Joachim Peiper ha 28 anni ed è un ufficiale pluridecorato delle Waffen-SS quando alla guida del III Battaglione del 2º Reggimento Granatieri Corazzati della Divisione “Leibstandarte-Adolf Hitler” guida nel settembre 1943 la repressione antipartigiana nel cuneese.

Domenica 19 settembre, in località Boves, due militari delle SS vengono presi prigionieri da una formazione partigiana, immediatamente il comando tedesco minaccia una strage se non gli verranno resi i prigionieri che dopo poche ore verranno rilasciati incolumi dai partigiani.

A condurre la trattativa il parroco Don Bernardi che al suo ritorno con i prigionieri tedeschi, verrà come ringraziamento arso vivo. Insieme a lui 25 altri concittadini saranno trucidati e centinaia di abitazioni date alle fiamme.

Ma la carriera del boia Peiper non si fermerà a Boves, pochi mesi prima della fine della Guerra, nelle Ardenne, nel corso di una delle ultime offensive dell’esercito nazista, per ordine di Peiper le sue SS stermineranno 80 prigionieri di guerra americani che disarmati erano sotto la protezione dalla Convenzione di Ginevra.

Non un combattente ma un infame capace solo di infierire sugli indifesi, che non pagherà il conto dei suoi crimini alla giustizia dei vincitori.

Condannato all’impiccagione, per motivi incomprensibili, forse gli stessi che “grazieranno” molti altri ex-criminali nazisti “arruolati” dopo il conflitto in chiave anticomunista dagli Alleati, vedrà la sentenza capitale commutata in carcere a vita per essere poi definitivamente liberato nel 1956.

La storia potrebbe terminare così, con il boia dedito alla sua tranquilla attività di traduttore, a godersi la vecchiaia vivendo sotto falso nome in un paesino della Francia… fino a quel 13 luglio 1976, quando alcuni sconosciuti, si dirà ex-partigiani gli riserveranno la stessa sorte da lui inflitta anni prima al parroco di Boves, Don Bernardi, bruciandolo tra le fiamme della sua casa incendiata a colpi di molotov.

Le sue infami gesta dopo Boves

Dopo una nuova parentesi sul fronte orientale, Peiper si rese protagonista di uno degli episodi più tragicamente noti della Seconda guerra mondiale: il massacro di Malmedy. Nel corso dell’offensiva delle Ardenne, il 17 dicembre 1944, 84 soldati americani, fatti prigionieri dal Kampfgruppe Peiper, furono passati per le armi. Lo stesso giorno si verificò un altro efferato massacro ad opera delle SS. A Wereth undici soldati afroamericani furono catturati, orribilmente mutilati e giustiziati. In totale, il gruppo si rese responsabile della morte di 362 prigionieri di guerra e 111 civili nel contesto della battaglia delle Ardenne.

Dopo la guerra, a Dachau, si aprì il processo per i crimini di Malmedy - senza tuttavia considerare il lungo dossier di delitti commessi da Peiper e dai suoi uomini. Il procedimento, che coinvolse 73 imputati, si concluse il 16 giugno 1946 con 43 condanne a morte, tra le quali quella di Peiper. Egli era il principale imputato nonché la mente di un sistema che si basava sul terrore e la violenza. Cercando di imitare le gesta di Gengis Khan, era l’ufficiale delle SS perfetto, che incarnava la fede assoluta per il Reich e l’obbedienza totale agli ordini. Ma fu proprio la sua popolarità - nel bene o nel male - a salvarlo dal cappio. Perfino il generale Guderian si mobilitò per ottenere la commutazione della pena e i cambiamenti politici della Guerra fredda fecero il resto. Nel 1951, la condanna a morte di Peiper fu commutata in ergastolo. Nel 1956 fu definitivamente rilasciato. Erano gli anni del maccartismo, dell’inizio della caccia al comunista e quindi della riconciliazione con gli ambienti di estrema destra, visti ora con un certo favore dalle élite dell’esercito americano. I membri delle Waffen-SS furono così riabilitati, ignorando completamente il loro passato. Peiper tornò alla luce dei riflettori nel 2019, quando l'account Facebook del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti postò una fotografia a colori del criminale di guerra nazista per commemorare il 75° anniversario della battaglia delle Ardenne.

Per i morti di Krasnaya Polyana, Yefremovka, Semyonovka e Boves invece nessuna giustizia. Come nessuna giustizia la ebbero i soldati afroamericani trucidati a Wereth. A Boves, 80 anni dopo, il ricordo non è svanito, ma del rancore nessuna traccia. Il profondo cammino di perdono è il simbolo di una rinascita virtuosa che si spera, un domani, possa coinvolgere anche i discendenti di Peiper.