Sogliono anchora mangiare carne bollita, et insieme cipolle et fave, ò pure l’accompagnano con un altro cibo, dito da essi Cuscusu.

È la metà del Cinquecento e così recita Giovanni Leone De Medici, un esploratore berbero stabilitosi a Fez, nel suo scritto sugli usi e costumi alimentari delle popolazioni marocchine, pubblicato nel compendio storico-geografico "Delle navigazioni et viaggi” del trevigiano Giovanni Battista Ramusio. È la prima testimonianza scritta, in italiano volgare, dell’esistenza del couscous e della sua presenza nelle coste magrebine nel continente africano.

La sua nascita, tuttavia, viene fatta risalire tra il VII e l’VIII secolo, quando i nomadi berberi del Maghreb studiano ed esportano le tecniche di cottura del couscous dalle popolazioni subsahariane, facendolo diventare il piatto principale della loro regione, concepito dall’esigenza di poter conservare i cereali durante le lunghe traversate desertiche.

Secondo un’antica leggenda, però, il couscous sarebbe stato preparato per la prima volta per il Re Salomone, il quale, dopo il rifiuto della regina Sabina, perse l'appetito e la forza necessaria per governare il regno. Grazie al cuoco di corte che gliene preparò uno piatto particolarmente squisito, il re riacquistò la forza e la saggezza perdute, continuando a regnare con prosperità. Salomone diventò quindi un esempio per i sovrani successivi, e parallelamente, il couscous un simbolo di pace e condivisione nel mondo berbero e musulmano.

“Couscous” in lingua francese, il cui termine deriva da “seksu”, così chiamato fra i berberi del deserto, veniva inizialmente lavorato a mano, preparato con semola di grano duro, macinato in modo grossolano e frantumato fino a ottenere granelli piccoli ed uniformi. Veniva lasciato poi al sole ad essiccare e conservato al fresco nelle tende. Le donne delle tribù nord africane si riunivano per svolgere questa attività, mantenendo viva l'arte della lavorazione manuale e trasformandola in una cerimonia familiare, tramandata di generazione in generazione.

Nel mondo arabo viene, ancor oggi, cucinato nel tajine, un recipiente in terracotta colorata dalla tipica forma a cono, e prevede una cottura molto lenta: grazie alla condensa, le erbe aromatiche e le spezie sprigionano gli aromi rendendo intenso il condimento ed il sapore.

Attraverso i primi scambi commerciali, la storia del couscous viaggia attraverso il Mediterraneo, sulle navi cariche di spezie e grano: dal Maghreb, considerato sua terra d'origine, si diffonde in tutto il Vicino Oriente, lungo le sponde di Marocco, Libano, Turchia, Spagna, Francia e in tutta l’Italia meridionale, dove ogni anno si celebra il CousCous Fest, evento internazionale nella meravigliosa cornice di San Vito Lo Capo, in Sicilia, in provincia di Trapani.

Sicilia che ha una radicata tradizione di contatti e scambi culturali con le popolazioni nord africane, soprattutto a seguito della lunga dominazione araba, riverberandosi nell’arte, nell’architettura ma soprattutto nella cucina. Il couscous siciliano, più propriamente cuscusu, è una testimonianza vivente di queste influenze storiche. Introdotta nell'isola in epoca medievale, la lavorazione del couscous siciliano è diventata un mestiere d'arte, sviluppandone un metodo particolare in cui i chicchi di semola di grano duro vengono sfregati e “incocciati” nella tradizionale “mafaradda”, un vaso di ceramica isolana, e successivamente cucinati a vapore nella “cuscussiera”, una pentola di terracotta posta su una più grande contenente il brodo di pesce.

Una delle espressioni più celebri della cultura culinaria siciliana è il couscous trapanese, variante che combina il sapore mediterraneo dei frutti di mare con la delicatezza del grano, spesso accompagnato da un saporito sugo di pesce, arricchito da pomodorini, olive e capperi. Ma quali sono quindi le differenze tra il couscous nord africano ed il cuscusu siciliano? Il primo, dai granelli più grandi, viene tradizionalmente lavorato a mano. Il processo artigianale della variante siciliana sulla “cuscussiera”, invece, produce grani più piccoli e fini, che ne conferisce una consistenza più delicata. La versione nord africana, inoltre, è spesso servita con zuppe ricche e speziate, mentre il couscous trapanese, si accompagna prevalentemente a sughi di pesce e frutti di mare, con un brodo di scorfano, cernia, pesce San Pietro, gallinella, rana pescatrice e pesce imperatore.

Il couscous ha rappresentato per secoli il pasto principale dei popoli del Sahara, un piatto da condividere alla sera quando, dopo una giornata in viaggio tra le dune del deserto, si accendono i fuochi per rischiarare la notte puntellata di stelle. È un viaggio emozionante, un simbolo di condivisione, di amore e di ricchezza di sapori. Un piatto che varia i connotati da paese a paese ed il cui termine acquisisce accenti, trattini, vocali - dal cuscusu siciliano al k’seksu berbero - ma che ha creato e crea ponti tra sponde culturali e culinarie diverse. Più di qualsiasi religione, ideologia o politica. È questo l’immenso potere del cibo.