L’inversione di rotta tanto auspicata in ambito ambientale in un’ottica di risparmio delle risorse e di ritorno ad un uso parsimonioso dell’acqua e del suolo si va oggi configurando anche in termini di “colonizzazione delle tecnologie rurali in ambito urbano”.

La città, gli spazi urbani e le vaste pertinenze – hinterland – vengono nuovamente coltivati (orti privati, scolastici, spazi privati, spazi pubblici dedicati, balconi, aree verdi). Sono quegli ambiti dismessi, marginali, interclusi tra lottizzazioni, lasciati alla colonizzazione di specie pioniere ruderali, sfuggiti all’attenzione delle amministrazioni. Se questi spazi hanno una loro funzione fondamentale per il sistema ecologico anche senza l’intervento dell’uomo – gli spazi definiti “terzo paesaggio” da Gilles Clement, uno dei più noti paesaggisti contemporanei – stanno comunque riacquistando valore. Tutto ciò in un’ottica di “agricoltural urbanism” che si sviluppa originariamente con una ricerca accademica portata avanti da Holland Barrs Planning Group nei primi anni ‘90 e poi divenuta un movimento attualmente attivo nella regione di Vancouver. Allo stesso modo molte sono le ricerche e i movimenti basati su progetti di “Microfarms” , come quello nato su iniziativa dell’International Institute for Simplified Hydroponics, organizzazione no-profit statunitense promossa da un ingegnere americano e da un agronomo israeliano che vede come scenario possibile per il futuro la creazione di tante comunità produttive a piccola scala – microfattorie di circa un acro di superficie (4.046 mq) - completamente autosufficienti ma che garantiscono sicurezza alimentare per una famiglia oltre ad una piccola entrata economica.

La produzione agricola in generale torna quindi a dimensioni ridotte, di qualità, meno supportata da apporti chimici e soprattutto rivolta al mercato locale.

La nascita dei Farmer’s market, mercati comunitari che sono un’alternativa alla grande distribuzione che separa il produttore dal consumatore, o la Community Supported Agricolture - acquisto in anticipo da parte della comunità urbana della produzione annuale di un agricoltore, che poi consegna i prodotti freschi tutto l’anno anche a domicilio - tentano di migliorare la vita degli abitanti abbattendo anche i tempi ed i costi per il trasporto degli alimenti.

Alcuni dati che fanno riflettere: nel 2050 saremo 9,20 miliardi di persone di cui l’80% concentrati in aree urbane per mantenere gli stessi modelli di consumo di oggi dovremo avere molti più ettari disponibili per l’agricoltura.

A Kumasi in Ghana il reddito di alcuni agricoltori urbani è doppio o triplo in certi casi di quello che ricevono i loro conterranei nelle aree rurali.

I bambini che cominciano le loro prime esperienze nella scuola saranno coloro che dovranno, per primi, usufruire di tali modelli di agricoltura sostenibile e compatibile con la sopravvivenza dell’ecosistema e delle comunità a livello economico e sociale. È bene, dunque, formarli fin da subito affinché possano instaurare un rapporto diretto di conoscenza con l’ambiente e la terra che li nutre e ne rende possibile la sopravvivenza. Far capire quindi l’essenza e la valenza indispensabile del sistema naturae e suscitare in loro un rispetto e una sensibilità spiccata, significa stimolare l’innato “sentimento della natura” che viene costantemente offuscato e messo in sordina da modelli di vita artificiali e svincolati dalla terra che ci genera e ci accoglie.

A questo proposito sono ancora poche le esperienze “sul campo” nelle scuole, le scuole attive, le scuole all’aperto nacquero proprio a Padova nei primi del Novecento, ad esempio, per migliorare le condizioni di salute di tanti piccoli. C’è un bisogno impellente di fare esperienza di studiare divertendosi, non bastano le piccole uscite “forzose” una tantum nel parco dietro casa o nella fattoria didattica. In agricoltura c’è necessità di “scuole esperienziali” – una tra tutte quella fondata in Veneto da agricoltori motivati che negli anni Settanta si sono messi a disposizione della comunità per avvicinare anche i più resilienti ad un sistema di coltivazione biologico e biodinamico. Tra i loro primari obiettivi: “La Scuola Esperienziale si fonda su un metodo che rovescia il tradizionale paradigma dell’apprendimento scolastico, basato sulla trasmissione di nozioni da tradurre poi nella pratica, per affermare invece la centralità del momento pratico e il valore dell’esperienza altrui.” Riporto un’affermazione di uno dei capostipiti della scuola esperienziale: “Siamo stanchi di sentire la falsa retorica della stampa e della comunicazione: i giovani tornano alla terra!” “Quei giovani che incontriamo non ci sono mai stati, sono 50 anni che il mondo agricolo si è spopolato e sono rimaste le vecchie generazioni. Dei nuovi sono ancora pochi quelli che, al di là del sogno bucolico, riescono a mettersi a lavorare seriamente e costantemente in agricoltura, perché il sistema è soprattutto complicato, burocratizzato e ingessato da meccanismi di controllo spesso sottoposti al digitale, non molto compatibile con chi sta otto ore chinato sul terreno. Un amico agricoltore mi riprende quando acquisto da lui quattro finocchi appena colti…: “Scusami mi è sfuggito il tuo articolo di ottobre mi è arrivato quando ero sul campo e la sera non ho neanche la forza di mettermi a leggere, ma dimmi, di che parli questa volta?”