I piatti tradizionali della cucina piemontese sono tanti, ma quelli che mi hanno incuriosito di più hanno tutti a che fare con un ingrediente che in realtà ha ben poco a che fare con la sfera regionale: sto parlando dell’acciuga.

Un piccolo pesce marino, che nelle sue minute dimensioni racchiude una concentrazione di sapore inconfondibile, e che indubbiamente trova il suo posto nella tavola piemontese accanto alla Fassona e al Tartufo.

Se però è facile associare questa regione a carne e tartufi, il discorso mi è parso molto più complicato quando parliamo dell'acciuga. Ecco quindi il motivo di questo articolo, uno scritto nato dal tentativo di rispondere ad una semplice, ma non banale, domanda: ma qui, l’acciuga, come ci è arrivata?

C’è sicuramente chi si sarà già dato una risposta: “Ovvio, è arrivata dalla Liguria o dalla Francia”. Ed effettivamente, è così: la posizione strategica del Piemonte, situato a pochi passi da una regione di mare come la Liguria e confinante con le coste francesi, ha fatto sì che questo territorio, con il passare degli anni, si sia appropriato di un ingrediente non autoctono come l’acciuga.

Come sapete però sono un’eterna indagatrice, e studiando più attentamente la storia e la nascita di molti piatti tipici, mi sono resa conto che nulla è mai stato messo nel piatto per caso. Da qui è cominciata la mia indagine sull’utilizzo dell’acciuga e sono giunta ad osservare più da vicino il lungo viaggio di questa piccola prelibatezza franco-ligure.

Incominciamo quindi con qualche cenno storico: l’ingresso dell’acciuga su suolo italiano è legato ad un fenomeno in particolare, ossia il contrabbando del sale. Siamo nel 1700, secolo che vede protagonista la famiglia Savoia, e momento storico in cui appare l’imposizione di un pesante dazio sul commercio del sale.

Ed è proprio qui che l’astuzia dei contadini piemontesi trova uno stratagemma per introdurre illegalmente il sale sul territorio italiano: l’acciuga! Un pesce piccolo, in grado di riempire qualsiasi foro; economico se paragonato ad altre tipologie; ma soprattutto resistente, con la capacità di conservarsi anche sui lunghi tragitti.

I commercianti quindi, iniziano a trasportare barili pieni di acciughe, che servono in realtà a coprire il vero contenuto delle botti, ossia il sale. In un primo momento, dunque, lo sbarco dell’acciuga in Piemonte è legato ad un gioco di astuzie, solo successivamente si rivela essere una vera e propria alternativa economica che porta anche alla nascita di un nuovo mestiere: l’anciué, un contadino-mercante che durante i mesi invernali si reca in Liguria e in Francia per portare in Piemonte le acciughe sotto sale.

L’apparizione delle acciughe nel repertorio culinario piemontese non poteva che essere una normale conseguenza a questo importante fenomeno socio-economico, che vedrà lo stesso Piemonte posizionarsi in vetta alla classifica dei più grandi importatori di acciughe della riviera ligure.

Un ruolo da protagonista, quello dell’acciuga, che diventa così star indiscussa di numerosi piatti che definirei intramontabili. Solo per citarne alcuni ecco il bagnet verd, una tipica salsa a base di acciughe, prezzemolo e aglio; o ancora le anciue al verd, un classico antipasto della tradizione piemontese che vede serviti i filetti di acciughe ricoperti da olio, aceto, aglio e prezzemolo.

Ma il piatto che per me rimane il più interessante è sicuramente la bagna cauda, una ricetta il cui nome ci spiega già in principio la natura stessa della pietanza: se bagna, che vuol dire per l’appunto “salsa”, ci rimanda all’essenza cremosa di questa ricetta, cauda dall’altro lato ne descrive perfettamente le caratteristiche termiche, con quel riferimento al latino "calida", "calda". Per questo motivo, il modo tradizionale di servirla è proprio all’interno di un tegame di terracotta la cui temperatura viene mantenuta costante grazie all’utilizzo di un piccolo fornelletto posizionato proprio al di sotto dello stesso tegame.

L’aspetto che però mi affascina di più in assoluto è quell’elemento di convivialità che viene trasmesso già solo dall’impiattamento: il tegame infatti non è pensato per un consumo individuale, bensì per quello collettivo. Intingolo al centro, verdure miste a lato, ed ecco che la tavola si apre immediatamente alle mani affamate dei conviviali. Una realtà culinaria volta alla condivisione, che affascina chi la bagna cauda non l’aveva mai assaggiata e rincuora coloro che attorno a quella magica terrina ci ha costruito le proprie memorie di famiglia.

Siamo arrivati quindi alla conclusione di questo breve inserto gastronomico, che spero vi abbia mostrato un altro aspetto del Piemonte, quello più marinaro. A me ora è venuta voglia di bagna cauda ovviamente, ma aspetterò questo autunno per vivere a pieno l’esperienza dell’acciuga piemontese!