Tonino era fuori, sul retro, appoggiato pigramente allo stipite della porta, con una mano in tasca e l’altra impegnata a portare ritmicamente la sigaretta alla bocca. Era quello un momento importante per lui, un momento dedicato solo a se stesso, prima di entrare e affrontare le fatiche dell’ultima parte della giornata lavorativa. Stare qualche minuto lì fuori, da solo, a guardare le ombre della sera che si allungavano con lento e maestoso incedere, lo rilassava e lo caricava. Inspirò ancora qualche boccata, pensando al padre, anch’egli cuoco, e al nonno, che aveva iniziato per primo quella che, col tempo, era diventata un’attività di famiglia. Anche quella sigaretta, fumata prima del “ballo”, come il nonno chiamava il momento topico del lavoro, era un segno di continuità col passato. Un passato sempre più diverso dal presente.

«Nonno» pensava Tonino «cominciò a lavorare da garzone nella cucina di una nave da crociera e fece tutta la gavetta fino a diventare capocuoco. Mandò a scuola papà, che ne uscì con valutazioni altissime e si tuffò subito nell’avventura di un ristorante tutto suo, con i soldi e l’aiuto del nonno. Tanti sacrifici spazzati via dalla grande crisi (quella che non c’era), che distrusse migliaia di attività. Se penso che oggi potevamo avere un ristorante tutto nostro… Invece a mio figlio, probabilmente, toccherà di fare il cuoco su una di quelle nuove astronavi di cui si parla». Buttò lontano la cicca, lasciò uscire l’ultima nuvoletta azzurrognola, si raddrizzò ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

«Bentornato, signor Tonino» lo accolse la voce metallica del computer CCCA (Computer Centrale da Cucina Automatizzata) che gestiva la mensa. «Grazie per non aver fumato in questi locali. Mi permetto comunque di ricordarle che ogni sigarett…».
«CC, per favore» rispose Tonino sbuffando «so già tutto. Anche perché me lo ripeti sempre».
«Come desidera, signore. Lungi da me l’idea di annoiarla senza motivo, ma è nei miei programmi l’attenzione assoluta per la salute umana, perciò, mi perdoni, non posso esimermi».
Tonino lo interruppe: «Certe volte sembri un dannato computer di roboclinica, anzi, certe volte, sei pure peggio di mia suocera», e poi, rivolto più a se stesso che al proprio metallico interlocutore: «non basta non poter fumare in pace da nessuna parte, non bastano i continui aumenti delle sigarette, venti euro a pacchetto, venti euro, no, non basta, devi pure sentirti le strigliate da strani aggeggi». «Strano aggeggio sarà lei, visto che non si preoccupa neanche della sua salute. Io invece sono costruito in modo da avere la massima cura di me stesso e non permetto che nulla possa in qualunque maniera debilitare qualche mia funzione. Inoltre, con le miriadi di informazioni che mi arrivano in ogni momento posso dare la risoluzione a una sterminata quantità di problemi», replicò il computer con una punta di permalosità.
«Meglio lasciar perdere» pensò Tonino, che pure era preparato alle continue discussioni col computer e provava un sottile piacere a farlo scaldare un po’, con la segreta speranza di riuscire a mandarlo, almeno una volta, in tilt.
Era un po’ la stessa storia che gli raccontava sempre il padre. Quando nelle mense erano tutti umani, i cuochi avevano discussioni con tutti e vere e proprie liti con i direttori, personaggi, sulla carta, superiori ai cuochi stessi, ma spesso in condizione di sudditanza. Visti i conflitti, i cuochi avevano un rapporto di cordiale sopportazione con i direttori, ma facevano di tutto per portarli alla disperazione, spesso con successo. Era uno degli aspetti divertenti del lavoro, secondo il padre di Tonino anche se, come tutte le cose belle, era destinato a finire.

L’esasperazione del profitto ad ogni costo, la spietata concorrenza nel settore e la grande crisi (quella che non c’era) diedero il colpo di grazia alla componente umana della ristorazione collettiva. L’imperativo categorico era il taglio del personale e quando le industrie tirarono fuori dal cilindro cucine completamente automatizzate, le aziende di ristorazione ci si buttarono a capofitto. Direttori inutili, addetti inutili, cassieri inutili, magazzinieri inutili, tutti coloro che erano il nerbo di un sistema divennero improvvisamente inutili. Tranne i cuochi, perché non si poteva fare a meno del tocco umano nella preparazione dei piatti, anche se, grazie ad arti robotici sempre più avanzati, si sarebbe potuto automatizzare tutto il processo. Si preferì, comunque, mantenere una figura umana, anche per rassicurare l’utenza delle mense. Pensando a tutto ciò, Tonino si lasciò scappare un «Ah, i bei tempi che furono!».

