C’è un pezzo di storia d’Italia che rimane ancora oggi poco conosciuto. Eppure è fondamentale perché miccia che ha innescato il, una volta tanto celebrato, Rinascimento Italiano. Molti si affastellano per vederne i frutti: sono le migliaia di turisti che quotidianamente porto in tour nelle piazze italiane.

Non altrettanti si affastellano per osservarne e recuperarne le cause. Eppure l'azione dell'essere umano è sempre frutto di un pensiero dietro cui si muovono credenze: consapevoli o meno, distruttive, creative… vogliamo solo osservarle. Sì perché questa storia, come tutte le storie, è causata dalle credenze dei suoi attori.

Lavorando tutti i giorni con persone d'ogni estrazione, professione, credo, età, sesso, ho un vasto campionario che curiosamente reagisce quasi sempre nello stesso modo alla notizia che dietro il Rinascimento italiano c'è la caduta di Costantinopoli: rimangono attoniti ed attenti. Proprio come se ne sentissero parlare per la prima volta. Ma di più: un occhio attento alle emozioni vede chiaramente che i due stati d'animo, (incredulità e attenzione), aumentano al comparire dei personaggi. Costantino XI, Mehmet II, Giovanni Giustiniani, Isidoro di Kiev, Ficino, Bessarione, Pletone, Poliziano, Argiropulo, Calcondila, Landino, Cosimo il Vecchio, Ermete Trismegisto, Eugenio IV, Pio II, Federigo da Montefeltro, Sigismondo Malatesta e moltissimi altri. Non è una banale lista nomi. Ciascuno di loro ha contribuito a fare la storia tra Europa e Medio Oriente nei decenni centrali del Quattrocento. È l'insegnamento più importante: su questo pianeta siamo tutti collegati. Da sempre e per sempre.

La caduta di Costantinopoli

Il cambiamento del mondo alla metà del XV⁰ secolo attraverso il fiume d'emozioni di quegli anni

Aprile 1453: ultima settimana. Da più parti ormai le voci si rincorrevano. Nelle stazioni di posta, osterie, locande, chiese, conventi fino a piazze e palazzi nelle città, i viaggiatori dall'Oriente non avevano tregua. Appena si sapeva della loro provenienza, venivano circondati da capannelli di gente ansiosa, preoccupata, avida di risposte a quell'unica, angosciosa domanda: «È vero che Costantinopoli è assediata e presto cadrà?». L'inevitabile «Sì» che ne seguiva faceva male.

Magari smezzato come una bestemmia masticata, magari affidato ad un solo cenno di capo, ad un'occhiata. Così la paura si diffondeva per le strade d'Europa, penetrava veloce negli animi, costringendo ai pensieri più improbabili, assurde congetture, incubi peggiori. Sì perché, esattamente come accade oggi, nessuno aveva le idee chiare.

Da un lato questi Turchi, detti infedeli dai cristiani orientali ed occidentali perché seguaci di Maometto. Dall’altro lato questi eredi dell’antico Impero Romano, detti infedeli dai musulmani per l'opposto motivo, trincerati dietro una storia millenaria che aveva fatto smarrire loro il senso del presente.

In più questi ultimi erano seduti, letteralmente, su una delle più grandi eredità della storia. Una volta si chiamava Bisanzio, ma nel 324 d.C. l’Imperatore Costantino il Grande la conquistò e la rifondò per farne la Nuova Roma, la città delle città, la nuova capitale di tutto l’Impero Romano. Al tempo della nostra storia si chiamava Costantinopoli. Oltre ad una posizione strategica unica al mondo, leggendaria in molti sensi, fra i vari primati ed eccezionalità vantava la fama di inespugnabile.

La storiografia spiccia ha archiviato tutto come "guerra di religione", ma per i viventi del 1453 la realtà era molto più complessa.

Anzitutto una novità. Costantinopoli non era certo nuova agli assedi. Eppure questa volta si diceva che il Turco fosse eccezionalmente ben armato e determinato a chiudere la partita.

In più adesso, col senno di poi, era ben chiaro perché c'era stata tutta quella pantomima all'inizio del secolo. L’avevano chiamata “Grande Concilio”. Obiettivo pubblicizzato: riunificare chiesa orientale e occidentale. Conclusosi a Firenze (luglio 1439), aveva provocato questa domanda già allora: perché tentare di ricucire uno Scisma datato 1054 proprio adesso, dopo quasi 400 anni?! Ora sì che si capiva la risposta: cercare alleati militari contro i numeri turchi, talmente spaventosi da costringere l'impaludata corte bizantina ad alzarsi dal divano e correre in Europa per chiedere l'aiuto in extremis degli antichi alleati.

