La Pinacoteca di Brera di Milano rappresenta un tesoro inestimabile nell’ambito dei beni artistici che la metropoli lombarda può presentare ai propri cittadini e ai visitatori provenienti da tutto il mondo. Dalle sue splendide collezioni di icone medievali si passa alle opere di alcuni dei più grandi artisti della storia dell’arte come, per esempio, Piero della Francesca, Raffaello, Caravaggio. I nomi di coloro che hanno contribuito con la propria estetica a cambiare il mondo sono centinaia.

Di sicuro quella della Pinacoteca di Brera è una collezione che in qualunque Paese del mondo sarebbe considerata la più importante e prestigiosa a livello nazionale. In Italia come sapete benissimo è solo per la presenza di altrettante meraviglie ancora più pubblicizzate come gli Uffizi, i Musei Vaticani e le Gallerie dell’Accademia di Venezia che tale percorso nella meraviglia che Milano offre sia ancora oggi non conosciuto da tutti. Non dimentichiamo che a poca distanza possiamo trovare il Cenacolo di Leonardo Da Vinci e la Pietà Rondanini di Michelangelo, giusto per citare due tra i capolavori più incredibili, capisaldi della nostra evoluzione culturale. Tra le innumerevoli opere che si succedono nella Pinacoteca, ce ne è una in particolare in cui, almeno una volta nella vita, ciascuno dovrebbe immergersi fino all’ultima scintilla della propria anima: sto parlando del Cristo morto del Mantegna.

Nella piena esplosione creativa del Rinascimento atterra d’improvviso da un mondo alieno quest'oggetto misterioso, una tela immaginata, vissuta e dipinta da mani e occhi del futuro; una tela nata dallo sguardo di chi ha potuto, per un attimo di illuminazione razionalmente inspiegabile e a dispetto dei propri coevi cinquecenteschi, osservare il mondo come lo potremmo osservare solo noi, abitanti del pianeta Terra del XXI secolo.

Di fronte all’opera del Mantegna vediamo il corpo ceruleo del Cristo senza vita, appena deposto dalla croce, con una visione prospettica sconvolgente, direi quasi cinematografica.

Di colpo, come un fulmine a ciel sereno, il Mantegna anticipa di centinaia di anni l'evoluzione dello stato dell'arte mondiale e offre ai suoi contemporanei una visione futuribile e dinamica a dir poco impressionante. Osservando attentamente il dipinto, anche lo spettatore del secondo millennio può restare letteralmente senza parole. Il punto di vista dal quale l’artista ci permette di vivere la scena è innovativo e sconvolgente; il corpo disteso del Cristo viene rappresentato per il lungo da un livello poco al di sopra del livello dei piedi. Il punto prospettico, di cui il Mantegna è stato senza dubbio uno dei più grandi interpreti del tempo, è completamente ribaltato rispetto alle canoniche regole rappresentative. In qualche modo possiamo affermare che la verità oggettiva dell’immagine è rivoluzionata e sottoposta all’intenzione cosciente dell’artista che richiede all’osservatore, per la prima volta nella storia, di non vedere semplicemente ciò che c’è ma di attivarsi nella propria interiorità e di vivere in modo diverso la drammaticità di una scena rappresentata migliaia e migliaia di volte fino a quel momento con una modalità che è sempre stata più ingenua, facile e immediata.

Il Mantegna, usando appieno la coscienza superiore del proprio daimon, si appella al nostro, di daimon, per aumentarne a dismisura l’effetto di coinvolgimento e partecipazione. Con una sapienza tecnica sopraffina aumenta le dimensioni di ciò che è lontano e rimpicciolisce ciò è più vicino, andando contro ogni regola portata avanti fino a quel momento da lui stesso e dagli altri maestri rinascimentali.

Mantegna ci accompagna quindi fin dentro il quadro e ci porta sopra il Cristo. È possibile (e la cosa non è per niente rara) provare di fronte al Cristo morto il senso delle vertigini. Il vortice del senso del vuoto ci attira come una forza invisibile e misteriosa.

Mantegna, con quest’opera, ci dimostra che l’artista può farci vivere emozioni che la nostra realtà non è in grado di fare seguendone le regole naturali. È una visione del tutto moderna dell’arte. La sua non è più semplicemente prospettiva: la sua è propriamente una prospettiva cosciente.

Personalmente un esempio contemporaneo che sento di porre alla vostra attenzione è quello, in ambito cinematografico, di Stanley Kubrick e della sua steadycam: stesso concetto di partecipazione e coinvolgimento dello spettatore, con un’altra arte e ben cinque secoli dopo. Mantegna conosce le regole della prospettiva come pochi altri del suo tempo e proprio per questo si sente in grado di stravolgerle, deformarle, adattandole al suo messaggio. Un’operazione in stile Picasso-Cubismo. Quello del Mantegna è, oserei dire, uno dei primi tentativi di rappresentazione espressionistica della storia dell’arte.

Lo spettatore di fronte all’opera si trasforma, non c’è scampo; lo fa anche solo inconsciamente; evolve e acquisisce nuove lettere fino ad allora sconosciute per comprendere l’alfabeto che compone la nostra esistenza.

Lo storico dell’arte ne rimane strabiliato e da qui può porre una pietra miliare che gli consentirà di decifrare i linguaggi successivi.

L’artista non può fare altro che meravigliarsi, emozionarsi e ringraziare il proprio maestro per tutto il resto della propria vita.

Mantegna maestro eterno, Mantegna artista evoluzionario.