L’arte può essere un sussurro o un boato, può essere una carezza come uno schiaffo, un incanto, come un disgustoso coacervo di miasmi: l’arte è arte, difficile da definire, perché è il flusso concreto di un pensiero astratto. Gli artisti concettuali, dopo che in arte è stato detto e creato di tutto, negli anni ‘60, hanno voluto dar vita a un’arte soggetto e oggetto del suo stesso linguaggio. Nel passato l’arte ha interpretato gli oggetti reali con gli strumenti consoni, secondo le preferenze dell’artista e attraverso contenuti elaborati in poetiche ed estetiche in evidente evoluzione, sempre conseguenti a quelli sociali: ad un certo punto, all’arte rimaneva il bisogno di interrogarsi su se stessa e sulla possibilità di realizzare opere che esprimessero un concetto che rispondesse sia alla materialità che alla parzialità delle cose, oltre che all'idea universale, un unicum mai sperimentato.

L’arte concettuale che ne è derivata ha avuto un grande sviluppo in quegli anni e molti sono stati gli estimatori e gli artisti che l'hanno adottata, se ancora oggi ne rimangono tracce nelle opere attuali. Nello stesso tempo, dagli anni '60 in poi, dapprima in Gran Bretagna e in seguito negli Stati Uniti, ha preso vigore la Pop art, l’“Arte del Nulla”, la chiamava Andy Warhol, il suo più famoso artefice: un’arte infatti che spesso ha rappresentato oggetti di uso comune, senza obiettivi elevati, ma semplicemente la ripetitività e la riproducibilità delle cose e delle situazioni, che corrispondono alla parte più banale della nostra vita.

La Pop art si è diffusa e la si trova ancora oggi: perché affascina le giovani generazioni, così vicina al mondo social, ormai indissolubile dalle nostre vite. Dal canto suo l’arte concettuale è stata una reazione forte, che urlava quanto fosse importante una riflessione più impegnata, in un mondo che nel 1980 sprofondava. Si affacciano, ad un certo punto, in quel marasma di correnti, negli anni ‘80, tre ragazzi pavesi, Claudio Ragni, Gianni Cella e Romolo Pallotta, legati da amicizia e studi, che vogliono proporre le loro opere ispirate alla Pop art, al mondo dei fumetti e del Graffitismo.

Essi stessi raccontano, in un'interessante intervista su “Frigidaire”, rivista molto quotata al tempo, che a differenza degli americani, che realizzano “cose stupide con obiettivi insignificanti”, loro riescono a realizzare, con risultati positivi, cose stupide con obiettivi più impegnati. Infatti in Europa è presente la tensione a creare riflessioni impegnate, raffinate e intelligenti, che cercano il significato della conoscenza, pur realizzando “cose stupide” come gli americani.

La matrice è diversa perché noi europei siamo comunque ancorati alla storia e alla tradizione. Il patrimonio di opere di cui siamo fieri, ci fa da ancora che blocca i voli pindarici della fantasia. I tre giovani artisti Ragni, Cella e Pallotta, che scelgono di chiamarsi i “Plumcake”, naturalmente, per i tempi, sono imbevuti della cultura Pop imperante in quegli anni, per cui si pongono come obiettivo il superamento del quadro tradizionale e delle astrusità dell'arte Concettuale, per creare opere nuove, – come si sa ogni artista deve dimostrare la propria originalità – , usando un colore vivace e giocoso e utilizzando materiali diversi, ma naturali come la cartapesta ed il legno.

Mentre frequentano l’Accademia di Brera, entrano in contatto con il mondo dell'arte e dei galleristi milanesi come Luciano Inga-Pin che gestisce la galleria Diagramma, poco distante dall’Accademia, ed ha un atteggiamento aperto e interessato verso le nuove istanze giovanili, basta ricordare che presso la sua galleria la Body Art ha espresso le performance più interessanti, come quella di Gina Pane, di Marina Abramovic, di Urs Luthi e di Gunter Brus, in un momento in cui questa nuova e provocatoria arte era poco conosciuta in Italia.

