Lo sviluppo e l’evoluzione del linguaggio umano è cosa estremamente lunga e complessa, che ha strettamente a che fare anche con l’evoluzione biologica e morfologica della specie homo, ma che - a tutt’oggi - non è incontrovertibilmente accertata e conosciuta.

Quello che sappiamo per certo, è che - essendo la nostra specie caratterizzata da una forte socialità - il linguaggio nasce dall’esigenza di comunicazione reciproca. E, ovviamente, presuppone la presenza di organi atti a trasmettere e ricevere suoni, oltre che a codificarli e decodificarli. La struttura anatomica dell’uomo è stata in effetti fondamentale, affinché si potesse sviluppare un linguaggio così articolato e complesso, cosa ad esempio impossibile per altri mammiferi.

Questo ha fatto sì che tale caratteristica umana divenisse a sua volta base dello straordinario sviluppo del pensiero, ma - al tempo stesso - ci ha impedito di comunicare con le altre specie viventi. Abbiamo studiato la vita, il mondo, l’universo, ma non siamo in grado di sviluppare una comunicazione complessa con altre specie. Al più, siamo in grado di far sì che alcune specie animali associno pezzi del nostro linguaggio all’esecuzione di determinate azioni, ma senza che ciò implichi una comprensione, anche solo parziale, del linguaggio stesso. E, per converso, attraverso l’osservazione siamo in grado di associare taluni suoni, emessi da altre specie, con altre azioni.

In quanto umani, abbiamo inoltre sviluppato altre forme di linguaggio non fonetico. A parte naturalmente l’alfabeto, in quanto trascrizione del linguaggio parlato, c’è il linguaggio dei segni utilizzato per comunicare con i non udenti, c’è un linguaggio iconico... Tutte le forme di linguaggio umano, comunque, funzionano esclusivamente all’interno della specie.

Anche gli altri animali, parlano. Ed anche in quel caso, in genere, si può notare che la presenza del linguaggio è in relazione alla socialità, più che alla intelligenza. Ugualmente, non risulta che alcuna specie sia in grado di comunicare con un’altra, attraverso un qualche linguaggio. Diversamente, le piante sono in grado di farlo. Si sa che, più o meno come molte altre specie viventi, sono sensibili al suono; infatti possono percepire le vibrazioni sonore, in particolare quelle più basse, tra i 100 e i 500 Hz (che favoriscono la germinazione dei semi e la crescita) in quanto sono simili ai suoni della natura, ad esempio quello dell’acqua che scorre.

Assai meno noto è che parlino tra loro. Sappiamo che le radici emettono suoni, e sono in grado di percepirli a loro volta. Ma soprattutto, sono sicuramente in grado di comunicare con altre piante, attraverso l’emissione di molecole chimiche volatili. Mandano segnali di pericolo, in caso di attacchi da parte di parassiti, e addirittura sono in grado di percepire se una pianta è in difficoltà, e nutrirla attraverso le radici di quelle vicine. Sempre le radici, sono attraversate da una lieve corrente di ioni idrogeno, che crea un campo elettrico; ed ogni variazione di questo campo viene avvertita dalle radici delle piante vicine. Anche le piante, quindi, hanno organi di senso, e sono in grado di emettere segnali.

Tutto ciò, ci dice che ogni specie vivente - o almeno le più evolute - è dotata di sensori, attraverso i quali percepisce gli input che arrivano dal mondo esterno e dai suoi simili, possiede strumenti di output, attraverso i quali invia segnali e comunica con altri esemplari della specie, e questa comunicazione si basa su un insieme (che può essere estremamente basico, o altamente complesso) di elementi codificati, ciascuno dei quali ha un preciso significato. Tale insieme è, di fatto, il linguaggio specifico.

I vari linguaggi, delle diverse specie viventi, sono però incomunicanti. Non solo perché adottano codici differenti, e/o perché questi codici sono di una complessità anche molto varia, ma anche perché la sfera intellettiva è assai diversa, com’è ovvio anche in modo considerevolmente significativo. E, come si è detto, non esiste una relazione diretta tra ricchezza dei codici comunicativi e capacità cognitiva. Ad esempio, il polpo è uno degli animali più intelligenti ma, essendo affatto sociale, ha un ridotto codice linguistico.

Tutte le specie, però, e peraltro anche al di là dei linguaggi (cioè delle espressioni intenzionali), sono in grado di produrre informazioni che possono essere registrate come dati. Il codice binario, quindi, è a tutti gli effetti un iper-codice, perché qualunque codice linguistico può essere tradotto in codice binario; e a sua volta, è possibile il procedimento inverso: il codice binario può essere tradotto in qualsivoglia altro codice.

Naturalmente, non si sta ipotizzando una sorta di Google Translator che funziona tra specie diverse, né si immagina una futuristica possibilità di conversazione tra un uomo, un pettirosso ed una pianta di gerani. È però possibile immaginare un ecosistema informativo, una serie di data-set intraspecifici, che permettano di ampliare la conoscenza reciproca, e quindi di migliorare la convivenza. Possiamo, per dire, registrare l’attività chimica ed elettromagnetica delle piante, e quindi utilizzare questi dati per comprenderne meglio la vita; così come, all’inverso, possiamo trasmettere informazioni - sotto forma di campi elettrici o attraverso il rilascio di molecole nell’aria - alle piante stesse.

Sappiamo che l’apparizione del linguaggio (un processo durato migliaia e migliaia di anni) ha a sua volta prodotto, attraverso una successiva lunghissima evoluzione, l’approdo alla straordinaria capacità cognitiva dell’uomo quale lo conosciamo. Ovviamente, non possiamo prevedere, né in fondo avrebbe un reale interesse, se e quanto potrebbe influire, sull’evoluzione di altre specie, l’aumento di informazioni che potrebbero ricevere attraverso un data-linguaggio. Ma anche soltanto scambiarci dei feedback potrebbe tradursi in un significativo salto di qualità, nella reciproca coabitazione sul pianeta Terra. Di cui c’è urgente bisogno.