Il tiro a giro nel calcio è già di per sé una parabola, ma fino a poco tempo fa non era un’arma fra i piedi dei calciatori così tanto utilizzata. Chi calciava verso la porta avversaria prevalentemente usava il collo pieno del piede calciante, se voleva imprimere molta potenza al tiro, oppure come si suol di dire “di piatto” se intendeva usare la parte interna del piede, in una sorta di put golfistico, per dare più precisone e meno potenza al calcio del pallone, altrimenti c’era il colpo di testa, senza soffermarsi inoltre sull’utilizzo spesso fortuito di altre zone del corpo umano come il petto o il ginocchio (ma non l’esterno del piede che è tuttora un tocco molto delicato e difficile da utilizzare per imprimere la giusta forza e la dovuta precisione).

Il calcio diretto, senza fronzoli, quello che partiva dal collo della propaggine inferiore del corpo umano, era prediletto e la realizzazione compiuta attraverso l’uso del tiro dritto per dritto era spesso descritta come una finalizzazione da manuale. Il tiro secco che si muoveva raso terra, filando veloce verso i pali della squadra opposta era spesso un tiro mortifero. Mentre il tiro scaricato dal basso verso l’alto, compiuto da distanze anche ragguardevoli dal goal avverso, era sicuramente espressione di grande potenza e velocità e se ben indirizzato anche spesso micidiale.

Perché oggi tanti calciatori cercano con frequenza il colpo a giro effettuato con l’interno del piede in modo tale da imprimere al pallone una parabola che vada ad infilarsi sul palo più lontano dalla posizione del tiratore? Perché il calcio a giro, se ben eseguito, suscita sempre grande entusiasmo nel pubblico e fa sì che il calciatore possa godere sia degli applausi di chi guarda dagli spalti, ma anche di una sua tutta personale soddisfazione nell’eseguire, alla bisogna, un tiro molto difficile.

Oggi tutti i calciatori, tutti i ruoli, dal terzino alla punta, passando attraverso mezze ali e rifinitori, tentano il tiro di giro, anche quegli atleti che non hanno un piede ben educato e raffinato da potersi permettere un’azione tale senza sollevare i fischi del pubblico anziché gli applausi.

La parabola suscita volontà spesso nascoste, fino a sciogliere le paure anche di quei giocatori che sono coscienti delle loro capacità calcistiche. Li mette quindi sullo stesso piano di quegli atleti che invece il piede fatato, la favella con il pallone, il tocco di classe, il dribbling ubriacante ce li hanno tutti e quindi possono prendersi anche la libertà/responsabilità di calciare a giro (ma anche di fare altri gesti atletici molto belli da vedere quanto complicati da eseguire come la rabona, per esempio).

Ora tutto ciò mi fa intravedere un accostamento con la vita umana, dove anche chi non se lo può permettere, sfrutta una parabola dell’esistenza che dovrebbe essergli preclusa stando alle proprie capacità piuttosto scarse, e che invece vogliono, costi quello che costi, essere sempre in prima pagina (chissà perché la prima associazione di idee che mi è balenata nel cervello è quella di alcuni noti influencer).

Ad oggi ogni ruolo svolto dall’uomo può essere latore di tiri a giro, cosa che fino ad un po’ di tempo fa era assolutamente improponibile e il terzino continuava a fare il terzino e il suo apporto alla squadra era quello del terzino appunto, non della punta chiamata così perché deve finalizzare e quindi deve avere nel suo repertorio tutti quei gesti che il terzino non ha e non necessita nemmeno di avere.

Da un po’ ci stiamo inventando nuovi lavori, vedi influencer, lavori che prima dell’avvento di internet non esistevano e nessuno ne prevedeva la nascita. Oggi nel calcio, i terzini non esistono più si chiamano esterni e quello che una volta era chiamato mediano, colui che era designato a portare l’acqua ai giocatori di punta, si chiama mezzala.

Terzini e mediani sono appellativo che al momento attuale non danno il giusto valore a coloro che gravitano in zone precise del campo, ossia la difesa e il centrocampo basso, zone che per quanto importanti nell’ottica del gioco del calcio in sé, non sono però ambienti raffinati; quindi, per elevare l’operato di quei calciatori che lì agiscono si è scelto di modificare il ruolo di costoro e provare ad elevarli avvicinandoli, nella scala delle mansioni e dell’importanza sul campo, all’ala piuttosto che al rifinitore (ruoli decisamente più raffinati).

Così facendo si è dato via libera a tutti perché potessero provare a calciare di giro, anche coloro che invece sono abituati a calciare sì ma la gamba dell’avversario - che per altro, nel computo di una partita, è anche cosa buona e giusta, calcolando quante gambe vengono colpite e quanti tiri vengono scagliati verso le porte -. Il calcolo porterebbe sicuramente ad avere come numero più elevato i colpi dati alle caviglie piuttosto che quelli dati al pallone; il che è tutto dire anche nella sovrapposizione del gioco del calcio con la parabola della vita umana: quante volte dobbiamo utilizzare metodi rudi per risolvere situazioni complicate quindi scegliere la spada piuttosto che il fioretto?

Ma la parabola del colpo a giro affascina e ammalia al punto tale da attirare verso di sé chiunque. Forse, gli unici calciatori che si astengono, almeno fino ai momenti attuali, dal tentare questo gesto atletico sufficientemente difficoltoso, sono coloro che hanno chiarezza di intenti, che conoscono il loro ruolo e la loro posizione in campo e per questo non si azzardano ad esporsi al ludibrio della folla in caso che il gesto effettuato da potenziale ritorno di urla di giubilo dovesse invece essere latore di urla di rabbia.

Allora il tiro a giro alla fine è questo: la parabola della nostra vita, di come la vorremmo, di come a volte tentiamo di costruirla, ma anche di come a volte il progetto ideato appaia sbagliato in funzione dei risultati ottenuti seguendone il disegno.