Girato da Samantha Stella con piccola videocamera a mano e mini cavalletto e da lei editato dopo due viaggi in California compiuti con Nero Kane, autore delle musiche, Love In A Dying World sgrana un compendio evocativo saturo di legamenti, fortemente ancorati a una ricca filiera di exempla.

Ombre classicamente gotiche, anzitutto, innervate di struggimenti raffaelleschi. Epifanie della catabasi intagliate con la scure, tra immagini e musica. Atmosfere post punk, post new wave, post nichiliste, già esplorate dall’avanguardia musicale degli ultimi trent’anni (da Nick Cave a Morrissey degli Smiths; dai Dead Can Dance a Lisa Gerrard; eredi delle prefigurazioni sulfuree di Jim Morrison, Patti Smith, Leonard Cohen), qui remixate col sentimento delle rovine. Classici i riferimenti carismatici, già riletti da numerose star (Lou Reed, The Alan Parsons, Queen) che a questi testi hanno tributato omaggi e celebrazioni. L’Antologia di Spoon River, certo. Ma soprattutto lui, Edgar Allan Poe, tanto ne Il corvo (composizione arcinota tanto per atmosfera soprannaturale che per musicalità interna dovuta all’impiego dell’ottametro trocaico, contrastante con la tensione paranoica in costante aumento, culminante nella ripetizione ossessiva del celeberrimo Nevermore), quanto in Eleonor che –curiosamente- è anche il titolo di un episodio del film.

Alberi bruciacchiati, rinsecchiti e spogli, fossili al punto che paiono provenire da altre ere, scatole di ricordi, case diroccate, fili del telefono pencolanti privi d’ogni contatto, porte che sbatacchiano, cieli bianchi di gelido sole, macchine scassate, pneumatici sgonfi su camion sfatti, giostrine con cavallini a rilento, tessuti sdruciti, materassi smangiucchiati, mobili che cadono a pezzi, stazioni di pompe di benzina, motel desolati con insegne al neon che paiono ricavati dalle solitudini di Hopper, sequenze narrative che paiono uscire dai manifesti tempestosi del romanticismo, specie dal pennello di Friedrich, cespugli dentati di rovi che paiono corone di spine. Carboni di memoriali ossificati, cimiteri e croci –naturalmente- ondeggianti di rosari sgranati, anelli con teschi, animali scuoiati in mezzo al nulla. Su tutto, la vertigine dell’assenza, la litania del vuoto e della perdita irreversibile. Su tutto, la desertificazione. Il silenzio del vento mulinante.

La laicizzazione della macchina stilistica procede senza redenzioni, tra inquadrature apocalittiche e ipnotiche atmosfere, nella celebrazione della morte estetizzata, fatta di cieli plumbei di nerezza incombente davanti all’abisso dell’infinito, nei risucchi dell’agonia contemplativa che mai si libera. L’umana sete di tortura e di cristallizzazione dell’infranto è il punctum catalitico della venerazione, nella ripetizione saturnina di un ritmo e di una pena da cui -in fondo- non ci si vuole staccare. Nei memoriali dell’ossessione per la perdita si colloca la smisurata mitologia sentimentale dell’occidente, ostinatamente abbrancato alle radici della devastazione. Samantha ne tratteggia il volto contemporaneo, in un compendio narrativo di Ars Melancholiae; un’elegante antologia tesa alla ricapitolazione di tutti i vessilli del lutto, tutte le stazioni dello spleen, tutta la litania del vuoto.

Catafalchi del destino ineludibile, ragnatele del tempo sterminatore. Il nostro più grande terrore, nella coscienza della nostra mortalità; la nostra più grande grazia, il dono di vivere la beatitudine dell’amore, in vita. Per superare la paura, nella voluttà della gioia.

Così, se il centro nevralgico del lavoro dell’autrice è volto a celebrare l’ennesima incarnazione della Nigredo (arcinota fase di decomposizione della materia, primo passaggio di metamorfosi rigenerativa) che mai ha smesso di ispirare artisti, intellettuali cineasti o rock star, in una translatio umanistica eternamente sospirante la litania del Nevermore, l’augurio che facciamo all’artista è di comporre una trilogia -o una quadrilogia- ispirata a tutte le fasi del processo alchemico (Albedo, Citrinitas, Rubedo). Per non piangere i morti per sempre, trasformarli in nuova bellezza, liberare l’infranto e farlo evolvere: in altro spirito, altra carne. Per lasciarlo andare, fuori dal trattenimento, fuori dal regno dell’impossibile.

Eccone un grido di espulsione nei versi di Mariangela Gualteri (Antenata): Tornate. Tornate Tutti, Non si può/stare morti per sempre, bere/i liquidi giallastri, masticare le/cose sporche attaccate. Tornate Belli. Eccone un altro nelle ballate metropolitane di Kate Tempest (Resta te stessa): datele un corpo che la notte respiri a fondo/che sia caldo e senza fine; totale, come la luce. Dalla sezione aurea dei corridoi vedici dell’India millenaria praticante la dottrina della vibrazione e il dharma della non dualità, il resto. Nel furore appagante della forza creatrice, sensitiva, cosmogonica; nella sostanza del moto tutto, nella fecondazione rischiarata dal mutare perpetuo degli elementi. Nel divenire del trascendente incarnato, nelle porte regali della materia illuminata, il Sacro di una danza: per ringraziare e desiderare. In gratitudine, celebrazione, ebbrezza. Fino a completa guarigione.

Love In A Dying World sarà proiettato al Museo Internazionale e Biblioteca della Musica di Bologna domenica 3 febbraio 2019, ore 17 - 19, in concomitanza con Arte Fiera. Presentazione e talk a cura di Paola Goretti in collaborazione con la Galleria Il Pomo Da Damo di Imola.

Samantha Stella è artista visiva, performer, set & costume designer, art director per eventi di arte e moda, e musicista. Nel 2005 ha fondato il duo di artisti visivi Corpicrudi; nel 2007 ha iniziato una fertile collaborazione con il coreografo Matteo Levaggi; nel 2015 ha avviato una carriera solista anche grazie all’incontro con la famosa critica e curatrice Francesca Alfano Miglietti. Il suo lavoro è stato presentato con debutti internazionali in gallerie di arte contemporanea, musei, teatri, chiese e castelli. Nel 2009 ha debuttato al Joyce Theater di New York con il set&costume design per un balletto di Matteo Levaggi che ha ottenuto un’importante recensione da Financial Times NYC e The Brooklyn Rail. Nel 2014 ha performato all’Ace Museum per la Los Angeles Fashion Week. Nel 2016 e nel 2017 ha debuttato all’Istituto Italiano di Cultura di Los Angeles con le performance Hell23 e Love In A Dying World con il musicista Nero Kane.