C’è poco da fare, sono sempre le leggende a offrire grandi lezioni di musica e di vita al pubblico e ai colleghi. Una lezione esemplare in tempi recenti proviene da John Mayall, padrino del “British blues” alla cui “bottega” dei Bluesbreakers (“l’università del blues” venne in realtà definita) si sono formati tanti nomi a loro volta divenuti leggendari (basti citare Eric Clapton, Jack Bruce, Peter Green, John McVie, Mick Fleetwood, e Mick Taylor), il quale è in tour per il mondo ormai da un pezzo a festeggiare i suoi 85 anni, sigillati pure da un nuovo fantastico album in studio zeppo di super ospiti.

Già questo, insomma, la dice lunga sulla caratura dell’uomo. Ben otto date del giro di concerti in questione hanno toccato in primavera l’Italia, riempiendo teatri e sale su e giù per lo Stivale e rivelando (Deo gratias!) come il popolo del blues goda di ottima salute e sia ancora assai numeroso e trasversale. La cosa sorprendente degli ultimi gig, oltre alle canzoni in sé, però è come lo spettacolo non avesse confini e si consumasse sopra e sotto il palco, di fronte e al fianco del pubblico, prima e dopo la musica. Chi scrive ha avuto la fortuna di assistere al concerto tenutosi al Teatro Santa Chiara di Trento il 28 marzo e di trovarsi, totalmente incredulo, ad entrare in sala un passo dietro il “leone di Manchester”, applaudito da tutti mentre con estrema naturalezza e salutando con la mano si avviava verso la scena attraverso i normali accessi del pubblico. Sembra addirittura che poco prima fosse all’esterno del teatro a firmare autografi, conversare amabilmente con i fan e concedere selfie: quanti lo farebbero oggi?

Stiamo parlando appunto di una vera leggenda che in UK ha preparato il terreno per il rock blues (Cream, Fleetwood Mac, Free...), cambiando il corso della storia, e di qualcuno che è stato un “maestro per i maestri”, della sua e delle generazioni a venire (la copertina di Still Got The Blues di Gary Moore, disco del 1990, dove gli album di Mayall figurano quasi come “numi tutelari” della vocazione di Moore, da ragazzino e da adulto, è assai esplicativa di ciò). Appena il musicista ha preso il proprio posto sotto i riflettori, attorniato dalla mirabolante band composta dai fedeli Greg Rzab (basso) e Jay Davenport (batteria), al suo fianco da un decennio buono, e dalla new entry del tour Carolyn Wonderland (chitarra solista, cori, voce), nome d’arte che funziona da “nomen omen”, le note si sono subito impossessate dell’ambiente, trasformandolo in un club londinese in stile Marquee o Klooks Kleek, dove tutto in un qualche modo ebbe inizio.

Con una voce senza età e una versatilità incredibile nel passare dal piano elettrico all’organo Hammond e dalla chitarra elettrica all’armonica, come se ciascuno fosse lo strumento principale, Mayall ha giocato con una discografia sterminata, pescando in ordine sparso dalle varie epoche brani che hanno trovato nelle due ore di musica una loro concatenazione naturale.

L’intenzione in primo luogo era quella di celebrare il blues come una “materia viva” da plasmare secondo l’istinto presente: si tratta di un “verbo” che per essere compreso ha bisogno innanzitutto di essere libero, questo il messaggio. E infatti il concerto è stato autentico divertimento, per chi ha suonato e chi ha ascoltato. La carriera di Mayall, purista e sperimentatore al contempo che con la sua ricerca improntata sulle necessità espressive ha ridisegnato di volta in volta il suono del “British blues”, aggiungendo o togliendo strumenti e introducendo elementi dal jazz e dal rock, piuttosto che dal pop, ha sempre perseguito una sorta di “blues d’autore” che oggi vive un’ulteriore nuova stagione, non soltanto nei pezzi più freschi di scrittura ma anche quando approccia gli “standard” di Chicago e i brani che lo hanno consacrato alla storia.

È così che nel live convivono magnificamente capitoli immortali quali Parchman Farm, la suite blues California, The Laws Must Change, Mama, Talk To Your Daughter e All Your Love (classico di Otis Rush, nonché apertura del celebre disco con Clapton, tenuto simbolicamente come chiusa) accanto a nuove scintillanti gemme come Nothing To Do With Love e, direttamente dall’ultimo album, The Moon Is Full.

La sorpresa poi, a spettacolo finito, di recarsi ancora estasiati ed elettrizzati al banchetto del merchandising per comprarsi un ricordo della serata e di ritrovarvi Mayall e la band a vendere di persona al pubblico cd e magliette e ad autografare vecchi vinili è stato qualcosa di indescrivibile in quanto a stupore e magia. Per chi non avesse avuto l’occasione, il tour di John Mayall durerà fino a fine anno, e da settembre in avanti sarà esclusivamente in Europa (consultare il sito ufficiale per le date).

La lezione continua…