Non sappiamo chi, nella notte dei tempi, abbia deciso di dilaniare la mente degli uomini, ponendo il terrificante interrogativo su chi sia nato prima, l'uovo o la gallina. Che è quesito non da poco perché, a rifletterci, porta con sé filosofia, etica, genetica, biologia con una spruzzata di disincanto. E, quindi, come ovvio, merita ben altri palcoscenici. Ma è un interrogativo che torna e ritorna, quando meno te lo aspetti.

Come il putiferio (anche se superficialmente subito dimenticato) scatenato dalle parole di Eric Zemmour, superstar della destra estrema francese, quando, qualche anno fa (ah, l'implacabilità della Rete...), si era lasciato trascinare, in una intervista, da un tema che da sempre sembra affascinare chi sta dall'altro versante delle Alpi: guardare all'Italia e a porzioni del Paese non con ammirazione, ma con la manifesta voglia di accaparrarsene.

Ora, si dirà che in fondo Zemmour rappresenta ''una parte di una parte'', cioè una destra dichiaratamente antisistema, una fazione che per affermarsi deve ribaltare la politica, intesa come servizio alla gente. Per lui la politica è anche lo strumento per tornare ad alimentare strane voglie sull'Italia. E qui, seppure con parametri diversi, torna il discorso dell'uovo e della gallina, ovvero se qualcuno in Francia vede l'Italia come semplici zone da conquistare, considerando il nostro Stato incapace e codardo, oppure a motivare questo desiderio è l'invidia che da sempre hanno verso di noi.

So benissimo che è un discettare portato all'estremo, ma è solo per cercare di far capire che, da tempi immemorabili (da quando le legioni di Roma piantarono i loro emblemi nel cuore di una Francia che ancora non era tale) i nostri ''cugini'' hanno dei sentimenti contrastanti verso l'Italia, e alcuni di essi sono dichiaratamente aggressivi.

Gli stivali dei soldati francesi in armi hanno calpestato molte volte il suolo italiano soprattutto nei decenni in cui il sogno unitario era ancora tale. E quando Eric Zemmour parla dell'Italia, quella del Nord, come di una naturale prosecuzione territoriale della Francia, riprende un tema che è stato caro anche ad altri, e in tempi non sorprendentemente lontani.

Il verbo del politico d'Oltralpe si può condensare in poche frasi, pronunciate nel 2021 (non nell'altro secolo...), in televisione quando ha detto, candidamente, che ''l'Italia, o in ogni caso l’Italia del Nord, avrebbe dovuto essere francese. Non c’è differenza tra Milano e Nizza. È tutto lo stesso popolo, la stessa città, la stessa architettura, lo stesso spirito. Avrebbe dovuto esserci una grande Francia... Ma tralasciamo il fallimento del mio amico Napoleone Bonaparte''.

Ringraziando il fondatore di Reconquête per avere perimetrato la sua idea di ''Grande France'' limitandosi soltanto alle regioni settentrionali dell'Italia, ci sarebbe da ricordare qualcosa che della Storia lui sembra avere dimenticato o temporaneamente rimosso, a cominciare dalla forte italianità di Nizza e come questo sentimento fu represso (anche nel sangue), sancendone il passaggio alla Francia con un referendum che oggi definiremmo truffa, ma che a quel tempo fu un dramma. Perché, nel rispetto dell'assioma che dice che per uccidere un popolo devi passare per l'annientamento del suo retaggio culturale, i francesi cercarono di fare terra bruciata intorno agli italiani e alla vivacità dei loro circoli, politici e culturali. Però, per sgombrare il campo da facili conclusioni e per completezza di informazioni, c'è da dire che Eric Zemmour ripete, quando ne ha l’occasione, di amare l'Italia, la sua storia, le sue tradizioni, solo che per lui meglio sarebbero se diventassero francesi.

C'è comunque da stare certi che l'ex giornalista de Le Figaro sa benissimo di essere in buona compagnia, in epoca recente, perché a volere allungare le mire, ma anche la mani, sulle regioni del Nord d'Italia fu un certo generale, dotato di un ego spaventosamente grande e che, anche per meriti non completamente suoi, riuscì a prendere solo e soltanto sulle sue spalle il merito della liberazione della Francia dai nazisti, mettendo in un cantuccio quel che avevano fatto gli Alleati, decine di migliaia di morti compresi. Charles De Gaulle era anche questo, un geniale manipolatore della volontà popolare, un intelligentissimo stratega politico (sul piano squisitamente militare non è forse possibile esprimere un giudizio) e abilissimo nel fiutare la direzione del vento. Con qualche eccezione, una delle quali riguarda l'Italia, che per De Gaulle era diventata una fissazione, deciso come era a fare pagare al nostro Paese quanto fatto in guerra.

La Storia racconta che il progetto di impossessarsi delle regioni italiane del Nord non fu elaborato nell'imminenza della fine del conflitto, ma ben prima, nel1943. Che poi il progetto sia finito praticamente in nulla (anche se l'elenco delle zone d'Italia passate alla Francia resta comunque lungo e doloroso) non si deve ad una resipiscenza del Generale, ma al fatto che gli Alleati, con Harry Truman in testa e Winston Churchill (al quale De Gaulle stava cordialmente sulle scatole, considerandolo quasi un profittatore), gli intimarono di finirla e di fare tornare, entro i confini che gli erano stati assegnati con la pace, le sue truppe che, nella sua testa, dovevano spingersi, per restarsi, in Valle d'Aosta, Piemonte e, almeno per svernare, in Liguria.

Ma De Gaulle, che sperava di fare un boccone di parti importanti d'Italia (che lui vedeva solo dal punto di vista del territorio e dell'economia) confidando nella rabbia accumulata dalla popolazione contro il fascismo e la devastazione che aveva lasciato in eredità al nuovo Stato, non aveva fatto bene i calcoli. Perché quelli che lui sperava diventassero suoi alleati nel sogno espansionistico, i partigiani della Valle e piemontesi che, con il loro sangue, stavano irrorando il campo della nuova Nazione, lo rimandarono indietro, ribadendo l'orgoglio di essere e sentirsi italiani.