Gli imperatori orientali da tempo non avevano più il becco d'un quattrino. Pessimi amministratori, avevano raccontato al mondo e a se stessi d'esser i prediletti da Dio, al punto da aver fuso insieme Chiesa e Stato in un gigante ormai quasi senza terra. Infatti la perdita di territori all’avanzata turca era stata sistematica, sin dal Duecento.

All’opposto di questi Signori ciechi e soli, c’era un ragazzo di appena 21 anni. Si chiamava Mehmet (Maometto) II. Era uno dei figli del Sultano Murad, ma non il prediletto. Classe 1432, per i primi anni di vita fu cresciuto su indicazioni del padre “a distanza”. A 5 anni iniziò un'educazione attraverso veri incarichi governativi, di fatto gestiti da consiglieri e ministri designati dal padre. Di questi ultimi facevano parte anche intellettuali insegnanti di storia, filosofia, religione, matematica, astronomia affiancate da conoscenze più pratiche e necessarie nella gestione di una nazione che si sentiva pronta a diventare Impero.

Certo il Principe Mehmet aveva sentito dai suoi precettori quelle storie di Giulio Cesare, Alessandro Magno, Pericle, Leonida e certamente questi lo avevano ispirato ad esser uno di loro. Eppure accanto a questa ambizione dei vent’anni, c’era anche la consapevolezza dei bisogni deI popolo turco: chiedeva a gran voce una capitale degna della potenza militare, politica ed economica che già da due secoli andava guadagnando. La conquista di Costantinopoli era dunque il passo che il popolo chiedeva al suo Sultano.

A dirla tutta pareva che la città stessa chiedesse un governo all’altezza della sua nobile grandezza. L’ultimo imperatore Costantino XI Paleologo Dragases era certamente un ottimo militare, ma rappresentava la perfetta incarnazione del Medioevo calante: l’arte del governo alla metà del Quattrocento in Europa richiedeva anzitutto saper generare e gestire flussi di denaro.

Conquistarsi banchieri, mercanti, manifatture, usare innovazione tecnologica nella guerra e in produzioni protoindustriali, stabilire monopoli redditizi, finanziare esplorazioni, spedizioni, gestire saggiamente dogane, dazi ed imposte… per Costantino erano tutte questioni liquidate come “roba burocratica”, delegata in automatico. Così il suo Impero continuava a spendere soldi che non aveva per fare guerre inutili che generavano solo passivi. Qualsiasi saggio uomo d’affari caldamente appoggiava un cambiamento radicale al centro dell’Oriente: anche per questo Bisanzio era rimasta sola. Mentre la crescente nazione turca, seppur dentro profonde ed inevitabili contraddizioni, comprendeva molto meglio il grande gioco dei soldi.

Dal punto di vista militare, l’unico fattore che si frapponeva con una certa autorità alla gloria della conquista turca, erano quelle tonnellate di pietra e mattoni che ancora oggi accerchiano la città. Costruite in varie fasi, avevano raggiunto la perfezione alla metà del V con Teodosio II. Tuttora dette “teodosiane”, le mura s’erano guadagnate la loro leggenda non a chiacchiere, ma impedendo decine di volte la conquista della città. Guardandole si capisce il segreto: erano state concepite ad ostacoli progressivi, in modo tale da sfruttare l’ammassarsi dei corpi del nemico come naturale rinforzo, fisico e psicologico, degli ostacoli stessi. Quindi, senza ‘far breccia’ ossia aprire un varco nella catena difensiva, assaltare quelle mura con metodi tradizionali era un suicidio.

Mehmet rispose ad una leggenda militare cercandone un’altra, senza badare al prezzo. C’era questo tale Orban o Urban, ingegnere transilvano, che asseriva, progetti alla mano, di poter costruire il cannone più potente mai visto. Soprannominato “Basilica”, è ricostruito alle Royal Armouries, Londra. Suscita ancora un macabro stupore. Mostro bronzeo dal peso approssimativo di 16 tonnellate, più di 7 metri di lunghezza e una bocca da quasi 80 centimetri di diametro, sparava sulle mura di Bisanzio confetti da mezza tonnellata. Per la cronaca fu offerto prima all’Imperatore Costantino XI: lo rifiutò perché troppo costoso…

Spostiamoci sopra il teatro dell’Assedio che cambiò la storia.

I Turchi si presentarono all’appuntamento sfoderando cifre da capogiro. Nonostante naturali contraddizioni nelle fonti, pare che Mehmet avesse a disposizione una base di 80 mila uomini cui si aggiunsero varie ondate di rinforzi, almeno un reparto di 1500 cavalieri inviati dalla Serbia, 200 navi e vari pezzi d’artiglieria in aggiunta al Basilica.