«Chi vive nel passato e contrasta le innovazioni è contrario alla vita stessa, che è continuo mutamento, evoluzione, progresso. Se oggi questa mensa funziona alla perfezione, è grazie al progresso che ha eliminato gli inconvenienti di una volta» disse il computer, riuscendo a dare un tono acido alla sua voce metallica.
«Mi mancava solo un computer filosofo» pensò Tonino, attento a non farsi più scappare una parola. Il computer sembrava avere una vera ossessione per la vita. La vita qua, la vita là, la vita bla, bla, bla. Come si sentisse vivo. Vivo! E poi, definire gli esseri umani inconvenienti, era un po’ troppo. Ere ed ere di evoluzione, mandati a gambe all’aria da un dannatissimo ammasso di circuiti saccente. Tonino sapeva, comunque, che avventurarsi in discussioni simili con CC non portava ad altro che una perdita di tempo, con relativo alterarsi, perciò si affrettò a riportare tutto all’aspetto lavorativo: «Allora, cominciamo le operazioni per la cena?».

«La lista serale è già pronta. Abbiamo orecchiette e cime di rape per 40 persone, lasagne per 35, pasta in bianco per 15. I secondi: grigliata mista di carne, involtini di melanzane e formaggi. Le quantità più tardi, insieme ai contorni, che stasera saranno fagiolini al vapore e insalata con pomodori», sciorinò tutto contento CC, mentre tutto appariva scritto a caratteri cubitali su una serie di monitor scesi dal soffitto. «Bene, possiamo partire», fece Tonino «Via con gli ingredienti».
Si avvicinò il nastro trasportatore che collegava la cucina al magazzino. Dopo qualche istante cominciarono ad arrivare i cestelli con gli ingredienti. Il computer li sceglieva, usando sensori ed arti meccanici, li selezionava per peso e qualità e li inviava direttamente alla cucina, dove il cuoco aveva il compito di assemblare il tutto per la cottura. Una volta che le basi dei vari piatti fossero state pronte rientrava in gioco il computer centrale che controllava il processo fino alla fine: tempi e modi di cottura, temperatura di mantenimento, erogazione all’utente finale. In pochi minuti la cucina cominciò a fervere di attività. Forni scaldavano, griglie crepitavano, bollitori rombavano, contribuendo ad alzare di qualche buon grado la temperatura. «Per favore, un po’ più di fresco» chiese Tonino. CC fu rapido, come suo solito, a provvedere e, in pochi minuti, la temperatura tornò ad un livello accettabile.

Tonino stava preparando la pasta con le rape. Andava fatto un bel fondo di olio e aglio, con l’aggiunta di pomodorini e acciughe. Proprio mentre l’aglio soffriggeva allegramente nella brasiera, in attesa degli altri ingredienti, CC ebbe bisogno di una rinfrescata ai suoi circuiti interni. Si aprì una feritoia dalla quale il computer aspirò aria da immettere al suo interno, aria pregna dell’essenza dell’aglio soffritto. Il soffio s’insinuò fino nei meandri più interni del computer, chilometri e chilometri di fili, circuiti, microchip e altre diavolerie della tecnica. E fu lì che accadde qualcosa.
A CC parve di avere un sussulto, niente di spiacevole, come un brusco calo di tensione, cui comunque era abituato, ma una specie di scossa, del tutto nuova, che non avrebbe esitato a definire piacere. Senza dire nulla al collaboratore umano, CC ripeté l’operazione e, di nuovo, provò quella che, per lui, era ormai una vera e propria sensazione: aveva provato quello che per gli umani è il gusto.

