La balia, nutrix nell’antica Roma, si diffuse a Roma nel II sec a.C. e con il tempo crebbe la moda di possederne una: prima nelle famiglie dell’alta società e poi generalmente negli altri strati.

Ma chi era? E quali funzioni aveva?

Nel mondo romano, le balie, impiegate dall'élite romana, venivano assunte nate libere, liberte (schiava liberata dal padrone, ma non ancora giuridicamente libera) o schiave. Esse badavano, allattavano e si occupavano dei figli in tenera età delle signore di alto rango. La loro sostituzione alle madri poteva essere legata, ad esempio, alla fatica dell'allattamento al seno, alla paura dell'invecchiamento precoce del corpo e alla ricerca del latte migliore per il bambino e che talvolta i genitori potrebbero anche aver tentato, consapevolmente o meno, di allontanarsi e proteggersi da un coinvolgimento emotivo eccessivo con il proprio figlio, dato che il tasso di mortalità infantile era generalmente molto alto.

La convenzione di utilizzare la balia si credeva risalisse all'inizio della storia della città e di generazione in generazione si tramandassero storie su come la nutrix potesse mantenere al meglio una scorta abbondante di latte. Cosa aveva a che fare la balia con il latte? Oggi questo aspetto ci sembrerà una cosa assurda e al di fuori di ogni moralità. Ebbene le balie allattavano i figli delle ricche signore. Ovviamente, in alcuni casi, ciò portava a delle conseguenze: c’era il pericolo che la madre, allontanando il figlio da sé e affidandolo ad altri per nutrirlo, rompesse o quanto meno indebolisse quel vincolo e quel legame di tenerezza e di amore con il quale la natura avvince la madre ai figli. Di conseguenza tra la nutrice e il bambino si veniva ad instaurare un legame intimo e profondo che proseguiva anche nel periodo successivo ai primi anni di vita. Questo legame poteva divenire in tal modo ancora più forte e intenso e trasformarsi in un legame affettivo nel tempo, che però deve essere tenuto in giusta considerazione. Perciò la relazione consolidata nel tempo ed il ruolo acquisito all’interno della famiglia, poteva ingenerare l’aspettativa della nutrice a ricevere benefici e promozioni sociali. Proprio la durata e la qualità del rapporto infante-nutrice faceva sì che quest’ultima venisse a ricoprire un ruolo importante all’interno della famiglia romana.

Molti sono gli studi che si sono incentrati su questa figura. Oltre allo studio condotto da Laes che si sofferma sui piccoli salari percepiti dalle nutrici, di notevole importanza sono le testimonianze di Sorano, Tacito, Quintiliano e Macrobio che ci offrono ulteriori esempi e una ricca documentazione su vari aspetti.

In particolar modo, il primo ci informa sulle regole che i medici fissarono nella scelta della balia: ad esempio, esse dovevano riguardare l’età della donna, non troppo giovane non troppo anziana, ossia non meno di venti anni e non più di quaranta, preferibilmente con figli e quindi con esperienza; il suo stato di salute fisico, perché il latte che veniva da un corpo sano e forte era di per sé sano e nutriente; il suo carattere, perché si credeva che, attraverso il latte, si trasmetteva al bambino l’indole di colei che l’allattava; e poi delle regole riguardanti l’igiene, l’alimentazione e la moralità della nutrice. Macrobio invece, accenna al disgusto che il neonato a 35 mesi, provava per il latte non materno. Con lo svezzamento e con il venir meno della necessità di alimentare il bambino con il solo latte, cessava il compito della balia. Ma questa, soprattutto se fosse stata una schiava di famiglia, di solito avrebbe continuato a prendersi cura del bambino anche dopo lo svezzamento. I legami potevano perciò mantenersi al di là dell’infanzia stessa.

Si constata che la decisione di utilizzare la nutrice non comportava necessariamente l'abbandono del bambino, e soprattutto la considerazione che l'allattamento artificiale fosse una forma di abbandono si basa su un presupposto moderno e culturalmente definito dal fatto che l'assistenza materna è sempre la migliore per un bambino.

Generalmente questa figura era in parte simile all’odierna baby-sitter ma con la netta differenza che si trattava di una figura non protagonista ma complice nella crescita e nell’educazione del bambino.