Il Borneo malese è un luogo incantevole e tranquillo. Nel 1963 ha ottenuto l’indipendenza dalla corona britannica e attualmente ha una popolazione di circa cinque milioni di abitanti, il 30% circa costituita da cinesi e l’8% da indiani; il resto sono popolazioni autoctone appartenenti a varie etnie ed ex coloni britannici che hanno deciso di rimanere.

Nel suo complesso, l’isola del Borneo è costituita da tre regioni: il Brunei (5.765 km2), un regno indipendente e ricchissimo di petrolio con una popolazione di circa quattrocentomila abitanti, il Sarawak (124.449 km2) e il Sabah (76.619 km2), che insieme fanno parte della Federazione della Malesia, e il Kalimantan, che invece fa parte dell’Indonesia, ha una superficie pari a due terzi di tutta l’isola del Borneo (544.000 km2, quasi il doppio dell’Italia) e una popolazione di sedici milioni di abitanti.

Negli ultimi cinquant’anni nel Borneo malese sono stati istituiti molti parchi nazionali marini, di montagna, fluviali e forestali. Nel Sarawak ce ne sono almeno quindici e sono i più belli al mondo, ben controllati e salvaguardati dalle autorità come fiori all’occhiello del paese. Il più noto è il Bako National Park, 27 km2 di superficie; non è quindi molto grande, ma al suo interno vivono tre specie di scimmie: la nasica (Nasalis larvatus), il macaco cinomolgo (Macaca fascicularis) e il presbite dalla cresta (Trachypithecus cristatus).

Nel Batang Ai National Park (240 km2), un altro parco del Sarawak molto più grande del precedente, vivono l’orango (Pongo pygmaeus), il gibbone di Müeller (Hylobates muelleri), il presbite rosso (Presbytis melalophos) e altre specie di scimmie che abitano principalmente la foresta primaria, quella secondaria pluviale acquitrinosa e quella a mangrovie. Nel Sabah ci sono altri parchi, tra i più noti il Kinabalu National Park e il Crocker Range National Park, in cui vivono il presbite di Hose (Presbytis hosei) e alcune sottospecie del presbite marrone (Presbytis rubicunda).

Nel Borneo malese, sia nei parchi sia fuori da essi, oltre alle scimmie citate ne vivono altre, come il tarsio del Borneo (Tarsius bancanus), che assomiglia moltissimo a un piccolo primate ancestrale vissuto nell’Eocene (tra cinquantaquattro e trentasei milioni di anni fa), il Lori lento (Nycticebus coucang), frequente nella zona del monte Kinabalu nel Sabah, quattro specie di langur e il macaco nemestrino (Macaca nemestrina). In sostanza, nel Borneo malese vivono molte specie di scimmie, anche se non tutte godono di ottima salute; molte di loro, infatti, sono in via di estinzione.

Quando si viaggia nel Borneo malese, soprattutto all’interno dei parchi e nelle aree più acquitrinose, non è difficile incrociare una scimmia già citata e molto singolare, principalmente frugivora: la nasica. Essa possiede, soprattutto il maschio adulto, un naso molto lungo, grande e a cucchiaio rovesciato, che scorre lungo tutto il mento come una proboscide; non a caso viene chiamata anche “scimmia proboscide”.

La nasica ha inoltre un’altra peculiarità: è una delle poche scimmie esistenti al mondo che sa nuotare e che riesce a immergersi fino a venti metri sott’acqua. Questa specie, in verità, non si trova in un ambiente idilliaco e ha due nemici dai quali deve ben guardarsi: il coccodrillo e il leopardo. Ora però il pericolo più grave è rappresentato dalla deforestazione del suo territorio e quindi dall’abbattimento di piante i cui frutti e le cui foglie sono fonti alimentari indispensabili per il suo nutrimento.

Il Borneo, purtroppo, non è immune da questo disastro, ovvero appunto la deforestazione causata dall’uomo, soprattutto al di fuori dei parchi nazionali in cui il terreno viene spesso utilizzato per impiantare immensi palmeti che si perdono a vista d’occhio. Non sono piantagioni autoctone e dai loro frutti si estrae un famoso olio vegetale che si esporta in tutto il mondo.

Negli ultimi tempi nelle terre strappate alle foreste sono stati costruiti complessi turistici e aree picnic e aperti dei campeggi; ci sono persino negozi di souvenir come al Matang Wildlife Centre. In questo centro c’è un recinto, dei laboratori e degli stabulari per il contenimento di oranghi che qui vengono protetti e curati prima di venire riabilitati e poi messi di nuovo in libertà. Una volta liberi, però, questi poveri animali non riescono più a riadattarsi alla vita selvatica della foresta, ammesso che l’abbiano vissuta almeno per un po’ nel loro passato; non sanno più stabilire relazioni sociali con gli oranghi che non hanno fortunatamente subito la stessa sorte e quindi molti di loro si deprimono e muoiono. Nella migliore delle ipotesi vengono emarginati.

Purtroppo per secoli, precisamente da quando questa scimmia meravigliosa e così prossima all’uomo è stata avvistata per la prima volta dagli occidentali fino ai nostri giorni, si sono scatenate fantasie prima letterarie e poi cinematografiche fra le più orripilanti che si possono immaginare, farcite di ignoranza, antropocentrismo e neocolonialismo, dovute all’inconscio atavico e animalesco che si annida nelle menti di questi scrittori e cineasti che hanno travalicato ogni decenza.

In fondo è dal suo nome volgare datogli dall’uomo, orangutan, che guarda caso nella lingua malese vuol dire “uomo della foresta”, che nascono gli equivoci e i pregiudizi. Allora, se da un lato distruggiamo le sue foreste, dall’altro lato per ripulirci la coscienza gli costruiamo delle case rifugio e dei centri riabilitativi che però alla fine devono essere finanziati con i proventi dei turisti, come se tutto fosse uno spettacolo, come quando il cane si morde la coda.

Perché tanto accanimento verso l’orango, una scimmia sì molto grande, ma anche molto dolce e mansueta che non farebbe mai del male a nessuno? L’uomo ha sempre visto in questo animale promiscuità, violenza, mancanza del senso del pudore, blasfemia e tante altre fragilità tipicamente umane, probabilmente perché fisicamente, ma solo in questo aspetto, gli assomiglia moltissimo. Nonostante la sua “cultura”, l’uomo ha sempre dato vita a palinsesti fantasiosi pieni di assurdità e soprattutto di ipocrisie per legittimare la sua malvagità verso questa scimmia e la natura.