In precedenti articoli apparsi a mia firma sui numeri del 22 dicembre 2017 e 24 marzo 2018 di questa rivista, avevo segnalato il pericolo dell’ondata autoritaria che negli ultimi anni ha investito l’Unione Europea, a cominciare dai paesi del Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceka) nei quali sono già al potere da anni governi cosiddetti sovranisti ed autoritari, per poi interessare altri paesi come Austria, Germania, Paesi scandinavi, balcanici.

La segnalazione era di un pericolo incombente, in quanto l’allargamento del modello ad altri Paesi avrebbe costituito non solo un pericolo per la democrazia di tipo liberaldemocratico, ma soprattutto per la sopravvivenza stessa dell’Unione Europea. È una triste soddisfazione quella di avere pre-visto con anticipo che anche l’Italia correva il rischio di far parte di questo schieramento, e le elezioni politiche del 4 marzo ed ancor più la coalizione che oggi sorregge il governo del paese, hanno evidenziato, direi drammaticamente e repentinamente, come sia facile passare, attraverso libere elezioni, da una repubblica parlamentare di solido impianto costituzionale, ad una forma di democrazia inedita, densa di interrogativi, di incognite, di rischi.

Riprenderemo più oltre quali sono quelli che riguardano la sopravvivenza dell’UE, i cui organismi comunitari appaiono seriamente preoccupati della possibilità che l’Italia, tra i fondatori dell’Unione e tra le più convinte sostenitrici della necessità di procedere al passaggio verso un vero e proprio Stato federale, possa invece muovere in senso diametralmente opposto.

Vorrei in primo luogo, prendere le mosse dalla Costituzione del 1948, che agli occhi dei partiti di governo sembra essere un mero contenitore di norme superate o comunque da ignorare, in nome di un’esigenza di governabilità, fatta di messaggi sui social, prima ancora che di provvedimenti amministrativi e legislativi. Un primo strappo è rappresentato, se non formalmente, ma sostanzialmente, dal contratto stipulato tra i due partiti che compongono la maggioranza parlamentare che ha dato vita alla nascita di due governi paralleli, ciascuno dei quali guidato da uno dei due vicepresidenti del consiglio, a loro volta a capo dei rispettivi partiti.

Ciascuno di loro, attraverso i ministeri che dirigono personalmente o attraverso esponenti del proprio partito, mira a realizzare i punti del contratto di proprio specifico interesse, con l’intesa che ciascuna forza non faccia da ostacolo all’altra, almeno che non ci si trovi in situazioni di contrasto insanabili. Si potrebbe obiettare che, se pure così fosse, c’è comunque un Presidente del Consiglio dei Ministri che “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile” (art. 95, primo comma della Costituzione). In teoria dovrebbe essere così, se non fosse che lo stesso avvocato Conte, Presidente del Consiglio, ha comunicato che le sue funzioni sono limitate al “coordinamento” dell’azione di Governo, con ciò rinunciando (ma è possibile?) a quelle di direzione che gli sono imposte dalla Costituzione! Ne risulta una figura ibrida, tra semplice portavoce delle decisioni dei suoi due vice e quelle di esecutore delle clausole di un contratto alla cui redazione non ha partecipato, ma del quale deve assicurare l’osservanza. Se poi si aggiunge che i due vice sgomitano per dominare la scena mediatica attraverso una fitta serie di messaggi sui social per annunciare, commentare, interferire anche fuori dagli ambiti di loro rispettiva competenza, l’autonomia del cosiddetto premier si riduce ancora di più. L’anomalia risulta evidente a livello nazionale e imbarazzante a livello internazionale, allorché occorre concordare, anche in tempi brevi, decisioni che investono questioni di particolare rilevo in materia di economia, di alleanze, di politiche migratorie.

