Il 27 ottobre 1962 un aereo spia americano venne abbattuto nei cieli di Cuba e una nave da guerra americana iniziò a lanciare bombe di profondità per fare emergere e quindi poter localizzare un sottomarino sovietico dotato di armi nucleari al largo dell'oceano Nord Atlantico.

Il capitano del sottomarino, Valentin Savitsky, ignaro del fatto che le bombe servissero solo a farlo riemergere, considerò invece la cosa come un vero e proprio attacco al quale intende rispondere con il lancio di siluri nucleari.

In uno scenario da Terza guerra mondiale i siluri nucleari, se lanciati, avrebbero vaporizzato la nave americana e scatenato successivi attacchi nucleari iniziando da Mosca e Londra e via via coinvolgendo numerose altre città e stati anche estranei al conflitto.

Fortunatamente, secondo regole d’ingaggio della marina Russa, il lancio dei siluri nucleari del sottomarino sovietico classe B-59 richiedeva il consenso unanime dei tre ufficiali con più alto grado a bordo. Il secondo capitano era d'accordo con il primo per far saltare in aria la nave americana.

Il terzo ufficiale, Vasili Alexandrovich Arkhipov, negò il suo consenso, ben conscio di quelle che sarebbero state le conseguenze catastrofiche di un terzo conflitto nucleare mondiale.

L’allora ministro della difesa americano, Robert McNamara, commentò a distanza di qualche decennio l'accaduto con queste parole: “Un semplice uomo, avendo il coraggio di dire “no”, nel momento e nel modo giusto è molto probabile che abbia salvato il mondo.”

Se sei nato prima del 27 ottobre 1962 il capitano Arkhipov ti ha probabilmente salvato la vita. Se sei nato dopo quella data, forse non saresti mai esistito senza il suo intervento.

William Ury, il leggendario professore del Project on Negotiation dell’università di Harvard, a 25 anni di distanza dalla pubblicazione della sua “bibbia” della negoziazione Getting to yes (Arrivare al sì) ha scritto il libro Il No positivo.

Nel secolo scorso e in parte ancora in questo nuovo millennio si è vista una gran enfasi nella vendita e nella negoziazione sul fatto di insistere nell'ottenere un “sì” per chiudere a tutti i costi.

Nelle strategie di comunicazione mediocri si usa ancora uno schema di domande costruito in modo da “strappare” tutti “sì” alle prime facili domande a cascata con l’idea di “condizionare” il cliente a dire “sì” anche all’ultima fondamentale domanda di completamento dell’acquisto.

Eppure il “no” è fondamentale per arrivare ad un “sì” vero e sentito.

Per dire “sì” a qualcosa abbiamo bisogno di dire “no” a qualcos’altro, per decidere in ogni grande e piccola cosa della vita abbiamo bisogno di dire “no” a quello che non vogliamo più e “sì” al nuovo che vogliamo lasciar entrare nella nostra vita.

Mahatma Gandhi diceva “un no detto con convinzione profonda è meglio e più potente di un sì detto per per piacere, o ancora peggio, detto per evitare problemi.”

Vediamo insieme i modi più efficaci per “dire di no” e per “farsi dire di no per farsi dire di sì”.

Come fare per dire “no” nella maniera più funzionale possibile senza pregiudicare la relazione né l'interesse economico negoziale?

Spesso crediamo che dire un “no” onesto possa avere ripercussioni tali da farci perdere il rispetto dell'altra parte o una parte del valore sul tavolo se non addirittura mandare in fumo l'intera negoziazione.

C'è una tecnica e una struttura precisa per farlo e l’ha ideata il professor Ury in 3 passi: “sì” - “no” - “sì?”.

Mi è capitato talvolta che amministratori delegati o direttori del personale mi dicessero: “I ragazzi del commerciale sono un po’ fiacchi, vorrei che facessero una giornata di motivazione con te”.

Non credo nella formazione “toccata e fuga” in azienda né altrove. E siccome non mi interessa fare corsi che non servono davvero le persone e le aziende mi trovo spesso a rispondere a richieste come quella sopra in questo modo:

“Ti ringrazio per la proposta, sembra molto importante che la formazione nella tua azienda sia profonda e duratura perché in grado di influenzare positivamente la cultura e i comportamenti”. (“sì”)
“Non sembra che una giornata di motivazione isolata con solo i commerciali e senza la direzione in aula possa ottenere questo risultato”. (“no”)
“Che ne dici di valutare un percorso formativo che coinvolga tutta la compagine aziendale da te all’impiegato più giovane articolato su più incontri di gruppo e personali su una durata minima di più mesi?” (“sì?”)

Questo modo di offrire il tuo “no” ti permette di darlo con rispetto, purché il tuo tono di voce sia calmo e rilassato, spiegandone il perché e offrendo comunque una possibile soluzione per continuare l’esplorazione.

