Tra le persone che invidio vi è Teju Cole che in un recente articolo sul New York Times riporta di aver visitato fuori orario e quasi da solo la mostra di ben 28 dipinti di Vermeer, sui 35 superstiti, allestita al Rijksmuseum di Amsterdam. Esperienza irripetibile, data l’estrema difficoltà di mettere insieme le opere di Vermeer disperse per il mondo. A conclusione della visita Teju Cole osserva che Vermeer non è solo un pittore di luce, ma “è anche un finissimo pittore del tempo”.

In effetti, il silenzio, l’intimità e la parsimonia dei gesti presenti nelle situazioni dipinte da Vermeer spingono l’osservatore ad abbassare la voce per non disturbare, a contemplare più che a pensare, a partecipare più che analizzare. E così il tempo fermato nel dipinto induce anche la sospensione del tempo nella coscienza di chi guarda. Vermeer dipinge un tempo che non passa.

Il tempo sospeso di Vermeer mi ha riportato alla memoria un viaggio ad Elea. Scendendo la costa del Cilento, poco dopo Palinuro si incontra un promontorio a picco sul mare sormontato da una torre medievale. È il luogo dove i greci di Focea tra il 540 e il 535 a.C. fondarono Elea, poi chiamata Velia dai romani. Ad Elea si sviluppò una fiorente scuola filosofica (detta appunto degli Eleati) i cui maggiori esponenti furono Parmenide e Zenone. Come sappiamo dai banchi di scuola, gli Eleatici sostenevano che il movimento era una illusione, e quindi anche il tempo perché, se tutto è immobile, ma proprio tutto, anche il tempo scompare.

«Sciocchezze filosofiche», mi direte, «di chi non aveva altro da fare». Non proprio, perché le argomentazioni degli Eleati sono estremamente difficili da confutare. Prendiamo, ad esempio, il famoso paradosso di Achille e la tartaruga di Zenone. Ne ho letto una versione nel piccolo saggio di Jorge Luis Borges Metempsicosi della Tartaruga, che comincia in questo modo sorprendente: «C’è un concetto che è il corruttore e l’ammattitore degli altri. Non parlo del Male il cui limitato impero è l’etica; parlo dell’infinito. Qualche volta ho desiderato di compilare la sua nobile storia». A questa storia mai scritta appartiene il paradosso di Zenone di Elea, che Borges così riassume: «Achille corre dieci volte più velocemente della tartaruga e le concede un vantaggio di dieci metri. Achille percorre quei dieci metri, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga un millimetro; Achille Piè Veloce un millimetro, la tartaruga un decimo di millimetro e così infinitamente, senza raggiungerla…».

Il movimento – è la conclusione di Zenone – è una illusione, perché qualunque corpo mobile deve attraversare la metà del percorso prima di compierlo tutto, e prima ancora la metà della metà, e prima ancora la metà della metà della metà. Anche se il tempo impiegato si dimezza ad ogni divisione alla fine comunque sarà infinito, perché infinite sono le suddivisioni. A chi bisogna dar retta? Ai sensi o alla ragione? Possibile che i sensi si sbagliano in modo così plateale? E se i sensi hanno ragione, dov’è l’errore nel ragionamento di Zenone?

Siamo tentati di liquidare il paradosso affermando che ciò che conta è la velocità relativa. Prima o poi Achille raggiungerà la tartaruga perché Achille è dieci volte più veloce della tartaruga. Ma questa risposta (perfettamente sensata) aggira la vera questione: il problema non è dimostrare se Achille raggiunga o no la tartaruga, ma dove sta l’errore nel ragionamento di Zenone.

