Tre articoli, uno pubblicato sulla rivista Bioscience, uno su One Earth *e uno su *Conservation Biology, riportano diverse fasi di una ricerca sul potenziale dei social media nell'aiutare gli sforzi di protezione della biodiversità. Il team di ricercatori è guidato dal dottor Shawan Chowdhury, della Scuola dell'Ambiente dell'Università australiana del Queensland. Questo lavoro ha riguardato il Bangladesh ed è stato condotto setacciando immagini su gruppi Facebook dedicati alla fotografia naturalistica. Ciò ha permesso di aggiungere molte foto di animali, anche specie considerate in pericolo, nel database della Global Biodiversity Information Facility (GBIF). L'esperienza ottenuta potrebbe essere estesa a livello globale.

Anche chi usa regolarmente i social media tende spesso ad averne un'opinione negativa ed è normale leggere commenti se non interi articoli che riguardano i loro lati peggiori. Alla fine si tratta di mezzi di comunicazione usati da persone comuni per condividere qualcosa. Come ogni strumento, possono essere usati in modo positivo o negativo. Lo stesso discorso vale per gli smartphone, strumenti usati anche per gestire le comunicazione sui social. Questi strumenti stanno diventando sempre più utili, soprattutto per quelli che in inglese vengono chiamati “cittadini scienziati”, vale a dire persone comuni appassionate di scienza che contribuiscono a ricerche guidate da professionisti. In questo caso, si tratta di una ricerca sulla biodiversità.

Le aree tropicali del mondo occupano circa il 2% della superficie terrestre ma contengono circa metà della biodiversità globale, in particolare nelle foreste umide. Purtroppo le nazioni tropicali sono spesso arretrate dal punto di vista economico e quelle foreste rappresentano una delle poche risorse per popolazioni che di solito hanno un'elevata densità. I casi in cui quelle foreste vengono sfruttate in modo non sostenibile sono comuni e ciò pone problemi a volte molto seri alla loro conservazione. A volte le autorità locali non hanno i mezzi per monitorare quelle situazioni rendendo difficile anche capire lo stato delle specie che vivono in quegli ecosistemi. Ecco allora che persone comuni possono contribuire a quel monitoraggio.

Il team del dottor Shawan Chowdhury si è concentrato sulla situazione in Bangladesh, una nazione tropicale con una notevole popolazione umana e una biodiversità altrettanto considerevole. Il database della GBIF è il più grande aggregatore esistente per quanto riguarda la biodiversità, nonostante questo i dati inclusi coprono solo una piccola parte della situazione ecologica del Bangladesh. Tuttavia, ci sono molti appassionati che scattano foto naturalistiche e le pubblicano in gruppi su Facebook dedicati a questi argomenti. Setacciare questi gruppi ha portato ottimi risultati.

Il lavoro del team del dottor Shawan Chowdhury ha permesso di trovare circa 44.000 foto di quasi 1.000 specie animali tra le quali ne sono state riconosciute 288 considerate in pericolo in Bangladesh. Ciò amplia notevolmente i dati a disposizione di scienziati e autorità che hanno il compito di monitorare lo stato degli ecosistemi.

Questo studio è concentrato sulla biodiversità in Bangladesh ma il dottor Shawan Chowdhury ha parlato anche di altri possibili usi dei social media. Ad esempio, in Australia le immagini pubblicate vengono usate per monitorare la diffusione di parassiti nel corso del tempo.

Gli aggiornamenti nel tempo delle situazioni nei diversi ecosistemi costituiscono un altro grande potenziale nell'uso dei social media. Il problema è che non esistono sistemi automatici che possano trasferire le immagini e le relative informazioni ai database scientifici. La conseguenza è che i ricercatori devono compiere notevoli sforzi impiegando molto tempo per compiere questo lavoro manualmente. Per questo motivo, gli autori di questo studio sperano di ispirare lo sviluppo di tecnologie che possano compiere quel lavoro in modo automatico.

Questo studio dimostra che il potenziale di questo tipo di utilizzo dei social media è davvero notevole. Con l'aiuto di persone comuni, scienziati e autorità potrebbero migliorare tutte le attività legate al monitoraggio dell'ambiente. Strumenti di uso ormai comune come smartphone e social media possono essere usati in modo positivo e costruttivo con grandi risultati in molte parti del mondo.