La cultura è un meccanismo creato dall’uomo, capace di produrre pensieri e comportamenti comuni agli uomini membri di una determinata società. Tale meccanismo è particolarmente intricato e complesso, un sistema potremmo definirlo, che si trasforma continuamente; un sistema vivente nel senso che vive nelle persone che la utilizzano e che a loro volta cambiano con il passare del tempo. Dagli anni 2000 parliamo di globalizzazione culturale cioè una unificazione su scala mondiale dei modi di pensiero e di comportamento delle persone grazie anche all’uso dei grandi mass media (internet, TV, radio, cinema). Un processo che coinvolge quasi tutta la popolazione dei paesi occidentali, Giappone ed Australia oltre alle classi sociali a reddito medio-alto dei paesi economicamente più arretrati.

Il lato più interessante di tutto questo processo è una complessità mai esistita prima, data dal mescolamento delle culture tra di loro. Complessità è il termine che più mi piace per definire lo sviluppo della società contemporanea e di fronte ad essa è particolarmente evidente l’esigenza contemporanea di semplificare le cose, banalizzandole proprio per evitare di ammettere di non essere capaci di comprendere tutta quella complessità e tutte le sue sfumature. Un’impresa titanica potremmo dire che però evidenzierebbe la nostra limitatezza e l’uomo contemporaneo non vuole definirsi “limitato”, lui che con la globalizzazione ha superato i limiti fino a quel momento possibili.

Tutto questo discorso che tradisce la mia formazione come sociologo è probabilmente alla base del mio interesse e della mia stima incondizionata per uno degli artisti italiani a mio avviso più talentuosi ed originali: Maurizio Cannavacciuolo. Ogni volta che ho l’onore di visitare il suo studio resto incantato di fronte a tanta ricchezza di riferimenti e citazioni. È successo lo stesso con la visita della mostra Don’t worry, Don’t worry, Don’t worry, Be happy, Be happy, Be happy presso Visionarea ArtSpace di Roma. Qui troviamo due cicli distinti di opere rigorosamente in bianco e nero quasi a voler bilanciare la complessità delle stesse, e già questo si ricollega a quanto ho scritto sopra. Un insieme sconfinato di storie, di simboli, di optical pattern o motivi arabeggianti.

Un invito a prenderci del tempo per scoprire, interpretare, collegare figure, simboli, intrecci nascosti. Un invito a riflettere, perché arte non è superficialità. Il Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale che organizzato la mostra ha affermato: «La ricerca iconografica di Maurizio Cannavacciuolo è intrisa di quel certo humor tipico del teatro dell’assurdo ed è caratterizzata da una figurazione che indugia tra il fumetto, la citazione delle pubblicità di un tempo e un vasto substrato di simbologie sacre e profane. Si tratta di una visione ironica dell’arte che tuttavia, supportata da uno stile pittorico intriso della tradizione mediterranea ma con influenze medio-orientali, arriva alle radici della nostra cultura (e dell’incontro con altre culture) inducendoci alla riflessione”.

Il primo ciclo di opere dal titolo Metempsychosis, Circle Song 1-6 comprende sei grandi dipinti dove motivi decorativi tratti da varie culture (dai tessuti sovietici o giapponesi ai reticoli islamici, ai pentagrammi musicali) si intrecciano ai tatuaggi della gang salvadoregna Mara Salvatrucha, ai divinità indù come Ganesh e Kali, ai chitarristi Jimi Hendrix, Robert Fripp e Andrès Segovia, a pozioni magiche o terapeutiche come la polvere di Iboga, ai demoni benigni come il Saci-Pererè….

Si tratta di una riflessione sulla metempsicosi a partire da un album, Circlesongs di Bobby McFerrin (ricorderete Don’t worry, be happy, prima canzona a cappella a raggiungere la vetta della Billboard, ripresa anche nel titolo della mostra di Cannavacciuolo). Le opere di questa serie sono così tutte intitolate Metempsychosis, Circle Song seguite poi da un numero progressivo da 1 a 6 per distinguerle. L’ispirazione è questo album, Circlesongs del 1997, basato su una tecnica di improvvisazione, circle singing, creata da McFerrin nel 1986. C’è un cerchio di cantanti con un cantante leader al centro, questo dirige un sottogruppo del cerchio affinché canti una parte musicale improvvisata, successivamente improvvisa un’altra parte e dirige un altro sottogruppo del cerchio affinché la canti sovrapponendosi alla prima e così via fino a quando l’intero cerchio canti diverse parti improvvisate. In questo ciclo di opere di Maurizio Cannavacciuolo lo schema è lo stesso: abbiamo un soggetto centrale al quale si contrappongono due gruppi, appunto contrapposti, che puntano verso il centro.

Il secondo ciclo di opere comprende dei lavori più piccoli caratterizzati dal marchio VS (nel senso di Versus, scontro): “Cannavacciuolo riprende una serie di storie e dipinti realizzati alla fine degli anni ’90 a Cuba, ai quali dà ora titoli che sembrano incomprensibili giochi di parole o scioglilingua in vari idiomi, dallo spagnolo Hombre de Negocio VS Chulito Lindo allo svedese Kakelmannen VS De tre Astandiga Mannen all’inglese Gimme Five VS The Partially Invisible Breeze. Qualcuno ha ancora il coraggio di dire che la pittura è morta?!