È il 25 di novembre, un giovedì dell’anno 2023. Mancano due giorni a quel 27 che è stato dichiarato Giornata contro la violenza sulle donne. Sto pensando che non mi piace quel “contro” che rimanda al linguaggio bellicoso e dualistico che tanto spesso le donne hanno cercato di ricondurre all’equilibrio e all’armonia nella differenza.

Non mi piace eppure in questi giorni è impossibile non condividere il rifiuto, accorato e inarrestabile, dei fatti che hanno riportato ancora una volta drammaticamente in luce quella violenza che sempre più riconquista terreno e sparge i semi dell’odio, della crudeltà, dell’orrore.

Accolgo l’invito a essere parte dell’evento che in questa occasione verrà promosso dalla Casa delle Donne del Comune di Poirino, una cittadina piemontese che ormai da un decennio è amministrata da una sindaca e una vicesindaca, particolarmente sensibili e attente alle tematiche del femminile e alla cultura della solidarietà. Il teatro è gremito: un pubblico prevalentemente femminile, di tutte le età; giovani ragazze che parlano con voce accorata, con consapevolezza e forza, decise a trovare altri strumenti per consolidare la sorellanza che è forma prima di condivisione e difesa.

Si percepisce un’onda potente che attraversa i cuori e la commozione è reale. Ci si sente avvolte da un grande abbraccio di verità che dice “Non siamo sole”, “Nessuna è sola”. Si respira la volontà e il desiderio di ricordare un passato glorioso di battaglie civili che sembravano impossibili da vincere. Si ritrova il coraggio di far sentire la propria voce, di non rinchiudersi nella paura e il pensiero va alle tante donne che hanno perduto quella vita che con il loro amore hanno fatto nascere.

Si incontrano gli occhi umidi di speranza di chi conosce il dolore e la fatica, ma che sa anche ridere e gioire quando il cuore si spalanca per aiutare altre donne a difendere una libertà sempre in pericolo, sempre minacciata. La locandina che annuncia la serata propone:

Una lettura che va oltre alle parole, al buio, al silenzio, al di là del dolore. Una serata per sorridere e per commuoversi, per guardare con occhio nuovo quella Donna della quale non sappiamo mai abbastanza.

Si abbassano le luci e sul palcoscenico cangiante di rosso velluto sulle quinte nere inizia il suo monologo Sara Garbizza, autrice dei testi, con la regia coinvolgente di Lidia Portella. La sua voce è forte di verità, colma di sfumature, toccante e ironica allo stesso tempo:

Zeus è lì, sul suo trono dorato. Gode del proprio potere e sorride tra sé e sé. D’un tratto si spalanca il soffitto del tempio. Zeus resta immobile, con lo sguardo inebetito: un prodigio si anima davanti a lui.

Una donna si materializza. Si espande. Diventa morbida e piena. Altre donne sopraggiungono in fila. Non una è uguale all’altra. Lunghi capelli si posano sulle spalle nude. Il seno si riempie, i fianchi si allargano. Gli occhi racchiudono tutto l’amore di cui la donna è capace. Ma anche la rabbia, la vendetta, la curiosità sono in lei. L’intelligenza, la maternità, la mascolinità. La donna si riempie di ogni sentimento umano.

È potente. Si fa da sé. Zeus è lì e non può controllare quello che accade.
Tre donne entrano dalla porta del tempio e si abbracciano. Una è sola, una è triste, una è ferita. Ridono insieme e si regalano un piccolo oggetto di bellezza. Decorano il loro viso, poi si separano. Due donne arrivano e si siedono vicine. Una ha avuto un figlio che ciuccia il latte con impeto. Sa che c’è qualcosa che non va in lui, ma lo ama e sorride all’amica, che non prova pena, ma si abbevera della forza che scaturisce da loro due.

Ad un’altra donna, che cammina lentamente, mancano unghie belle e lisce. Le ha morse in preda alla disperazione profonda. Una donna ha rughe. Ha visto troppo. Una donna si sente brutta. Ma è nel giudizio che si è specchiata. Ci sono due donne che si capiscono senza parlare. Una è riccia. Ha lunghi capelli castani. L’altra è liscia e ha i capelli rasati come un maschio. Una è forte ma ha paura; l’altra è fragile, ma ardita. Ed ecco altre due donne. Una ha i capelli grigi. L’altra è giovane. Bevono il tè e intanto la pasta sul fuoco si attacca e il fumo si espande in cucina. Ridono e rimediano. Sempre.

Arrivano alcune donne in fila. Sono schiave che lottano per la loro libertà. Altre donne si tengono per mano. Indossano vesti profumate e pregano cantando per un dio donna. Zeus è costernato, ha paura della donna perché non la conosce, non la capisce. Osserva la donna e cerca di pensare in fretta. Vorrebbe creare una stanza in cui rinchiudere tanta potenza. Affidarla a qualcuno, darle dei ruoli, riempire il suo ventre perché si occupi dei suoi figli e rallenti la sua corsa, ma le donne continuano a formarsi davanti al suo sguardo vano.

La donna parla: “Io vado al di là del bene e del male. Sono colma di ogni sfumatura di passione e pensiero. Nessuno può aggiungere o togliere. Sono imperfetta e completa. Mi verranno assegnati molti ruoli, ma io mi batterò per essere sempre prima donna, poi tutto quello che gli altri si aspetteranno da me.

Io sono la Donna. I miei ruoli sono assegnati, ma io non sono nessuno di questi eppure tutti. Lasciatemi stare. Lasciatemi vivere. Non fatemi male e non crediate di essere artefici del mio bene. Io sono la Donna. Eternamente sola, eternamente viva”. Man mano che la donna parla, Zeus si riduce e scompare. Non serve che ci sia nessuno a governarla.
Lei
non
ha bisogno
di
nessuno.

Le parole continuano a scorrere sulle musiche di Francesco Spagnolo: è grande la loro forza. Le azioni in scena le accompagnano e le rendono “visibili” grazie al gesto di Chiara Siciliano. Questa volta gli applausi sono le voci del silenzio che vogliono portare una testimonianza di condivisione, sono energia luminosa che illumina il buio di una pesante quotidianità.

Mai come ora abbiamo bisogno di abbracciarci e di raccontarci quelle belle fiabe che ci facevano addormentare nella certezza di sogni meravigliosi. Sappiamo nel corpo che tutto scorre, si trasforma, finisce e ritorna nei ricordi, sappiamo nel corpo la sofferenza eppure anche la gioia, la gioia pura.

Siamo cambiate, possiamo e vogliamo tornare ad attingere alle nostre vite, ai nostri saperi ancestrali per rispondere con dolcezza amorevole a tutto ciò che ci accade. Accogliamo le nostre fragilità con la forza del cuore, ascoltiamo il suono del vento con la fiducia che la sua voce soffi per noi.