Una madre al suo bambino che continua a interromperla nella conversazione con i suoi amici che sono passati a trovarla. “Lorenzo, ora mamma vuole passare un passare un po' di tempo a parlare con i suoi amici (“sì”), non vanno bene queste continue interruzioni (“no”), se vuoi più tardi, quando i miei amici se ne sono andati, ti leggo 6 pagine del tuo libro di favole preferito”.(“sì?”).

Luca sta negoziando l’acquisto di una cosa da Massimo e Luca ha appena fatto un’offerta che Massimo considera troppo bassa.

“Grazie Luca per l’offerta, sono contento che la conversazione proceda. (“sì”)
Sembra che siamo molto distanti dalla cifra che ho in mente. (“no”)
Che ne dici di esplorare insieme delle nuove possibilità di finanziamento per poi arrivare a definire dei numeri diversi?" (“sì?”)

Spesso, seguendo questo protocollo, le persone coinvolte accolgono positivamente la proposta del secondo “sì”. Non è sempre così, a volte la proposta non viene sviluppata e non ci sono contro-soluzioni.

E va bene così, l’importante è che il “no” sia stato veicolato con grazia, rispetto e onestà, l’altra parte anche se non concluderà quella cosa con noi si sentirà comunque rispettata e accolta tanto da aver voglia di avere a che fare con noi in future occasioni di interazione e/o negoziazione.

E adesso come possiamo “farci dire di no” per arrivare prima ad un “sì” di reale impegno dell’altra parte?

Per questo ci aiuta Jim Camp, autore di Start with No (letteralmente Inizia con il No). Quando l’altra parte dice “no”, il negoziatore mediocre abbandona pensando che la negoziazione sia finita, mentre il negoziatore eccellente sorride dentro di sé perché sa che da quel “no” inizia la vera negoziazione.

Una tecnica efficace che puoi mettere in pratica nell’immediato è quella di modificare verso una risposta “no” le domande che di solito fai mirando a un “sì”, ma per raggiungere lo stesso obiettivo che ti sta a cuore.

Qualche esempio per chiarire il punto:

  • a inizio telefonata: “È un buon momento?” diventa: “"È un brutto momento?”
  • “Funziona per te così…?” diventa: “È una cattiva idea…?”
  • “È giusto pensare che…?” diventa: “È sbagliato pensare che…?”
  • “Sei d’accordo a…?” diventa: “Vedi qualcosa in contrario a…?”

“Nicola, allora se funziona così lo sanno e lo fanno tutti” si potrebbe ribattere. Purtroppo se ricevi giornalmente telefonate di proposte di servizi e prodotti sai che quasi nessuno utilizza questo approccio, così semplice ma allo stesso tempo così potente.

Forse perché va contro la credenza inveterata da decenni che bisogna guidare il cliente o l’altra parte in negoziazione a dire sempre “sì”?

Eppure pensaci quante volte hai ricevuto un “forse” (che era in realtà un no) oppure un finto “sì” (al termine di un colloquio di lavoro “Sì, ci faremo vivi noi.”) e in realtà avresti preferito un rispettoso ma chiaro e diretto no. E come se la gente avesse paura di ricevere e anche di dire questa semplice ma magica parola: “No”.

Lo so che sembra controproducente ma assicurati sempre di dare la possibilità all’altra parte di dire di no. L’atmosfera negoziale si trasforma così da ostile a collaborativa. Come insegna Tony Blair: “L’arte della leadership non è dire “sì”, è dire “no”.”

Datti il permesso di sperimentare queste domande, magari in negoziazioni dove la posta in gioco è bassa, così riduci al minimo il rischio, e lasciati stupire dai risultati straordinari che si ottengono quando si ridà alle persone il potere di dire no. Apprezzeranno moltissimo la cosa e raramente lo diranno a meno che non ci sia qualcosa da rivedere. E questo è bene perché l’ultima cosa che desideri in una negoziazione è il pentimento dell’altra parte che si accorge di aver fatto un cattivo affare: se hai bisogno della sua cooperazione per l’esecuzione degli accordi, sei finito.

Fai una prova con qualcosa di molto semplice, la prossima volta che chiami al telefono un cliente, un amico, un collega, invece di dire “È un buon momento per parlare?” sostituiscilo con :“È un brutto momento per parlare?” e nota la differenza. È un piccolo cambiamento che riconosce appieno e riconferma il potere dell’altra parte di dire “sì” qualora il momento non sia effettivamente propizio e suggerendo un diverso orario e giorno per sentirsi o di dire “no, dimmi pure” oppure “no, per te non è mai un brutto momento”. La persona all’altro capo del filo ha detto “no”, ha utilizzato il suo potere di dire “no” e adesso è nello stato d’animo migliore per ascoltarti. Invece di rispondervi con un “sì” di cortesia alla domanda: “È un buon momento per parlarti?” ma non vedendo l’ora che riagganciate il telefono perché ha cose più importanti o interessanti delle quali occuparsi in quel momento.

Buon allenamento ai “no” per le tue negoziazioni, vendite e comunicazioni sempre più soddisfacenti ed efficaci.