Ciliegina finale, la trovata che nessuno si aspettava: invadere il Corno d’oro, cioè il tratto di mare a nord di Bisanzio, con le navi certamente, ma da terra. Scritta così sembra una bestialità, eppure è la pura cronaca dell’accaduto. Mehmet fece del suo meglio per tenere il nemico all’oscuro di questa sua trovata, così da massimizzare l’effetto sorpresa e diffondere il necessario panico, ingrediente fondamentale per la vittoria. Infatti mantenne la propria tenda, spavaldamente, di fronte all’ingresso principale delle mura, rassicurando il nemico che nessun attacco sarebbe venuto dal Corno d’oro, protetto da una lunga catena e alcune navi. Eppure il Sultano, con mossa audace, aveva ordinato alla sua flotta di stanza nel Bosforo di sbarcare schiavi che, coperti dal clamore delle esplosioni durante il giorno, abbattessero la foresta a nord della città, creando così un sentiero con passerella su cui far scivolare le navi per rimetterle in acqua nel punto meno sorvegliato del Corno. Va da sè che tutte le linee di rifornimento alla città erano interrotte.

Costantino XI Dragases per parte sua aveva ben altri numeri: circa 10 mila uomini e neanche 30 navi nel porto. Per tenere a bada 22 chilometri di mura. Tra gli alleati sono passati alle cronache i 700 genovesi guidati da Giovanni Giustiniani, amico personale dell’imperatore, e il sovrintendente veneziano a Bisanzio Girolamo Minotto, che pare sia riuscito a coinvolgere i pochi veneziani rimasti in città, alimentando la falsa speranza di quei rinforzi da Venezia che non arrivarono mai.

Ricostruire con esattezza le varie fasi dell’assedio è impossibile. Ciò che sappiamo dipende da pochi testimoni oculari, la maggioranza dei quali parteggia per gli assediati.

Prima di dare inizio all’assedio il Sultano aveva inviato a Costantino la possibilità di resa con promessa di condizioni clementi. Costantino era stato costretto a scegliere la via della battaglia da tutto il carico di storia che si portava addosso e dalla reale mancanza di alternative al disonore perpetuo.

L'unica speranza degli assediati erano gli aiuti dall'esterno, in particolare da Venezia perché tutti i Genovesi disponibili erano già al comando di Giovanni Giustiniani. Speranza rinfocolata da quattro navi, noleggiate dal papa, che inaspettatamente il 20 aprile sgusciarono attraverso le linee nemiche da sud, riuscendo a scaricare uomini e rifornimenti nel porto. Poi ci fu il tentativo di bruciare le navi turche portate a spinta dentro il Corno d'Oro: fallito. Inoltre il cannoneggiamento turco faceva più chiasso che altro: la ricarica richiedeva tempi lunghi, l'artiglieria rischiava di esplodere per l'uso prolungato e non c'erano mezzi di sicurezza, per cui alcuni operatori morivano. Questo permetteva agli assediati di rattoppare le mura con continuità, frustrando i tentativi turchi di creare un canale per sciamare in forze dentro la città.

Costantinopoli non aveva dunque intenzione di arrendersi: fame, stanchezza, sproporzione numerica non furono sufficienti a far issare bandiera bianca agli assediati. Il messaggio per il Sultano era chiaro: «noi ce ne andremo solo cadaveri».

Poco dopo la mezzanotte del 29 maggio 1453, il Sultano fu dunque costretto a ordinare l'assalto definitivo: anche volendo non avrebbe potuto ritirarsi. La partita e la posta erano tali per cui la morte sarebbe stata di gran lunga preferibile ad una vita per sempre segnata dal disonore sociale d'un' eventuale sconfitta. Facile la strategia: snervare il nemico, costringendolo alla battaglia senza posa, indebolendolo a poco a poco. Prima gli schiavi: carne da macello, morti in ogni caso o per mano dei loro aguzzini o del nemico. Poi reparti più addestrati e meglio equipaggiati, fino all'invio dei famigerati Giannizzeri, le cosiddette truppe d'élite. Caddero sia il Giustiniani, portato via dai suoi commilitoni ormai non più in grado di combattere, che Costantino XI stesso, l'ultimo Imperatore d'Oriente. Con lui quel giorno finì veramente il Medioevo per come lo conosciamo. La tanto celebrata "scoperta dell'America" non fu nient'altro che una tra le innumerevoli conseguenze di quel giorno fatale, in cui gli equilibri del mondo cambiarono per sempre.