Nei miti possiamo trovare il cuore pulsante della filosofia e della vita stessa, nascosto nella selva dei simboli.

Lo stesso possiamo fare con le piante e con l’universo di significati in esse racchiuso. Il mito delle Due Dee (la Madre e la Figlia), ad esempio, è un’antichissima forma della credenza mediterranea che interpreta il ciclo dell’anno come la morte e la resurrezione di una divinità.

Nella Grecia antica questa fede era diffusa ovunque, sia nella madrepatria che nelle colonie (specie in Magna Grecia), ma il suo indiscusso centro culturale era il santuario di Eleusi (ai confini occidentali dell’Attica), sede delle cerimonie note come Misteri. Questo mito era in origine connesso esclusivamente ai riti di fecondità e infatti i Misteri conservavano un’evidente traccia dell’antica natura di cerimonia cerealicola. Ma la figura di una dea che lascia il tenebroso regno dei morti per tornare alle regioni della vita e della luce, non poteva che essere interpretato con un senso salvifico, di riscatto.

Ciò di cui si parla meno, però, ha a che fare con l’Amore, fatto di luci e ombre, che Persefone vive con Ade, di cui diventa sposa, negli Inferi dove vive per sei mesi l’anno. Un Amore che mise in contatto la sposa con un senso di invidia profonda quando incontrò la di lui concubina. Myntha era nata nell’Ade da Cocito, un fiume affluente dell’Acheronte, dunque era naturalmente più vicina ad Ade che non Persefone, in quanto quest’ultima era stata rapita dal regno della luce da Zeus, suo padre. La ninfa, narra Ovidio nelle sue Metamorfosi, minacciò Persefone e fece delle allusioni sul suo modo di amare, così da suscitarle una reazione rabbiosa e invidiosa. La dea degli Inferi perse la pazienza e smembrò la giovane ninfa, trasformandola in una pianta insignificante. La punizione inferta a Myntha è strettamente collegata a una paura che abita l’universo femminile da sempre: quello di essere invisibile e anche qui il mito parla per allegorie di aspetti psicologici profondi cui siamo tutti collegati. La storia narra anche che il gesto spietato di Persefone suscitò la compassione di Ade che regalò alla pianta il più delizioso dei profumi mentre Zeus, impietosito dagli strazianti lamenti del padre della ninfa Cocito, le regalò la dolcezza.

La pianta in questione è la menta, che prende il nome dalla ninfa e di cui esistono in Italia circa 80 esemplari, di cui 4 crescono in inverno, nel periodo che va dal Sagittario ai Pesci in cui Persefone scende negli Inferi, mentre gli altri spuntano d’estate. Non si sa con assoluta certezza dove la menta abbia preso piede inizialmente, le fonti sono divise tra Europa, Medio Oriente e Cina. Una cosa è certa però: già nell’antico Egitto questa pianta veniva coltivata e ampiamente utilizzata come medicinale. Abbiamo questa certezza grazie al papiro di Ebers, ritrovato nel 1862 e risalente a circa il 1550 a.C., in cui vengono elencate più di 600 specie vegetali in uso in quel periodo storico, raccolte in uno scritto lungo circa venti metri. Già all’epoca erano conosciute le sue proprietà digestive e probabilmente la sua coltivazione era già praticata in Mesopotamia, anche se non ci sono fonti certe a confermarlo. Successivamente, riferimenti a questa pianta vengono trovati anche nella Bibbia, da cui, grazie ad alcuni passi, si può dedurre che gli ebrei non solo la coltivassero, ma vi imposero anche una tassa.

Le proprietà della pianta sono innumerevoli e la maggior parte di loro sono collegate al mentolo, ingrediente principe dell’olio essenziale estratto e principale causa del profumo caratteristico della menta. Viene spesso inserita in prodotti di cosmesi per il suo effetto lenitivo e rinfrescante, in alcuni casi può fungere da blando anestetico. Può essere impiegata anche sotto forma di tisana e in questo caso ad essere sfruttate sono le sue proprietà decongestionanti, ed ecco spiegato il suo impiego nella medicina ayurvedica e cinese contro febbre, raffreddori e mal di gola.

Come suggerisce il nome stesso della pianta, questa agisce sul sistema nervoso, in particolare sulla psiche, sulla mente appunto, donando una netta sensazione di lucidità mentale, di forte presenza e presa di coscienza.

La segnatura planetaria di Mercurio e della costellazione della Vergine (governata da Mercurio appunto) richiama i suoi effetti sia in ambito mentale, dove agisce sui pensieri troppo rapidi facendone pulizia, sia sull'intestino (parola che indica "piccola testa dentro"), il cui mal funzionamento si ripercuote sull'umore psichico e ha una forte coloritura emotiva.

La parola collegata a questa pianta, il cui etimo richiama la parola mente, è “leggerezza”. La menta è associata alla mente femminile, incline al sospetto, all’inganno e alla fantasia e l’utilizzo di questa essenza aiuta a distendere e a generare un ponte tra i due emisferi. È in grado di portare sollievo e appacificare le parti di noi, il nostro femminile continuamente in conflitto con la figura materna, destinata a condizionarci per tutta la vita.

Si tratta di una pianta selvatica elitaria, perché dove cresce lei non cresce altro, è emolliente, rinfrescante e ha proprietà sudorifere mucolitiche e broncodilatanti. È una essenza che cresce tutto l’anno ma solo 4 varietà crescono in inverno in Italia, tra cui la menta glacialis e la longifolia. Sono piante che crescono nel periodo in cui Proserpina è lontana dalla madre Demetra.

Si tratta di esemplari stoloniferi, che crescono nelle chiare d’acqua e sono più dolci di quelle estive, per questo gli antichi le usavano per restituire la dolcezza alle donne amareggiate dalla vita, inclini alla gelosia e all’aggressività generata dalla lontananza dalla madre. Tutte le altre mente, ovvero quelle estive, hanno ricevuto il “tocco di Demetra” e sono dunque più adatte a consolare le madri che coltivino l’idea che non abbiano fatto il proprio dovere con le figlie.

La menta dunque incarna la paura che abita in ogni donna di essere “invisibile” e “insignificante” e che la muove a guardare con sospetto altre femmine. Sempre la menta ci ricorda l’ambivalenza e la profondità del legame che ognuna di noi vive con la propria madre, che spesso si acuisce con lo “strappo” che un nuovo legame d’amore può portare, fino a fare emergere in noi le ombre della nostra mente, le invidie, la rabbia e l’aggressività verso altre donne.

Al tempo stesso, le proprietà di questa pianta ci ricordano che in ogni donna vivono aspetti di dolcezza, leggerezza, freschezza mentale che, se debitamente recuperate e coltivate, possono lenire i dolori e le amarezze che ci muovono alla competitività e aprirci all’autentica sorellanza. Con ciò i greci ci hanno detto che la Natura è il ricettacolo delle umane qualità e che l’imparare a “mediarle” (da cui la parola “medicina” che è proprio l’arte della mediazione) con saggezza, rappresenta l’autentica via di guarigione.