Gli strappi costituzionali di maggior rilievo sono altri: la riduzione del ruolo del Parlamento. A fronte delle frenetica attività declamatoria dei due leader, le Camere sono di fatto inoperose. Nessun disegno di legge di iniziativa del nuovo governo o della maggioranza che lo sostiene è stato portato in aula (almeno sino a qualche settimana fa). In Consiglio dei Ministri l’unico decreto legge approvato è stato quello denominato “dignità”, di iniziativa del Ministro del Lavoro. Il decreto Gentiloni circa iniziative in favore dei terremotati è stato convertito in legge, ma il Presidente della Repubblica Mattarella, pur firmandolo, ha inviato al Presidente del Consiglio una nota con la quale segnala una serie di criticità, tra le quali il rischio di fenomeni di abusivismo edilizio nella costruzione delle “casette”. Le parole usate dal Presidente sono esattamente quelle di evitare il pericolo di "un utilizzo perpetuo di un immobile abusivo". Tutta qui la produzione legislativa.

Se il ruolo del Parlamento è quello di un’aula vuota (le immagini dell’aula di Montecitorio di venerdì 21 luglio sono impietose al riguardo), anche per il ruolo minoritario e irrilevante delle minoranze di opposizione, appaiono inquietanti e premonitrici le frasi pronunciate il 23 luglio da Davide Casaleggio in una intervistata dal quotidiano La Verità. Per il fondatore dell'associazione Rousseau e leader del Movimento 5Stelle, "tra qualche lustro" le Camere potrebbero non essere più utili”. "Oggi grazie alla Rete e alle tecnologie - esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è inevitabile". Si parla di qualche lustro, cioè della prossima legislatura e dunque già entro quella in corso potrebbero essere avviate riforme costituzionali nella direzione annunciata. Per fortuna la riforma costituzionale proposta dal governo Renzi è stata sonoramente bocciata nel referendum del 4 dicembre 2016, altrimenti questa prospettiva sarebbe stata ben più realistica.

Le riforme annunciate mettono a loro volta a rischio altri fondamentali principi costituzionali. In materia fiscale la solenne promessa della “flat tax” (tassa piatta, cioè ad aliquota costante) sia pure ridotta a due sole aliquote (15 e 20%) contrasta in maniera stridente con l’art. 53, che stabilisce: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. La riduzione delle aliquote a solo due, con aliquota molto ravvicinata, elude il criterio della progressività, e avvantaggia, per di più in maniera ostentata e dichiarata, i percettori di redditi più alti, con vantaggi essi sì progressivi per i redditi più alti, vantaggi modestissimi per i redditi medi, e addirittura svantaggi per quelli più bassi in ragione della soppressione di ogni tipo di detrazione (figli a carico, spese sanitarie, ecc,). Lo Stato si trasforma in un Robin Hood che toglie ai poveri per arricchire i più ricchi, nella logica perversa che si eliminerebbe in tal modo l’evasione fiscale e si incentiverebbero i consumi (dei ricchi) con ricadute positive per l’aumento delle assunzioni. Argomento preclusivo di una riforma siffatta è comunque ancora una volta altra norma costituzionale, quella dell’art. 81, che impone che ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Più semplicemente, ogni legge che riduca le entrate o aumenti le spese deve prevedere la copertura di bilancio.

All’ansia di favorire i percettori di redditi più alti, si aggiunge quella di favorire gli evasori fiscali, attraverso varie tipologia di intervento (abolizione di alcuni degli strumenti previsti dalle leggi fiscali, quali spesometro, redditometro, studi di settore, attraverso i quali il Fisco può accertare l’esistenza di redditi non dichiarati, a carico di imprenditori, commercianti, professionisti. Non ritenendo sufficiente tali misure si è pensato alla “pace fiscale”, ovvero la “chiusura di tutte le cartelle esattoriali di importo inferiore a 100.000 euro”. Così ha proclamato il Ministro dell’Interno Salvini, (su materia estranea alla sua competenza, in data 11 luglio: “Pace fiscale italiani-Equitalia, entro il 2018. Mentre il Pd pensava ai grandi, noi pensiamo ai piccoli, è su di loro che si fonda l’economia del nostro Paese. Nel merito qualcuno dovrebbe ricordare al Ministro dell’Interno che con decreto-legge 22 ottobre 2016 n. 193, convertito con modificazioni in Legge 1° dicembre 2016 n. 225, si disponeva che a decorrere dal 1° luglio 2017 le societa' del Gruppo Equitalia sono sciolte, cancellate d'ufficio dal registro delle imprese ed estinte, senza che sia esperita alcuna procedura di liquidazione”.

