Interrogarsi oggi su cosa sia la danza contemporanea è impresa insieme titanica e affascinante. Non ci sono più codici da rispettare, regole da seguire, musiche da prediligere, testi cui assoggettarsi per dovere. Semmai emergono tendenze e filiazioni, cioè tracce rielaborate di esperienze coreutiche pregresse, digerite e rigettate in un mare magnum di possibilità in continuo cambiamento. Chi predilige la ricerca, e dunque l’ambito della complessità, ha vita più difficile di chi opta per il suo contrario, seguendo il flusso culturale declinate di uno Zeitgeist pericolosamente incline all’intelligibile a basso costo da parte di uno spettatore “passivo”. Senza voler erigere alcuna barriera di giudizio, inopportuna in un’epoca in cui tutta l’arte sembra vivere non solo in difficoltà progettuali ma anche - in specie per gli emergenti - economiche, siamo certe che Entrata di emergenza di Elie Tass dichiari la sua complessità a prima vista.

Questa pièce nata in uno spazio circolare, quasi un’arena, ora si ricrea nell’habitat faraonico e pop di Rem Koolhaas dal fascino incantatorio e in esso prova a compenetrarsi senza perdere la propria autonomia. È una sfida accettata di buon grado da Elie Tass (Gand, 1981), coreografo belga-libanese, ancora sconosciuto in Italia se non come danzatore del suo mentore, Alain Platel, il fondatore dei Ballets C de la B (les Ballets Contemporains de la Belgique, con qualche ironico riferimento, ma non troppo, ai Ballets Russes d’inizio secolo scorso). Coreografo attivo sin dall’inizio degli anni Novanta, ormai notissimo e corteggiato nel mondo per le sue magnifiche regie-coreografie ognuna delle quali non totalizza di solito mai meno delle 400 recite internazionali, Platel è anche capace di fomentare la creatività dei suoi adepti, in modo tutt’altro che epigonale. Se proprio vogliamo ravvisare un contatto con le sue eredità spettacolari, Entrata di emergenza ha solo un momento - la fibrillazione dei quindici corpi in stato di estasi e quasi di follia - che ricorda vesprs (titolo, contrazione da sms, dal Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi), pièce del 2006, in cui Platel esplorava il disturbo psichico, la devozione pervasa di isteria e taluni riti di possessione africani per una conversazione con il Monteverdi sacro camuffato dal jazz e dalla musica, tzigana. Questo breve “rimando a” si inserisce con naturalezza in Entrata di emergenza: una costruzione e decostruzione coreografica che nulla, o quasi, ha a che vedere con il sacro, o con la possessione rituale.

La concretezza dei quindici corpi che si muovono o stanno fermi nel Deposito della Fondazione Prada non si ammanta di alcuna finalità se non quella di compiere un viaggio -“un pellegrinaggio”, dice Tass, - in cui conta la presenza fisica a tutto tondo dei giovani interpreti, il loro sapersi incontrare e dissociare e il loro emettere energie che dal substrato esteriore della loro pelle si sotterra nella loro interiorità, ma vorrebbe raggiungere anche sensi e sensibilità di chi li osserva. Qui solo l’umanità è in gioco: quelle catene inestricabili, tortuose e piene di famelica tensione, quelle posizioni quasi scultoree dove uno o due performer stanno scomodamente sovrapposti, e qualcuno si eleva sopra i compagni, offrono interpretazioni personali. Come il vocalizzo all’unisono che li vede anche schierati da una parte all’altra del vasto e colorato habitat, momento inatteso in cui il corpo-corpo di tutti che era già in scena con naturalezza sin dall’inizio, ora accende pure le corde vocali. È un coro di voci senza parole: modulate, poetiche; sovrasta ed è assai più dilatato nel tempo delle musiche, invece registrate a spicchi e cangianti, come una radio che si ascolta distrattamente in interni ed in esterni: il finale offre, ad esempio, il rombo dei motori di una Formula uno.

Dove siamo?

Già dal suo titolo che contraddice il più abituale “uscita d’emergenza”, Entrata di emergenza implica l’ingresso necessario, quasi assoluto, in quella che già abbiamo menzionato semplicemente come “umanità”. Ogni luogo, interno o esterno, concorre idealmente ad accogliere i suoi atti di movimento, spesso senza tregua, ma anche dolci e cheti. Il manto azzurro-blu che lo stesso coreografo porta in scena nascondendo una danzatrice, suggerisce una pausa quasi religiosa e quelle carezze timide, caute, che tutti si scambiano immettono luce, sciolgono ogni bruciore, anche se questo non cesserà davvero. Fremiti, vibrazioni del ventre (ecco la citazione da vsprs), momenti di libera, anarchica follia o intemperante immaginazione, frutto anche dell’apporto dato dai performer-danzatori alla creazione stessa, ci consegnano al guancia guancia finale e rosso fuoco, di due danzatrici. È questo forse il sunto simbolico e pieno di pietas di un’umanità che ha messo in mostra la sua carne e i suoi sensi come meglio ha potuto seguendo l’input di un “pellegrinaggio” non casuale imbastito da Elie Tass come un saliscendi emotivo in cui hanno peso anche i momenti di stasi-stanchezza e i silenzi-vuoti eppure risonanti.

Con la sua originale freschezza e il suo linguaggio inedito Entrata di emergenza può anche scatenare una sensazione estetica, ma non nella direzione di una bellezza “intelligibile”, anche se saremmo tentate di evocare il platoniano “achrómatos” (la via del bello e del vero) - proprio qui tra i mille vivacissimi colori di Rem Koolhaas - per la bellezza scarna e scabra della pièce. Anche in questo format site-specific, Entrata di emergenza vorrebbe agire direttamente all’interno del sensibile. I sensi - la vista, l’udito, il tatto, il gusto - di chi si esprime e di chi accoglie la sua espressione, non rimandano a significati universali, a idee uguali per ogni osservatore. Non siamo neppure proiettati in un altro mondo, ma restiamo ben ancorati al nostro: difficile chiudere gli occhi di fronte al fascino e alla drammatica ambiguità dei fenomeni che vi si susseguono.

Programma di sala dell’evento Entrata di emergenza di Elie Tass (29 novembre 2019) con diplomati e studenti del Corso Danzatore della Civica Scuola di Teatro “Paolo Grassi”, al Deposito della Fondazione Prada e per gentile concessione della stessa.