I matematici dopo circa duemilaquattrocento anni trovarono una soluzione che avrebbe dovuto mettere la parola fine alla questione. Il ragionamento è ingegnoso, e vale la pena riprodurlo qui per punti:

  1. Dall’enunciato del paradosso sappiamo che la distanza percorsa da Achille, che chiamiamo DA, è uguale a dieci più uno più un decimo, più un centesimo, più un millesimo, ecc. In cifre: 10 + 1 + 1/10 +1/100 + 1/1000 + … DA è la somma di infiniti termini, puntini sospensivi compresi.
  2. Nello stesso tempo la distanza DT percorsa dalla Tartaruga è 1 + 1/10 + 1/100 + 1/1000 + 1/10000 … (Ricordiamoci che parte con dieci metri di vantaggio).
  3. A questo punto notiamo due fatti molto interessanti: il primo, che se dividiamo per dieci ogni addendo di DA otteniamo DT, ovvero DT è uguale a un decimo di DA, cioè: DT = (1/10) x DA.
  4. Il secondo, che DA - DT = 10, perché tutti gli altri termini si cancellano uno a uno e rimane solo 10.
  5. Poiché sappiamo (dal punto 3) che DT = (1/10) x DA, possiamo scrivere la formula DA - DT = 10 come: DA - (1/10) x DA = 10, da cui otteniamo (9/10) x DA = 10, e, alla fine, DA = 100/9, che è uguale a 11 + 1/9.
  6. In altri termini Achille raggiunge la tartaruga dopo 11 metri e poco più.

Questo ragionamento è uno delle grandi conquiste della matematica. In sostanza, invece di fare la somma di ogni termine, come faceva Zenone, si considerano le serie DA e DT nella loro interezza con i puntini sospensivi compresi. Poi, sottraendo la seconda serie dalla prima, tutti i termini uguali si eliminano tra loro, compresi gli infinitesimi, tranne il primo che è la distanza iniziale tra Achille e la tartaruga. A questo punto il gioco è fatto. Se avete la sensazione che la sottrazione faccia scomparire gli infinitesimi come in un gioco di prestigio, non vi sbagliate. È proprio così. Solo che qui non c’è nessun trucco.

Dunque, il paradosso è risolto? La risposta è sì se il paradosso di Achille e la tartaruga fosse solo una questione di numeri (dieci, uno, un decimo, un centesimo, ecc.) e della loro posizione su una linea. Ma in realtà il paradosso scava molto più a fondo.

Come disse Russell, mette a dura prova «la capacità dell’umano intelletto di comprendere il mondo». Perché investe i concetti di movimento e ci interroga sulla natura del tempo e dello spazio. Come ha affermato Joseph Mazur in Achille e la tartaruga. Il paradosso del moto vi sono tre soli modi per sfuggire a questo paradosso: «1) Affermare che lo spazio consiste in punti e il tempo consiste in istanti, e che in ciascun intervallo spaziale vi è un numero infinito di punti e in ciascun intervallo temporale un numero infinito di istanti; 2) affermare che gli intervalli spaziali non contengono punti e gli intervalli temporali non contengono istanti; 3) negare insieme l’effettiva esistenza dello spazio e del tempo».

La gara podistica tra Achille e la tartaruga ha tolto il sonno a molti filosofi, a cominciare da Aristotele, poi San Tommaso d’Aquino, Cartesio, Hobbes, Leibniz, Mill, Cantor, Russell, tanto per citarne qualcuno. Le risposte sono state davvero tantissime. Per le equazioni della meccanica classica il tempo può scorrere sia avanti che indietro. Per la relatività il tempo è solo un’altra dimensione che si aggiunge alle tre dello spazio. Per la termodinamica il tempo si muove sempre in una direzione che è quello della crescita dell’entropia dell’universo. E tanto altro ancora.

Insomma, da alcuni millenni la natura del tempo resiste alla nostra comprensione. Il che non ci vieta di apprezzarne l’enigmatico valore. Ci avviciniamo a percepirne il mistero proprio nei momenti in cui il tempo sembra fermarsi, come accade nei dipinti di Vermeer. Quei momenti, immortalati nell'arte o riflessi nelle nostre esperienze, ci ricordano che esistono attimi in cui tutto si sospende, permettendoci di assaporare il miracolo di sentirsi vivi e presenti, qui ed ora.