Inga-Pin è stato un personaggio molto particolare, ed è stato il gallerista più amato dagli artisti milanesi del suo tempo, perchè li esponeva senza chiedere loro nulla, anche se sapeva che non ne avrebbe ricavato guadagno, rivelandosi, almeno in quel primo periodo, fautore della diffusione dell'arte a discapito dei profitti, cosa che oggi è quasi impossibile osservare in una galleria, quando persino gli artisti quotati devono versare somme considerevoli per essere esposti. Oggi un gallerista si trova schiacciato da un mercato quasi ingestibile, a causa della concorrenza delle connessioni informatiche, troppo invadenti, dell'ingordigia di certi curatori che favoriscono il sorgere di effimeri miti, che loro gonfiano, lasciando poi i collezionisti e a volte persino i Musei, con in mano bolle di sapone, invece di opere durature che possano passare alla storia acquistando valore.

Inga-Pin, questo illuminato gallerista, grande scopritore di talenti, propone, insieme a Renato Barilli, a questi giovani artisti di far parte del gruppo “Nuovi Futuristi”, di cui si sta occupando, per dargli una connotazione tutta italiana, visto che il Futurismo era stato il movimento più interessante e conosciuto del secolo, anche a livello internazionale. I giovani accettano, entusiasti dell’idea di formare un gruppo, che dall’Impressionismo in poi è sempre visto come sinonimo di sicura affermazione. Si dice che l'unione fa la forza e infatti loro si sentono più forti e protetti, anche se si sentono di “appartenere solo a se stessi e all'originalità della loro produzione”, come hanno dichiarato nell’intervista di Frigidaire.

D’altra parte non sentono di avere qualcosa in comune col Manifesto ideologico e politicizzato dei Futuristi, insieme hanno solo l'interesse per il tempo loro contemporaneo e vogliono raccontare il vivere la quotidianità senza drammi e metafisiche. Poiché vogliono “uscire dal quadro”, trovano nell'uso di materiali diversi la realizzazione delle loro creazioni. In uno studio-officina si riappropriano della manualità artigianale, che era stata propria degli artisti del passato, quando di loro non si conosceva neppure il nome, perché li si considerava “Artifex”, cioè artigiani che operavano nel loro mestiere.

E questo dura a lungo, perchè solo verso la fine del Medio Evo cominciano a conoscersi i nomi degli artisti, quando prende vigore l'interesse per la personalità, diventato via via sempre più un culto, tanto che alcuni artisti erano considerati quasi divinità per l'ineffabile bravura dimostrata, il che è degenerato nel tempo, quando è stato più importante il mito della persona piuttosto che l'opera in sé. I Plumcake, che verso il 2000 sono rimasti in due, in quanto Gianni Cella ha deciso di proseguire il suo cammino artistico da solo, hanno cominciato ad usare i nuovi prodotti che il mercato via via proponeva, sostituendo i materiali naturali con le “Fusion” di pittura/scultura, realizzate con Acrilici, Fiberglass e resine varie, creando opere che chiamano “Ineffabili”, rimediate da situazioni di film, fotoromanzi, fumetti, ispirati però alla pittura del ‘400.

Hanno comunque sempre tenuto conto dei giocattoli dei bambini per una comunicazione paradossale: secondo loro l'unico modo di rappresentare la vita moderna. Si ispirano in questo alle situazioni tragiche del cinema, quando sono rese in modo tanto edulcorato da non esserlo più, anzi da essere quasi ironizzate. Ciò le rende indolori: nelle loro opere ludiche, piacevoli, che i colori rendono divertenti, c’è un fondo più elevato, anche se nascosto, che rivela come il loro istinto creativo non sia solo un atto mentale, ma come ottenga, attraverso la manualità artigianale anche un fondo di riflessione più profonda perché nascosta. Le opere che ne risultano presentano uno stile inconfondibile, qualcosa di diverso, unico. Ambiscono, forti della convinzione della capacità dell'artista di precorrere i tempi, ad una produzione originale, espressa con uno stile inconfondibile cui aspirano, perché vogliono entrare nella storia, avere il loro giusto posto nel campo artistico italiano.

