco?

Quando sa ringraziare.

Dove finiscono i nostri sentimenti quando gli altri non li accolgono?

Possono svanire nel rumore delle ali di un bombo o nel fruscio di certi alberi. Ma a me piacerebbe che le mie installazioni come Bucoverde e Giardino Segreto, potessero accoglierli ed assorbirli.

Dal Giappone all’Italia… come sei approdata a Ravenna?

Quando incontrai per la prima volta un mosaico parietale in una chiesa a Roma, durante un viaggio di studio dell’arte italiana, con i compagni della classe universitaria del 1998. Quel giorno provai una sensazione molto forte, incisiva e mi venne una grande curiosità di imparare questa tecnica. Qualche anno dopo, digitai in Internet ‘mosaico’ e mi apparve ‘Ravenna’. Ed ecco, atterrai a Ravenna nel 2003.

Cosa ti ha conquistato della tecnica del mosaico?

Il tatto. Toccare i materiali è sensazionale. Raccoglierli, sceglierli, tagliarli, posizionarli. Dal tatto io ricevo molto. Una tessera contiene tutti gli elementi: la luce e l’ombra, la tridimensionalità le innumerevoli gradazioni di colore. Tutto questo esiste in una tessera. E l’unione di ognuna di queste tessere è il mosaico. È quasi un teatro.

Cosa ti manca del Giappone?

La mia famiglia e i cibi e la mia città.

La tua ricerca artistica si avvale della contaminazione di diversi materiali; sei partita dalla pittura ad olio per poi passare alle tessere musive e nelle tue installazioni hai adottato materiali differenti come il ferro, il legno, il vetro… come nasce questo universo di elementi che riesci sempre a sposare con grande raffinatezza?

Grazie! In realtà io sono disastrosamente disordinata. È uno dei miei difetti più tormentosi. Ma proprio l’altro giorno parlavo con una danzatrice contemporanea, la quale mi ha detto: “Senza disordine non nasce un’intuizione.” Mi piace pensare che nel disordine personale si trovi la nostra vera essenza. Questo mi consola. Trascorro molto tempo ad osservare e fantasticare. È il momento di maggior concentrazione della mia creatività. Le mie opere devono piacere a me prima che agli altri. Io sono molto egoista e voglio andare a fondo, desidero essere sincera con me stessa. Se le mie opere toccano qualcuno, si potrebbe dire che quel qualcuno ha qualcosa in comune con me. Io sperimento, il mio obiettivo non è approfondire un’unica tecnica. Il mio obiettivo è esprimermi. Per questo motivo non intendo limitare il mio uso dei materiali. A volte il rischio può essere la poca concretezza, a causa di una conoscenza poco approfondita di determinati materiali. Ma io ho bisogno di conservare le mie opere imperfette e incompiute, e su di esse mi interrogo in continuazione, le osservo e mi interrogo. Questo processo mi toglie forse una buona dose di spontaneità ed immediatezza e ciò mi porta ad avere poche opere concluse. Da piccola amavo usare le mani per costruire e questa passione per la manualità mi è rimasta. Ora cerco di unirla all’esperienza.

La natura è da sempre protagonista della tua arte, perchè?

Perché lo sono anche io. Io sono Natura. Faccio parte della Natura. E penso di volerlo esprimere e manifestare. Ma non ho mai detto che “amo la natura.” Questo non lo dirò mai.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Devo confessare che non riesco a leggere. I dizionari e forse le enciclopedie mi piacciono. Sono sempre stata ossessionata dallo studio e dall’indagine di me stessa. Riesco a ricevere di più dalle sensazioni, dalle osservazioni, dal tatto e dall’olfatto. Mi piace ricevere da me stessa e scoprire come reagisco.

Scegli tre delle tue opere per raccontare il tuo percorso.

Istinto, mosaico, 2016.
C’è un ceppo che torna a vivere nonostante altri tentino di intralciarlo e al suo fianco si appoggia una creatura tormentata perché non sa come vivere. La creatura si domanda: “Qual è la mia natura?”. Il ceppo forse le risponderebbe: “Cosa c’è da pensare?”.

Giardino Segreto, installazione, 2017/2020.
Su alcuni basamenti di argilla, ferro, legno riciclato, in ogni caso scelti in base all’ambientazione e quindi rispettando il contesto e il luogo, sorgono esili steli in ferro battuto, terminanti all’estremità superiore con dei cubetti di vetro. La trasparenza e la superficie riflettente di quei cubetti insieme al lieve dondolarsi degli steli, causato dal movimento dell’aria, crea un effetto ipnotico e incantevole. Sembra che i cubetti di vetro assorbano i nostri pensieri e li purifichino. A me consolano.

Bucoverde, installazione, dal 2020 in divenire.
Ho scavato un buco nel terreno del cortile esterno al mio studio, e attorno al buco ho tenuto i muschi e le piante che c’erano già da prima. Ma sono andata a sradicare alcune piante in giro e poi le ho trapiantate accanto alle altre, attorno al buco. Ora sto osservando la loro vita. Nel buco ci sono io pensierosa. Attorno al buco ci sono loro che vivono e muoiono ciclicamente.

Un’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei voluto realizzarla io!”?

Non ne è ho una in particolare.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

Non ho mai desiderato essere qualcuno che esiste già. Anche se esistono molti artisti che ammiro. Magari una danzatrice di Broadway che mi ha affascinata durante l’infanzia.

Un critico d’arte o curatore con il quale vorresti collaborare?

Vorrei collaborare con persone a cui piacciano davvero i miei lavori, persone con cui possa nascere una sinergia, con cui possa esserci uno vero scambio e un’autentica condivisione.

Un museo italiano dove sogni di poter vedere un giorno le tue installazioni?

Non ho questo sogno per ora. Per me l’importante è esporre in un luogo dove si crei una forte risonanza tra opera, luogo e visitatore. Il luogo giusto è quello in cui io provo una forte emozione nel realizzare la mia installazione.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Non me ne vengono in mente. Forse perché non ci penso.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

La pittura. Vorrei riprendere a dipingere. In ogni caso, proverò sempre a tirare fuori qualcosa da me stessa, quando ne sentirò l’esigenza. Sicuramente continuerò sempre ad ascoltarmi.

Qual è il valore della solitudine?

La solitudine avrebbe un alto valore se si potesse vivere un tempo che non coincide precisamente con nessun calendario o orologio. Una solitudine da vivere inconsciamente.

La più alta forma d’amore?

Credere in se stessi.

Work in progress e progetti per il futuro.

L’installazione del Bucoverde sarà sempre il lavoro in corso finché qualcuno lo vorrà chiudere. È un’opera che mi rappresenta molto. E poi sicuramente realizzerò un giardino segreto all’interno di una foresta.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Basta vivere (Takeshi Yoro).