Nigredo e viriditas sono lo sfondo cromatico di una apparizione arcana. Una vergine corvina e al contempo primaverile e fiorita, un’Opera al Nero che si svela nell’attimo del miracolo di una trasmigrazione alchemica. Octavia Monaco intrattiene un rapporto privilegiato con quelle che è solita definire sfumature di neritudine, gradazioni tonali che intessono la narrazione del femminino sacro nelle sue poliedriche espressioni di significato. Tutta la sua poetica pittorica ne è impregnata. La Reina Selvatica è infatti solo una delle molte signore della notte che si affacciano all’universo creativo di questa artista: figure il cui volto non è mai totalmente oscurato, ma sempre parzialmente toccato dalla grazia della luce di un’alba incipiente.

Nigra sum sed formosa! Sono nera eppure bella. Nera come è sempre stata ogni incarnazione di Nostra Signora del Sottosuolo. Iside egizia, terrena e infera, o la Vacca Celeste Hator dalla testa brunita. La tenebrosa Moira del destino, la fosca notturna Ecate, e Afrodite, che talora fu aurea e talora rappresentata con volto scuro e lucente sotto il nome di “Melenide” e “Scotia”: la nera, l’oscura. E ancora Gaia dall’ampio petto, in seguito chiamata Demetra la Nera, madre offesa rivestita di un fosco mantello di lutto. In onore di queste dee pagane, nigra et formosa è stata anche la Vergine cristiana in molte sue potenti icone, che trattengono indizi di una filogenesi antica. Per forza di attrazione di una memoria archetipica indissolubile, alcune Madonne sembrano ipostasi della dea nera. Scure come notte che partorisce l’alba.

In ogni mito cosmogonico il nero ha rappresentato il mistero preesistente alla generazione, contenitore dello spirito latente in ogni cosa, che è caotico e indistinto prima di coagularsi in materia. Secondo gli antichi misteri dal grembo di Notte dalle ali nere venne partorito un uovo d’argento, e da quella schiusa, nelle profondità infinite delle tenebre, nacque Eros, principio dell’amore che feconda e muove l’universo. In fondo, anche ogni esistenza vegetale matura in un nero grembo di terra, così come ogni vita umana nell’utero di una madre. Quanti eroi sono nati in una grotta! E quante eroine hanno compiuto la loro dormitio iniziatica nelle tenebre di un sonno incubatore... Così è la psiche nella sua natura più crepuscolare e segreta, ombra fresca che nel buio e dal buio si individua e fiorisce.

Il ventre della Reina Selvatica di Octavia Monaco è un orizzonte degli eventi sul quale affacciarsi, una finestra sul mistero del cosmo, sulla sua pace, sul suo silenzio. Comprende tutte le possibilità, è distillato di tenebra. È simile al Tartaro tenebroso, questo ventre di donna, eppure preannuncia un’aurora che lentamente colora l’orizzonte col suo passo tenue, dissipando la paura. La nigredo dell’opera alchemica si rigenera e purifica in un nuovo stato, e la forza inizialmente centripeta si espande finalmente fiorendo.

Questo è ciò che la neritudine del femminino della Reina Selvatica comprende e abbraccia, in una vertigine di richiami e simboli. Dai recessi del suo ombelico cosmico si effonde una condizione aurorale, mentre fioriture dalle pallide tinte pastello giungono a celebrare la metamorfosi di un femminile che esibisce e dispiega antiche ali, prova delle sue precedenti incarnazioni. Un accenno di biancore svela un volto che si annuncia ieratico e sereno. Rose ne inghirlandano il volto: è la viriditas che germoglia, si espande e apporta linfa, invitando la dea che un tempo si diceva avesse dita di rosa dal delicato tocco. Tutto può avere inizio, in questo nascente stato aurorale.

“Grembo di infinito. Icona di neritudine. Ritengo racconti il matrimonio sacro, lo hieròs gàmos, la coniunctio oppositorum, l’unione mistica tra la luce e le tenebre, l’oscurità, tra il giorno nascente e la notte cosmica al suo interno, il cielo sterminato popolato e misterioso nel quale siamo immersi. La luce nella fronte è di fiamma psichica, aurorale. Si tratta anche di una celebrazione, una dimensione primaverile di fioritura, da intendersi simbolicamente come momento della luce rinnovata e ritrovata.” (Octavia)