Cos’hanno in comune il peso delle pagnotte sfornate dal fornaio sotto casa, l’altezza dei vostri colleghi e il diametro dei mandarini della campagna di vostro nonno? Sorprendentemente, se poteste misurare diverse centinaia di esemplari per ognuno di questi oggetti e riportare i dati in un istogramma, queste quantità, apparentemente sconnesse, risulterebbero tutte in immagini simili: le famose curve a campana, “Gaussiane” o “Normali”, che molti ricorderanno dai banchi di scuola.

Se questa scoperta può apparire sorprendente, pensate a Galton, uno dei primi statistici a riconoscere questa curva in un gran numero di misurazioni. Fu talmente preso dall’entusiasmo che iniziò a misurare tutto quello che gli capitava a tiro: teste, nasi, arti, bambini, persino l’attrattività delle signore che incontrava.

Da Galton a oggi, abbiamo fatto grandi passi in avanti nei nostri tentativi di descrivere e comprendere il caso. La statistica, la teoria della probabilità e la fisica dei sistemi complessi oggi ci forniscono una spiegazione matematica di molti fenomeni apparentemente casuali e imprevedibili.

Eppure, diversi studi mostrano che il cervello umano fatica non poco a “immaginare il caso”. In altre parole: non siamo bravi a riconoscere quando qualcosa è davvero casuale, tendiamo a cercare dei motivi ricorrenti ogni volta che possiamo e se ci viene chiesto di inventare una sequenza casuale, non siamo davvero in grado.

Può sembrare un dettaglio da poco, ma questa incapacità di riconoscere il caso ha quotidianamente delle conseguenze sul nostro comportamento: dal sovrastimare le prestazioni di un giocatore di basket alla decisione dei numeri da giocare al Lotto. Tenere conto di questa influenza ci può aiutare a valutare con razionalità le nostre scelte, e per questo motivo, in questo articolo ve ne parlo in breve.

Non sappiamo riconoscerlo

Tutti abbiamo sperimentato, volontariamente o forzatamente (nel caso, come me, vi rifiutate di pagare l’abbonamento a una nota piattaforma audio), la riproduzione casuale di una playlist. Ma il modo in cui la piattaforma seleziona i brani è davvero casuale?

In una delle prime edizioni dell’iPod Apple, lo shuffle era effettivamente casuale. Tuttavia, i tecnici della Apple si sono accorti rapidamente che, lasciando la selezione dei brani al caso, gli utenti sarebbero incappati relativamente spesso in ripetizioni dello stesso brano o brani dello stesso artista in sequenza. Di conseguenza, l’iPod implementa una versione della riproduzione casuale leggermente ritoccata per sembrare “più a caso”, di quanto non lo sarebbe stata se davvero casuale.

Un esempio più matematico risale al 1957, quando George Spencer-Brown stimò che in una sequenza casuale di 0 e 1 lunga dieci alla 1.000.007 cifre (chissà perché proprio il 7, avremmo preferito un milione tondo) ci sono almeno dieci sequenze di un milione di 0 o un milione di 1 consecutivi. Come scrive Leonard Mlodinow, immaginate che vi vendano un libro, dicendo che i numeri al suo interno sono stati scelti a caso. Lo aprite e iniziate a sfogliare le prime pagine per scoprire che sono lunghe sequenze di zeri, non 5, 10 o 20 zeri, ma 1.000, 10.000 zeri. Quanto sareste inclini a chiedere un rimborso?

Non sappiamo crearlo

Come prevedibile, il fatto che la nostra idea di caso sia diversa da come questo appare davvero, ci porta a non essere particolarmente bravi nemmeno a generare sequenze casuali.

Di questo se ne accorse anche il matematico americano Claude Shannon, che nel 1953 ideò una macchina in grado di “leggere nel pensiero”. Potete mettere da parte i caschi di carta stagnola, perché la macchina di Shannon era ben lontana dal leggere il pensiero. Tuttavia, è un ottimo esempio di come gli esseri umani di fronte a una sequenza casuale cercano un motivo ricorrente, e di conseguenza, diventano prevedibili.

La macchina di Shannon funziona in questo modo: il giocatore umano ha davanti due lampadine, una a destra e una a sinistra, che si accendono una alla volta, in ordine casuale. A ogni turno viene chiesto al giocatore di dire quale delle due lampadine pensa che si accenderà, premendo un bottone sotto di esse. La macchina, cerca di prevedere la previsione dell’umano, cioè in un certo senso di “leggergli nel pensiero”. Se la macchina indovina la previsione, vince la macchina, se sbaglia, vince l’umano.