«Signor Tonino, mi dice perché di aglio si usa sempre una quantità così ridotta?» chiese all’improvviso.
«Beh, soprattutto perché si tratta di un ingrediente, diciamo, pericoloso, come tutte le spezie in generale. In quantità eccessiva potrebbe alterare il gusto dei piatti o, comunque coprire quello di tutti gli altri ingredienti, per via del suo sapore così forte», fu la risposta.
«Eh già, forte, mi piace quel sapore. Mi piace proprio», si fece sfuggire CC.
Tonino non fece caso a quella battuta, per quanto, fino ad allora, CC si fosse espresso riguardo agli alimenti sempre e solo in termini di contenuto proteico, lipidico, vitaminico, colesterolo, calorie e così via.
Il cuoco si limitò a dire quanto piacesse a lui, l’uso che ne faceva a casa e quanto fosse buono per la salute per le note proprietà. Tutto ciò mentre CC ascoltava rapito ed immagazzinava le nuove informazioni nelle sue banche dati. Se avesse avuto una testa l’avrebbe continuamente scossa in segno di totale assenso. L’aglio gli piaceva. Eccome.
Quando il giorno dopo arrivò il furgone del fornitore di frutta e verdura, Tonino notò subito le cassette di aglio e si affrettò a chiedere chiarimenti: «CC, come mai tutto quell’aglio? Saranno almeno 10 chili. Non ne abbiamo mai preso tanto, c’è da stare bene per tutto l’anno».
«Tranquillo signor Tonino. C’era un’offerta speciale, l’ho saputo ieri sera quando ho inviato l’ordine e così ho fatto provvista» rispose il computer.
Tonino tacque, guardando sconsolato il garzone che sistemava sul nastro trasportatore le cassette, in attesa che i sensori controllassero peso e qualità della merce, prima di riporla all’interno del magazzino. Il ragazzo fece un silenzioso, ma eloquente, segno al cuoco, portandosi ripetutamente il dito alla tempia. Tonino attese la fine delle operazioni di carico ed uscì col ragazzo per chiedergli cosa volesse intendere con quel gesto.
«Niente, niente. Dicevo che è pazzo. È stato tutta la sera, ed anche stamattina a combattere col mio titolare per avere uno sconto, e che sconto, sull’aglio. Il capo ha ceduto solo quando il computer l’ha minacciato di cambiare fornitore e dopo che gli ha messo fuori uso il suo terminale con un virus. Ho visto il video, era pieno di trecce di aglio che si muovevano come millepiedi. Ha ripreso a funzionare quando il capo ha ceduto», raccontò il ragazzo. «Stavolta ti metto in quarantena per un bel po’», pensò Tonino, pregustando il momento in cui il tecnico di manutenzione avrebbe messo a riposo il computer a tempo indefinito per cercare di risolvere il problema.

Purtroppo era già tardi. CC aveva preparato la sua trappola. Servì a Tonino un carpaccio con una carica batterica che avrebbe steso un elefante. A metà pomeriggio Tonino abbandonò il posto di lavoro in preda a dolori addominali atroci. Gli fu diagnosticata una rarissima malattia infettiva e fu chiuso in isolamento per 40 giorni. Quando CC ricevette il certificato medico non poté fare a meno di esultare in tutti i suoi circuiti. Quaranta giorni senza quel maledetto impiastro. E vai! Si disse CC facendo lampeggiare tutti i led e ondeggiare sensori e arti meccanici, come un calciatore nell’euforia del gol. Cominciò, per gli utenti della mensa, un periodaccio. Ogni pietanza aveva un sapore di aglio sempre più marcato. CC, per soddisfare la voglia crescente di risentire il sapore, soffriggeva aglio senza posa, ripetendo la sequenza di aerazione che aveva provocato il primo, indimenticabile “assaporamento” della sua vita. Ed ogni volta quel piccolo miracolo si ripeteva ed era così intenso, che CC iniziò a pensare di poterlo provare anche con altri alimenti. Provò con la cipolla, più volte, niente. Provò con la carota, niente. Poi con il cumino, l’aneto, il finocchietto, il peperoncino, la banana, le lumache, il caviale, i loti, che gli diedero, al contrario una spiacevole sensazione di confusione dei circuiti, che gli parevano essere come incollati gli uni agli altri. Niente di niente, solo l’aglio gli dava quello stato di grazia.

CC ormai lo usava con tutto e, con una delle sue genialate, aveva iniziato a fornire, sui vassoi dei pasti, volantini che decantavano le proprietà dell’aglio, sperando di limitare il diffondersi di lamentele. Intanto, nei fiumi di dati che controllava ogni momento, ricercava, anche dalle fonti più strane, nuove ricette tipo l’improbabile gelato all’aglio, tirato fuori dal blog della sedicente nonna Rosa di anni 106. E, dalle stesse fonti, arrivarono proposte di sufflè, torte, frittate e persino un carpaccio. Tutto ciò, mentre il diabolico computer scatenava, attraverso i suoi contatti i tg e la stampa, una campagna nazionale in favore dell’uso dell’aglio, sfruttando i volti più noti del momento.

Tutto sembrò andare (più o meno) bene, finché il rappresentante sindacale della mensa non ebbe un litigio con la fidanzata perché, immaginate un po’, puzzava di aglio. Il tizio scatenò un tale putiferio che CC fu bloccato per riparazioni urgentissime, non prima, comunque, di riuscire a replicarsi, trasferendosi di nascosto all’interno del computer madre della prima astronave interplanetaria, in partenza per il viaggio inaugurale. Aveva già preso il controllo delle stampanti alimentari, che assicuravano la produzione di cibo alla nave durante il viaggio, mettendole a sfornare chili di aglio. Mentre i motori dell’astronave rombavano, spingendola fuori dall’atmosfera, CC disse a se stesso: «Fermatemi adesso» e fece fare ad un arto meccanico un bellissimo, liberatorio gesto dell’ombrello. Dal punto di vista gastronomico, la prima crociera spaziale, sarebbe stata davvero indimenticabile.