Il fascino del mistero si lega in modo imprescindibile e affascinante alla vita privata del più importante personaggio storico del ’500 e rende un’intima umanità espressa nel volto del Bambin Gesù delle mani di Pinturicchio. Uno straordinario brano di arte rinascimentale, un dipinto murale più che un affresco, uno dei momenti più alti dell’arte del Rinascimento, con una sua straordinaria e alquanto unica storia.

L’opera è materialità che si va sommando all’espressione estetica e al momento di espressione artistica dell’autore. Essendo materia, a differenza della poesia, l’opera d’arte ha la caratteristica di vivere un proprio itinerario storico che può arrivare ad eguagliare la stessa espressione e gli stessi sentimenti che l’artista ha voluto rappresentare e rendere visibili.

Il Bambin Gesù delle mani sembra quasi un’avvincente giallo poliziesco che ha avuto origine oltre 500 anni fa, o forse una favola in cui una magia lo ha avvolto con un incantesimo, lo ha occultato fino quasi farlo dimenticare, tanto che ha dovuto attendere mezzo millennio per essere di nuovo svelato.

Una vicenda che ha attraversato i secoli con un alone di fascino e reverenza, ma soprattutto di scandali, si snoda tra storia e realtà vive, tra passioni e ambiguità; tra la leggenda, non troppo leggenda di Papa Borgia, ovvero Alessandro VI. Con lui, un enigma che rende tutta l’umanità e i sentimenti non di un Papa, ma dell’uomo non certo avverso ai piaceri carnali, e protagonista anche di una vivace vita sentimentale. Uomo che gestì un impero potente, senza precedenti e fu uno dei pontefici più discussi in assoluto della storia della chiesa.

Vi è poi una nobildonna, Giulia Farnese, sua concubina, tanto da essere nominata Sposa Christy; era una donna splendida, molto probabilmente la più bella della Roma rinascimentale, sicuramente affascinante modello di bellezza per molti pittori dell’epoca; di lei ci sono giunte fama e descrizioni accurate, ma nessun ritratto certo. Fu l’amante del Papa, conosciuta appena sedicenne, vi si innamora immediatamente. Protagonista nell’ombra in questa vicenda è invece il fratello di Giulia che appena venticinquenne grazie all’intercessione della sorella con la brevissima ascesa di un giorno, assume la porpora cardinalizia e divenne in seguito Papa col nome di Paolo III, è colui che commissiona a Michelangelo il Giudizio Universale nella Cappella Sistina.

Infine, il pittore. Bernardino di Betto, il più celebre artista perugino dell’epoca, di un successo straordinario: il Pinturicchio, artista importante sullo scorcio della Storia, pittore ufficiale per ben cinque Papi: Sisto IV, Innocenzo VIII, Francesco della Rovere, Pio III, Giulio II. Esegue il ritratto dell’uomo più potente dell’epoca, Borgia.

L’amore, la follia, escono allo scoperto, soprattutto se si parla di un Papa di tale importanza, in un periodo storico cruciale per l’Europa intera, e per il mondo: quello che vede la scoperta delle Americhe, data divenuta linea di demarcazione che ha proiettato il Rinascimento tutto d’un tratto nell’Età Moderna. Prende forma così il valore immateriale della storia, il racconto va ad alimentare e arricchire la sfera privata e più umana delle persone legate al percorso nel tempo storico di un’opera d’arte, della quale a noi sono giunti due frammenti di un affresco di una bellezza e di una raffinatezza incantevole: un Bambin Gesù denominato delle mani, perché si vedono le mani della Vergine Maria che lo tengono in braccio e una mano che gli tiene un piedino; e una Vergine Maria, in un altro frammento distinto. Di questi si sapeva solo con certezza che erano del Pinturicchio, ma la storia e gli eventi avevano offuscato la fama fino a cancellarne la provenienza.