Chiamano le loro opere “Similcose” e si adoperano ad esporre e a farsi conoscere anche all’estero. Col tempo la loro ricerca raggiunge nuove tensioni utopistiche e vitalistiche, di cui ancora non si riesce a determinare la direzione finale. Sono, ora che hanno raggiunto la maturità, trasgressioni della loro eterna adolescenza giocosa e burlona, che in fondo cela l’inquietudine profonda che, attraverso i valori dell'innocenza, ci racconta la vita, mantenendo inalterata sia la freschezza che l’inventiva. Riescono sempre ad essere irriverenti e taglienti esprimendosi in quel mondo ludico di illusioni, che tratta la realtà quotidiana come se, carica di ironia, ci si trovasse in un videogioco, come all'inizio sembrava di trovarsi in un fumetto. Sono spunti a volte veramente geniali e impensati, che sanno raccontare di noi cose serie con un largo sorriso.

I Plumcake hanno partecipato attivamente a molte esposizioni dal 1980, anche alla Biennale di Venezia: sono stati costantemente presenti nel Sistema dell’Arte, come figure di primo piano, che fanno parte della storia, italiana e internazionale, molto apprezzati e ammirati. Le loro opere, che di frequente sono di grandi dimensioni, ben si adattano alle opere pubbliche, come fontane ed altre forme architettoniche, ma anche a decorare gli interni di abitazioni di prestigio. Sono spesso raffigurate forme che paiono rubate alla stanza dei giochi di un bambino e più volte vengono riprodotti bambini, molto colorati e divertenti, come fossero stati presi dall'album di uno scolaro delle elementari. L’opera “Il Bambino” ne è la testimonianza più divertente, anche se vuol rappresentare l'archetipo dell'umanità in evoluzione, tutta protesa verso un futuro luminoso. Anche “Il Metafisico” ricorda il disegno di un bambino, mentre è un personaggio molto sussiegoso, che pare attraversare i muri camminando velocemente: in realtà la sua forma è stata ad arte tagliata a metà, per darci l’illusione della penetrazione nel muro. Anche ”Il Soldatino dell'arte” rievoca un disegno infantile, ma è una scherzosa rappresentazione del mondo dell'arte, di cui rievoca la fatica manuale.

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Molte loro opere si ispirano a Totem o a divinità varie, simboli inverosimili e irriverenti che stimolano la riflessione, come la divinità egiziana “Sun Ra”, opera coloratissima. Vi sono molti bassorilievi, di cui una buona parte a forma di cuori, impertinenti e dispettosi, sono sagome ludiche, narrazioni sempre diverse, interessanti e avvincenti, oltre che coinvolgenti per i colori ben accostati e divertenti, come nell'opera “Il Bambino Vitruviano”, che ispirandosi ad una mitica immagine, racconta un'altra storia che sa di divertimento e riflessione.

I Plumcake hanno partecipato a molte Mostre Personali: l’esordio è stato nel 1983 alla Galleria Diagramma di Milano, ma ogni anno hanno esposto in Gallerie di prestigio, facendosi conoscere in Italia e all’estero con molto successo e lusinghiere critiche. Moltissime anche le partecipazioni a mostre Collettive. Ho intervistato i simpatici artisti, che hanno dimostrato di essere più portati all’attività creativa piuttosto che alle conversazioni.

Quando avete scoperto di voler diventare artisti?

Lo spirito dell’arte è entrato in noi agli inizi degli anni ‘80.

Come vi siete avvicinati al mondo dell’arte?

È il mondo dell'arte che si è avvicinato a noi.

Quali significati volete rappresentare nelle opere?

Riteniamo che le opere parlino a tutti.

Quanto c’è della vostra vita nelle opere?

Nelle nostre opere c’è tutto della nostra vita.

Come vedete il mondo dell’arte?

Vediamo il mondo dell’arte come uno splendido miraggio.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Non abbiamo progetti, lo “spirito” ci guida un passo alla volta.

Quanto vi sentite soddisfatti delle opere?

Ci sentiamo molto soddisfatti delle nostre opere.

Quali esposizioni ritenete più significative nella vostra vita artistica?

Tutte le nostre esposizioni sono significative, in particolare la partecipazione alla Biennale di Venezia nel ‘90.