Tutto quello che nasce nelle tenebre newyorkesi emerge, prima o poi, alla luce. E’ una formula magica o fisica (dipende dai punti di vista), dalla quale nessuna forma artistica può sottrarsi. Quello che era underground, ora è famoso, alla moda, commerciale. Non più l’arte classica, sacra e immortale vista nelle città europee. Siamo alle prese con espressioni artistiche particolari. I graffiti, i murales, al di là delle polemiche infinite che possono generare, sono lo specchio di una sotto-cultura newyorkese che si è ritagliata il suo spazio in una giungla spietata. L’artista di strada riesce a trasformare un angolo grigio di una città in un mondo colorato, ribelle e fantasioso. Le semplici scritte, effettuate con bombolette, al contrario, diventano simbolo di vandalismo e dell’odio verso una società che ha fatto poco per combattere il disagio sociale, ma anche un modo per rivendicare le proprie origini multiculturali e il territorio.

I graffiti e murales sono diventati una forma d’arte famosa in tutto il mondo, nonostante le mille polemiche. Le scritte e il bieco vandalismo, sono invece brutti esempi, decontestualizzati e “scimmiottati”. Dal ghetto, ai negozi, dalla illegalità al successo commerciale. L’underground di New York non è nuovo a questo genere di esperienze.

Nella mente degli artisti di strada o “graffitari”, la strada diventa una maestosa tela, un grande affresco in grado di illuminare gli angoli bui e di svegliare le menti assopite dei passanti assorti nella solita routine quotidiana. Dalla metropolitana fino al Museum of city of New York: questo è lo strabiliante percorso dei Graffiti, un’arte sub-urbana che ha trasformato alcuni angoli bui della grande mela, in una gigantesca mostra artistica a cielo aperto.

Un’arte illegale, ma allo stesso tempo molto affascinante. Tutto risiede nell’abilità dell’artista. Il vero writer sfida la legge per dipingere uno spazio inutile e farlo brillare di nuova luce. Il vandalo, invece, scimmiotta una cultura, sporcando e “marcando” il territorio come un animale di branco. La visione di questo movimento si offre alle più svariate interpretazioni sociali, a giudizi artistici e concetti morali. Vediamo insieme come nasce questo movimento nella grande mela.

Difficile stabilire la data precisa. Più facile ritagliare e descrivere il contesto storico. Erano gli anni ‘70 nella grande mela. Anni duri e difficili, ricchi di eventi con episodi di violenza e di crisi economica per New York. Il Black out del 1977 e il relativo saccheggio, gli omicidi del serial killer David Berkovitz. Non solo questo, la metropoli americana, tra gli anni '60 e '70, è il teatro di innumerevoli tensioni razziali. La nascita dei quartieri popolari, aveva creato dei ghetti in cui diverse etnie dovevano convivere fra loro. Non c’era molto spazio, in quel periodo, per il famoso Melting-pot americano, la violenza era all’ordine del giorno. Bianchi contro Afroamericani e Ispanici. Più criminalità e meno polizia, rispetto a oggi: questa era l’equazione impietosa di New York negli anni ’70. La metropoli rischiò il collasso, ma la mentalità newyorkese è aperta, creativa e con un fortissimo istinto di sopravvivenza che può portare alla violenza, a speculazioni finanziarie, ma anche a creare mezzi innovativi per sopravvivere nella “gabbia” di cemento.

In questo teatro dominato dalle gang criminali, nascono forme musicali e artistiche. New York vede l’Hip Hop, farsi strada nell’oscurità dei suoi bassifondi. Nascono i graffiti, strettamente collegati a questa cultura di strada. Si formano, così, le crew, una forma di aggregazione giovanile contraria alle gang di quartiere. I territori non venivano contesi da questi ragazzi a suon di colpi di pistola, bensì con il ballo e le partite di basket. I vincitori potevano “segnare” il territorio conquistato con i tag, ossia il nome in codice dei graffitari o dei writer. Segno di riconoscimenti della crew o dell’artista, quindi. Una gara urbana, in cui i giovani newyorkesi si sfidano per far circolare il loro nome, o per meglio dire la loro firma, nella “grande mela”. Graffiti e tag diventano strumento di riconoscimento, di emancipazione sociale, un modo per risvegliare le doti artistiche in una società in cui la cultura di qualità, era accessibile solo alle classi benestanti.

I graffiti diventano espressione colorata del disagio sociale e vengono “importati” anche in Europa e su tutto il suolo americano. Sono diversi gli stili in cui questa arte può esprimersi: il bubble Style, lettere “arrotondate” e “paffute”, il wild style, forme e geometrie complesse con messaggi criptici, Block Letter, caratteri ben disegnati con un messaggio chiaro o leggibile, Puppet, reinterpretazione stilistica e originale di alcuni personaggi dei fumetti o cartoni animati.

Dalla strada fino al Museum of the city of New York. La mostra denominata City as Cavans, conclusasi il 21 settembre 2014, ha messo in mostra la collezione dell’artista californiano di “strada” Martin Wong. Più di 150 lavori di artisti e writers newyorkesi che hanno fatto la storia di questo movimento: Cey, Daze, Dondi, Futura 2000, Keith Haring, Lady Pink, Lee, Tracy 168.

E’ il sottile confine tra legalità e illegalità in cui si muovono i graffiti. Dalle gallerie dei musei, alle passerelle dell’alta moda, a quartieri in cui questa forma d’arte è legale: è il caso di 5 pointz. Un complesso industriale situato nel quartiere del Queens di New York, precisamente a Long Island City. In questo luogo abbandonato dall’uomo, ma non dall’artista, è possibile dipingere i muri senza infrangere la legge. Un caso curioso e particolare della legge newyorkese. I graffiti sono illegali, ma non a 5 pointz, una zona “franca”, sotto questo punto di vista. Lo storico edificio, un tempio dei graffiti, è stato imbiancato nel novembre del 2013 per volere dei proprietari Jerry e David Wolkoff, con l’intento di far costruire, in quell’area, due grattacieli di circa 1300 appartamenti. Nel 5 Pointz sono stati creati più di 400 graffiti dal 1993 e la notizia della sua demolizione ha creato dissensi e proteste. L’imbiancatura è stata definita un genocidio nei confronti dell’arte, ma si sa, non basterà, questo, per fermare i graffiti, una forma artistica sempre sospesa tra arte e vandalismo, in quel di New York e non solo.