È difficile separare il ricordo di Walter Bonatti da quello delle sue fotografie. Ed è sorprendente ogni volta scoprire quanto quest’uomo e le sue avventure siano radicati nella memoria e nell’immaginario di un pubblico tanto differenziato per età e interessi.

Il successo di Bonatti, e questo suo durare e rinnovarsi, ha diverse spiegazioni. La più immediata, appunto, è che Walter ha conquistato più di una generazione e più di un pubblico. L’essere stato prima un alpinista di levatura mondiale, poi il fotoreporter-esploratore di un periodico di rilevanza europea, lo ha tenuto complessivamente “in scena” per quasi un trentennio, periodo al quale è seguita l’attività a tempo pieno di autore di libri e conferenziere, durata altrettanto (e lungo più di 50 anni, da quel fatidico 1954, si è peraltro dipanata la vicenda del K2, costellata di polemiche e colpi di scena).

Attività diverse, tutte affrontate con caparbia serietà e con versatile talento: Bonatti imparò a fotografare, e a scrivere, le proprie avventure con la stessa dedizione posta nell’imparare i segreti della montagna. E se l’alpinista estremo (e spesso solitario) aveva conquistato l’ammirazione degli uomini e il cuore delle donne, l’essere insieme narratore e protagonista delle proprie avventure, e non semplice documentarista, lo proietterà anche nell’immaginario dei più giovani.

Ad ogni viaggio, Bonatti partiva alla ricerca dei suoi ricordi letterari e dei suoi eroi, cercando di riviverne le avventure. Bonatti, bello e coraggioso e forte e sfrontato, era Tarzan, era Robinson, era Tom Sawyer. Nella vita, e sulle pagine delle riviste, Walter faceva quello che avrebbe fatto qualunque bambino, se avesse potuto, e anche se oggi i nostri riferimenti non sono più Davy Crockett e Sandokan, Zanna Bianca e le tigri, quello spirito rimane intatto.

In questo processo di immedesimazione la fotografia era fondamentale. Con quegli scatti, il racconto diventava evidenza visiva, prova di verità. Molte tra le folgoranti immagini di Bonatti sono grandiosi “autoritratti ambientati” e i paesaggi in cui si muove sono insieme luoghi di contemplazione, di scoperta. Bonatti si pone davanti e dietro l’obiettivo. Decide lo scatto con meticolosa cura; contemporaneamente, programma il suo ruolo attivo, e sempre diverso, in ogni composizione. Certo, è consapevole dell’inquadratura ma anche dell’eco avventurosa che ognuna di queste immagini lascerà nella mente e negli occhi di chi le osserverà. Nelle fotografie, Bonatti riesce a cogliere la sua stessa fatica, la gioia per una scoperta, così come le geometrie e le vastità della natura che andava esplorando.

Saranno dunque queste immagini, con il protagonista-attore ad animarle, a diventare per i lettori di più di una generazione l’orizzonte esotico dove collocare i propri sogni. La presenza di Bonatti all’interno delle sue foto faceva esplodere la fantasia, trasformando le sue avventure in romanzi, in film, in fumetti (e qualcuno proverà poi davvero a realizzarli, quei fumetti).

Così, immagine dopo immagine, reportage dopo reportage, si compie il racconto dell’avventura e, insieme, il “romanzo dell’io” di Walter Bonatti. È lui il personaggio che si cala nel vulcano, costruisce una zattera per domare il torrente impetuoso, una capanna per spiare la tigre. Lui rincorre i varani, nuota con gli ippopotami, si fa strada nella giungla col machete, viaggia sul fiume dei cercatori d’oro, tira le frecce con gli indios, parla con gli uomini primitivi, bivacca nel deserto e al Polo, approda all’isola dei naufraghi, afferra i serpenti e cerca i dinosauri nel mondo perduto.

Oltre all’indubbio talento nello scegliere e inquadrare i suoi soggetti, era palese in Bonatti il piacere di fotografare, di guardare. Di andare a vedere, appunto. Per sé innanzitutto, e poi per mostrare e raccontare agli altri. Una passione, e probabilmente anche un’esigenza, nate già negli anni dell’alpinismo (con i trionfi e le amarezze che li segnarono) e poi consolidata nel tempo, con i racconti d’imprese affascinanti e impossibili. In questo catalogo come in mostra, le immagini di Walter Bonatti compongono un lungo, unico diario di viaggio dove, in una sequenza non cronologica ma certo non casuale, si intrecciano visioni e ricordi. Le fotografie sono accompagnate da brevi note dello stesso autore, parole tratte dai suoi molti testi, da quelli apparsi sulla rivista Epoca negli anni dal 1965 al 1978, alle memorie dei suoi libri, ai resoconti delle conferenze tenute negli ultimi anni: notazioni con cui Bonatti illustrava il senso e il valore di ogni immagine e, insieme, il senso e il valore unico di ognuna delle sue tante avventure.

Testo di Alessandra Mauro e Angelo Ponta