Dopo la morte del Papa si è voluto annullare tutto quanto lo rappresentasse, proprio a volerlo dimenticare dalla storia e dai ricordi, dal Vaticano, da tutto, quasi non fosse mai esistito. Come una macchia per la Chiesa Cattolica.
Fu il Perugino l’artista che secondo la tradizione avrebbe immortalato su una parete degli Appartamenti Borgia, in Vaticano, una scena assolutamente compromettente, come ci rivela una curiosa testimonianza di Giorgio Vasari, contenuta nella ben nota opera, Vite, che nel tempo conosce una strana fortuna: «Ritrasse sopra la porta d’una camera La Signora Giulia Farnese nel volto d’una Nostra Donna, e nel medesimo quadro, la testa d’esso Papa Alessandro che l’adora». Una delle frasi più celebri, ambigue, quanto discusse, del Vasari. Contenuto particolarmente piccante per l’epoca e per i pettegolezzi dei secoli successivi, in modo particolare nel periodo della Controriforma perché ci dice in sostanza che il pittore autore dell’opera, avrebbe avuto la sfrontatezza di ritrarre una scena in cui un prelato, addirittura Papa, si sia fatto ritrarre inginocchiato di fronte a una Madonna, che inoltre aveva le sembianze di Giulia Farnese, tradizionalmente nota per essere la sua amante e addirittura concubina.

Borgia volle questo intimo quadro familiare proprio dirimpetto il suo letto da dove poteva vederla bene, in un ramo però meno noto della sua stanza da letto con soffitti dorati; nell’alcova campeggiava sopra la porta che conduceva al guardaroba. Essendo in Vaticano, il Pinturicchio la rappresentò nelle spoglie della Vergine Maria che tiene in braccio il Bambin Gesù, ed inginocchiato di fronte a loro, il Papa, che giocherella con un piedino del Bambino. Sembra proprio un quadretto famigliare di profonda e calda intimità.

Tutti gli autori successivi che si sono occupati di Alessandro VI, di Giulia Farnese o degli stessi appartamenti Borgia, riportano sempre il passo del Vasari, ma tutti arrivano sempre alla stessa e medesima conclusione, senza via di scampo: Vasari si è sbagliato, sicuramente si tratta di un’inverosimile maldicenza rinascimentale. La citazione del Vasari è stata ritenuta falsa perché mai nessuno storico era riuscito a trovare l'affresco.

Alla morte del Borgia, Giulio II, suo acerrimo nemico, non vuole assolutamente dormire nella stessa camera da letto; avrebbe dovuto dormire circondato dagli stemmi del predecessore, con di fronte agli occhi l’opera considerata scandalosa: Borgia in adorazione della sua amante. Il nuovo papa commissiona quindi a Raffello l’affresco degli alloggi superiori dove va a risiedere. Gli appartamenti Borgia vengono chiusi, nessuno vi può entrare se non pochissimi occhi assolutamente fidati.

Il Duca di Mantova, Francesco IV Gonzaga, riceve dal proprio ambasciatore la notizia che l’opera esiste veramente ed è custodita segretamente in Vaticano. Siamo nel 1612, anno in cui termina l’infinito cantiere di San Pietro, in Vaticano si introducono furtivamente 2 personaggi, Aurelio Recordati, ambasciatore del duca di Mantova, e Pietro Facchetti, il pittore personale straordinario copista. Pagato profumatamente dovette entrare negli appartamenti Borgia di nascosto; dopo aver corrotto un guardarobiere con un paio di calze di seta, riesce a farsi svelare l’affresco occultato prudentemente con un panno di stoffa; esegue quindi una copia su tela e la invia a Mantova. Il Duca si ritrova così tra le mani una testimonianza alquanto scomoda per la rivale famiglia Farnese. Esiste ancora il carteggio che evidenzia la particolare sensibilità dell’opera, “la prova provata” della nascita scandalosa della casa farnese sta su un muro: l’avvenenza di Giulia. Ci si aspettava che l’opera fosse utilizzata dai Gonzaga per mettere in cattiva luce i Farnese, ma non fu così, probabilmente un matrimonio sancì nuove alleanze e legami proficui.

Papa Alessandro VII, Fabio Chigi, al suo insediamento vuole cancellare ogni Traccia di Borgia, in modo particolare l’affresco tanto incriminato, ma il nipote lo ferma. Anziché essere distrutta, l’opera viene asportata staccando l’intera porzione di muro di uno spessore di ben 6,5cm. Dell’intera scena vengono suddivisi i 3 personaggi; sicuramente fu distrutto il Borgia. Le due cornici, quella del Bambin Gesù e quella della Madonna, sono le sole ed uniche opere uscite dal Vaticano. Il Chigi le porta a casa nella sua personale collezione, a Palazzo Chigi, separate l’una dall’altra da altre 99 opere di distanza per camuffare il riconoscimento. E così fu. Per secoli.