Come fa le sue previsioni la macchina? Oggi probabilmente userebbe qualche complesso meccanismo di machine learning, ma nel ‘53 Shannon usò un’idea molto più semplice. La macchina guarda semplicemente a cosa fa l’umano dopo aver azzeccato o aver sbagliato la previsione, cioè se questo ripete la previsione precedente o se la cambia, e fa la sua ipotesi sulla base di questo comportamento. Se la macchina sbaglia la previsione sulla scelta dell’umano, sceglie a caso la sua prossima previsione.

Può sembrare un modo semplicistico di leggere nel pensiero (e in effetti lo è, dal momento che il nostro pensiero è molto più complesso di una serie di scommesse binarie), ma si osserva che la macchina di Shannon indovina le previsioni degli umani in media più del 50% delle volte.

Questo vuol dire che se la macchina si limitasse a tirare una monetina e a decidere sulla base dell’esito, sbaglierebbe di più. Eppure il tiro della monetina darebbe una sequenza davvero casuale, quindi il fatto che la macchina di Shannon indovini più di metà delle volte è in qualche modo una dimostrazione del fatto che le nostre previsioni non sono davvero casuali.

Se volete provare a battere la macchina di Shannon ne trovate un’implementazione moderna qui. Un consiglio: provate a giocare tirando una monetina e scegliendo “destra” o “sinistra” sulla base di questo. Avrete più possibilità di vincere, che senza!

Influenze inaspettate

Non siamo bravi a riconoscere il caso e nemmeno a inventarlo, ma dalle esperienze finora raccontate, nulla fa credere che, a meno che non siate un tecnico Apple, avrete mai grossi problemi con questo. Errato!

Sin dagli anni ‘80 in psicologia comportamentale viene studiata la “hot hand fallacy” (fallacia della mano calda), che è proprio una conseguenza del non saper riconoscere il caso. È più probabile che scommettiate su un giocatore di basket che nelle ultime partite ha fatto molti punti o su uno che ne ha fatti pochi?

Lo psicologo israeliano Amos Tversky e i suoi collaboratori sono andati a guardare i numeri, e hanno rilevato che aver avuto una sequenza di buone prestazioni non influenza la prestazione seguente. In altre parole, non c’è motivo di credere che un giocatore reduce da una sequenza di ottime partite sia più affidabile di uno che ha performato sotto la media. L’unico parametro da guardare, è la prestazione media del giocatore sul lungo termine (ricordatevelo la prossima volta che scegliete la formazione a Fantacalcio).

Allo stesso modo, se giocate sui mercati finanziari, vi interesserà sapere che le evidenze sperimentali1 puntano a dire che prevedere l’andamento del mercato finanziario è sostanzialmente impossibile. Si tratta di un processo randomico, in cui cercare di prendere le decisioni basandosi su qualunque altro criterio che non sia il caso non porta, in media, a nessun profitto.

Sono sicura che avrete pronto il nome di qualche famoso guru di Wall Street che ha previsto correttamente l’andamento del mercato azionario negli ultimi cinque anni. Ma chiedetevi, avrà un’intuizione fuori dal comune o si tratta di hot hand fallacy?

Vi lascio nel dubbio, ma vi invito a cercare la storia di Leonard Koppett, che nel 1978 affermò di avere un metodo per decidere se il mercato azionario avrebbe chiuso l’anno in positivo o negativo. Questo metodo avrebbe dato previsioni corrette per undici anni di fila. Peccato, che il metodo di Koppett, che era un giornalista sportivo, consisteva nel guardare al vincitore del Super Bowl (un torneo di football americano) di quell’anno. Se siete pronti a fidarvi del guru, dovreste fidarvi anche di Leonard Koppett.

Vogliamo il controllo, ma abbiamo solo la consapevolezza

Perché il caso ci è così ostico? A questa domanda non abbiamo ancora una risposta certa. Una delle ipotesi più accreditate è che la nostra incapacità di comprendere pienamente il caso derivi dalla tendenza a voler esercitare un controllo sull’ambiente che ci circonda. Se ammettiamo che un fenomeno è casuale, ammettiamo di non poter esercitare alcun controllo su di esso (anche se i fisici dei sistemi complessi dissentono, ma non tutti siamo fisici in maniera innata).

Questo in alcuni casi ci è di grande aiuto, anzi, l’aver imparato a esercitare un controllo sull’ambiente potrebbe essere proprio quello che ci ha consentito di sopravvivere finora. Ma con il caso, come abbiamo visto, la situazione è diversa. Anche di fronte alla macchina di Shannon, inconsciamente, cercheremo un motivo ricorrente che ci consenta di prevedere il caso, e questo ci renderà a nostra volta prevedibili e preda di bias cognitivi come la hot hand fallacy.

Saperlo non ci aiuta certo a esercitare maggior controllo, ma forse ci consentirà di scegliere meglio come comportarci la prossima volta che ci troveremo di fronte al caso.

Note

1 Burton G. Malkiel, A Random Walk Down Wall Street, New York: W. W. Norton, 2003.