A distanza di oltre un anno dalla loro cancellazione ed estinzione si parla ancora di Equitalia, come se fosse ancora operativa, forse per rinverdire le vecchie aggressioni alla concessionaria nazionale della riscossione, colpevole di muoversi nel rispetto rigoroso delle leggi fiscali vigenti (aggressioni verbali che indussero i soliti sconsiderati a danneggiamenti alle sedi della società). Posto che le cartelle presuppongono a monte accertamenti fiscali divenuti definitivi ad opera dell’Agenzia delle Entrate e degli enti locali, che dunque hanno accertato evasioni fiscali, per importi anche molto elevati (già si parla di estendere il beneficio sino a duecentomila euro!) – le imposte richieste e le sanzioni applicate riguardano redditi o ricavi non dichiarati per importi molto superiori per IRPEF, IRES, IRAP e IVA. Gli importi previsti per la rottamazione delle cartelle vanno da un minimo del 6%, al 10% e, nel massimo al 25%. Si ricorda ancora che le cartelle relative agli importi indicati corrispondono ad una percentuale tra l’80 e il 90% del totale. Un bel regalo agli evasori, una beffa per i contribuenti onesti.

Al momento fallito, ma non per questo meno significativo del ruolo di uomo solo al comando che Salvini si autoattribuisce (nell’inerzia del suo partner politico) è, ancora una volta, la ripetitiva, stantia e stucchevole polemica contro i magistrati, nell’idea, questa sì originale e malsana, che anche la giustizia dovrebbe essere assoggettata alla politica sovranista. E così il sottosegretario leghista alla giustizia Jacopo Morrone si lascia andare, in un incontro ufficiale con i giovani magistrati vincitori di concorso, all’auspicio della scomparsa dalla magistratura delle correnti di sinistra. È assai probabile che il giovane avvocato romagnolo non conosca neppure di cosa stesse parlando. Quando nasceva Magistratura Democratica, nel 1970, egli non era ancora nato e dunque le sue parole sono una monotona ripetizione delle polemiche berlusconiane contro le “toghe rosse”.

Oggi l’unica corrente che si possa definire di sinistra è Area, che nel corso del tempo si è peraltro omologata alle altre, mentre le distinzioni ideologiche sono nel frattempo evaporate. Cercando di correggere il tiro, dopo le prime dure polemiche, Morrone aggravava la sua posizione affermando che: “Ho parlato così prima, perché come voi sapete il mio partito ha una questione aperta con questi magistrati”. La questione aperta era quella della sentenza della Corte di Cassazione che accogliendo un ricorso della Procura della Repubblica di Savona, riconosceva la correttezza della linea della Procura per il recupero, ovunque venissero individuati, dei 48 milioni di euro di rimborsi elettorali che la Lega deve restituire allo Stato dopo la condanna di Bossi e Belsito (rispettivamente segretario e tesoriere della Lega Nord) per truffa aggravata. Interferenze non isolate se dopo qualche giorno l’instancabile ministro dell’Interno, si improvvisa pubblico ministero richiedendo, con vigore, che avrebbe bloccato lo sbarco dei migranti dalla nave Diciotti, arrivata nel porto di Trapani, se prima non avesse visto scendere in manette i responsabili dei disordini avvenuti sulla nave, che avrebbero determinato il cambio di rotta della stessa verso l’Italia.

Anche qui è urgente un ripassino della Costituzione, quando all’art. 13, stabilisce che la libertà personale può essere limitata solo con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. La costituzione stabilisce quindi una doppia riserva, di legge e di giurisdizione. Non figura (ahimè per Salvini) la possibilità che il Ministro disponga le manette, e neppure la possibilità che ne possa fare richiesta. Questa si chiama divisione dei poteri. Chiaro?

Abbiamo lasciato in fondo quello che è stato l’impegno maggiore dell’azione di governo in questi primi mesi della sua attività. Qui si è dispiegato in tutta la sua potenza e pericolosità il nazionalsovranismo della Lega e del suo leader Salvini, non per nulla insediatosi nella poltrona di Ministro dell’Interno, sicuramente il Ministero più importante e delicato di qualunque governo, quello che presiede alla tutela dell’ordine pubblico, della sicurezza nazionale, del controllo del territorio. L’argomento affrontato per primo, è stato quello del problema dei migranti. Decisivo per comprendere l’indirizzo in materia è stata la frase “Per gli immigrati clandestini è finita la pacchia”, pronunciata in un pubblico comizio dal ministro Salvini il 3 giugno.