Nel 1897, Leone XIII, che fu vescovo di Perugia si rende conto che gli appartamenti Borgia, che avevano la fama di contenere opere scandalose, erano uno dei più grandi cicli di affreschi del ’400; così li riapre al pubblico. Subito si avvia una vera e propria caccia al tesoro della tanto sacrilega opera perduta. Nessuna opera corrisponde! Né per collocazione, né per personaggi: Vasari aveva inventato tutto! Quello che restava era solo una serie di eventi fortuiti che si legano con la storia dei liberi comuni e delle famiglie nobili del ’500, ha permesso di non dimenticare del tutto le tracce storiche.

Esiste un dipinto, che è una copia esatta, fatto prima che l’affresco fosse staccato dalla parete, per ricattare la discendenza dei Farnese; ma tenuto poi ben nascosto; nemmeno gli eventi bellici delle due guerre sono riusciti a cancellare le tracce. Anche i segreti meglio custoditi sono soggetti agli imprevedibili eventi del tempo e del caso.

Nel novembre del 1940 una principessa romana in visita a Mantova, Eleonora Chigi Albani della Rovere, accompagnata dal figlio Giovanni Incisa della Rocchetta, storico dell’arte, accolgono l’invito di una Marchesa strettamente legata ai Gonzaga, e invita a vedere le straordinarie opere d’arte. In fondo a un corridoio si trovano una tela che rappresenta una madonna con bambino e prelato inginocchiato. È la tela del Facchetti e loro, le uniche persone che possono riconoscerlo e dare un significato al quadro in una città che non ha niente a che fare con Roma, e soprattutto una scena completa che loro non possedevano. I due personaggi della scena corrispondono a quelli raffigurati in due dipinti distinti che appartengono da secoli alla propria famiglia materna: una Madonna e un Bambino. I due quadri sono gli unici superstiti alla distruzione del dipinto Vaticano originario, ordinata a metà Seicento dal suo antenato Fabio Chigi, eletto Papa col nome di Alessandro VII.

Dopo numerose ricerche Giovanni Incisa della Rocchetta capisce e ha la certezza dell’opera e della veridicità della frase del Vasari. La sconcertante scoperta, però, così come è apparsa, sprofonda nuovamente nell’oblio, l’Italia entra in Guerra! Una specie di onda continua a cullare il quadro. Solo a fine della Guerra Giovanni pubblica un saggio della sua scoperta, su un giornale minore per tutelarsi, ma non viene letto da nessuno. Per fortuna, la storia ha voluto diversamente, gli intrecci e gli enigmi sono stati svelati solo da pochi anni.

Nel 2004 il caso, o la sorte, decide che la tormentata opera torni alla luce. Ecco che nel circuito antiquario compare un magnifico dipinto murale, viene individuato un Pinturicchio che raffigura il Bambin Gesù, caratterizzato però da un ambiguo quanto enigmatico intreccio di ben cinque mani. È lo snodo centrale dell’affresco perduto. Si trova nel milanese. Il Nucciarelli, storico dell’arte, lo propone a diversi soggetti, fino che viene studiato dalla Fondazione Giordano. Vengono rintracciate fonti, carteggi, si riesce a ricostruirne la storia a prova provata che il bambin Gesù è la chiave, lo snodo di uno dei più affascinanti e straordinari misteri italiani. Può finalmente mostrarsi al pubblico e raccontare senza censure la sua vicenda che oscilla tra la curiosità e l’enigma.

Grazie alla Fondazione Giordano, e alla Famiglia Margaritelli, questo enigmatico frammento di arte ha trovato una svolta e un racconto affascinante, rendendo l’umanità e i sentimenti a tanti personaggi della storia, che prendono forma e non restano più piatte date sui libri; si trovano in rilievo, tra le dorature nell’aureola del Bambin Gesù dell’affresco che sembrano essere state fatte proprio con il primo oro riportato da Cristoforo Colombo dalle Americhe e regalato una parte ai reali di Spagna; ed una parte al Borgia, che era di origini spagnole.

I sentimenti sono sempre tali, in qualsiasi epoca e paradigma esistenziale: l’arte, attraversa i secoli, rendendoci scorci di tempo, frammenti di vita quotidiana, e lo spessore di fragilità umana.