Nel museo San Domenico Maggiore a Napoli (il Doma), nella Sala degli arredi sacri, era conservata una copia del Cristo benedicente, proveniente dalla bottega di Leonardo. Il Salvator Mundi - questo il nome dell’opera - è stato ritrovato dalla squadra mobile di Napoli nel gennaio 2021, dopo essere stato trafugato probabilmente durante il primo lockdown. “Il quadro l’ho comprato una decina di giorni fa a Volla da un rigattiere: mi ricordava il Volto Santo. L’ho pagato cento euro”. È così che il trentaseienne napoletano nella cui casa era nascosta l’opera si è giustificato.

Il mistero della scomparsa e riapparizione improvvisa s’intreccia con un passato ancora più buio. Bisogna riflettere sui metodi di protezione e conservazione delle opere - è quanto ha detto il comandante della Squadra Mobile che ha ritrovato il dipinto. Alcuni pensano che dietro al furto ci sia un’organizzazione e un disegno ben preciso. In fondo, si tratta della copia dell’opera più costosa venduta all’asta (450 milioni di dollari, di cui a oggi si sono perse le tracce). Il Salvator Mundi originale, infatti, pare sia stato acquistato da Mohammed Bin Salman, recentemente intervistato da un senatore della Repubblica italiana, su un ipotetico Rinascimento arabo.

Sembra che l’autore del dipinto napoletano sia sconosciuto, anche se vi sono diverse ipotesi a riguardo.

Una delle teorie più avvalorate identifica l’artefice in Girolamo Alibrandi da Messina, per la ripresa del sostrato d’ispirazione fiamminga e antonelliana di cui l’opera mostra diverse tracce, ma non è da escludere un intervento dello stesso Leonardo.

Nel 2015 durante una mostra allestita a Napoli per la visita pastorale di Francesco, furono esposte tre opere con il tema Salvator Mundi, una di Leonardo da Vinci e di un suo collaboratore; l’altra del siciliano Girolamo Alibrandi (dipinto conservato presso la chiesa partenopea di San Domenico Maggiore e oggetto della sottrazione); infine la terza attribuita a Gian Giacomo Caprotti detto il Salai, e secondo alcuni, amante del Maestro.

La tavola del San Domenico Maggiore, risalente al XV secolo, probabilmente fu acquistata da Giovanni Antonio Muscettola a Milano. Il nobile napoletano (discendente da una famiglia originaria di Ravello), consigliere di Carlo V e ambasciatore alla Corte papale, durante uno dei suoi viaggi nel capoluogo lombardo, incontrò Leonardo, che in quel periodo stava dipingendo il Cenacolo (anno 1513 circa).

Intorno al 1520 l’opera arriva a Napoli e va ad abbellire la cappella Muscettola. Dopo la caduta del Regno di Napoli, i monaci di San Domenico nascosero molte opere nel Monastero, e fra queste anche il Salvator Mundi. Il Doma, oltre al dipinto, custodisce i tesori dei padri predicatori di San Domenico, insieme ad affreschi e rivestimenti pregiati settecenteschi, che impreziosiscono uno dei complessi monumentali più prestigiosi di Napoli. Solo nel 1984, l’opera sarà esposta a Napoli e Roma, in occasione della mostra Leonardo e il Leonardismo.

Oltre alla copia di Caprotti, ci sono quella di Cesare da Sesto e tante versioni di pittori anonimi, conservate in diversi musei.

Ma chi è il Salvator Mundi del Doma? La figura enigmatica che con una mano benedice e con l’altra regge il globo (una sfera di vetro) e ha il viso diviso in due? Due sguardi, ambigua sessualità, due anime mescolate in una. Un’immagine potente e sconvolgente, affascinante e misteriosa come la natura umana.

Se la bellezza è negli occhi di chi guarda, allora lo sguardo del rigattiere coglie solo metà della vera bellezza, come quello del banditore e del principe erede al trono. Il re, il vero Salvatore del Mondo sembra guardare anche loro, con lo sguardo (forse due sguardi) su due mondi, su profondi universi, come a dirci che noi stessi siamo due. Due nature che si dividono e s’incontrano in un unico essere perfetto.