La frase trasuda arroganza, disprezzo, ed esprime non solo la personalità di chi l’ha pronunciata, ma l’adesione allo stile brutale, tipico del nazionalismo sovranista, dell’uomo solo al comando, dell’intolleranza verso opinioni dissenzienti. A questo annuncio è seguita l’offensiva verso le navi delle ONG, denominate vicescafisti, sostanzialmente complici dei trafficanti di esseri umani, la chiusura dei porti italiani (illegale quando si tratta di navi di soccorso). Per legittimare comportamenti e decisioni di tal genere deve essere continuamente rinnovata quella paura dei migranti che è stata determinante in campagna elettorale per convogliare consensi elettorali verso i partiti populisti di destra, ma che si continua ad alimentare nella prospettiva di una campagna elettorale infinita. Ecco quindi che il problema migranti da fenomeno strutturale di questa fase storica diviene emergenza nazionale, una vera e propria invasione, un tentativo di sostituzione etnica inarrestabile. Il brillante articolo a firma di Roberto Savio apparso sul numero del 19 luglio di questa rivista ha illustrato il netto divario tra il numero dei migranti percepito dagli italiani e quello reale, facendo giustizia dei messaggi allarmistici propinati per anni ai cittadini italiani assai propensi per la verità a mandare giù le più incredibili falsità messe in giro ad arte.

Non esito a dire che il fondo oscuro di parte del popolo italiano, per decenni pavido e sopito, è riemerso improvvisamente non appena ha trovato personaggi che ne incarnavano le pulsioni più profonde di intolleranza, xenofobia, poggiate su un substrato di incultura, provincialismo, mediocrità morale. La fabbrica delle fake news è operativa e sforna ogni giorno immonde deformazioni della realtà, per stimolare ancora di più se possibile, le menti agitate dei frequentatori dei social, spingendoli a posizioni estreme, a comportamenti brutali a gesti di violenza, in danno di rom, di uomini e donne di colore. Dall’11 giugno ad oggi si contano ben sei casi di uomini e donne di colore (e da ultimo la bambina rom che rischia di rimanere paralizzata alle gambe) che sono stati colpiti da piombini sparati da ignoti con fucili ad aria compressa e in un caso chi ha sparato inneggiava a Salvini…

Neppure l’assenza di attentati terroristici che caratterizza il nostro paese è servita a porre fine alla sovrapposizione del problema del terrorismo di matrice islamica a quello dell’immigrazione. Ciò nonostante, nella città di Brescia, Forza Nuova, formazione politica di estrema destra, ha organizzato ronde notturne denominate “Trincea urbana” per riappropriarsi di territori abbandonati dallo Stato. Una rottura del monopolio della violenza e del controllo del territorio che un Ministro dell’Interno non dovrebbe tollerare. E invece l’esempio è stato seguito in breve tempo in molte città d’Italia settentrionale e centrale. Una domanda sorge spontanea: hanno mai provato questi intrepidi giovanotti ad organizzare ronde antimafiose e antispaccio?

Sul piano europeo il nostro governo si pone accanto alle “democrature” dei paesi del Visegrad, alla Russia di Putin, all’America di Trump, senza prendere atto che gli unici governi europei che hanno accettato di farsi carico dell’ospitalità dei migranti che giungono sulle coste italiane, sono solo quelli di Germania, Francia, Spagna, mentre le “democrature” alleate hanno opposto rifiuti netti e sprezzanti. Una posizione che isola il nostro pese, lo rende non più alleato e leale interlocutore, ma pericoloso modello per le destre interne ad ogni paese. L’Unione Europea è nata sull’esigenza di assicurare sviluppo, solidarietà, assenza definitiva di guerre al suo interno. Gli stati sovranisti sono la negazione dello spirito e della lettera dell’Unione, un elemento di disgregazione dell’Unione e comunque di un suo progressivo indebolimento; prospettiva realistica da non sottovalutare alla vigilia delle elezioni del Parlamento europeo del 2019.