“Hilal ha 19 anni, è afghano ed è arrivato in Italia nel 2011. Hilal è orfano, è scappato dalla guerra e dalle violenze dei talebani quando era ancora solo un bambino. Dopo un corso per pasticciere, frequentato grazie agli amici della Luconlus, è stato assunto in una pasticceria di Roma dove lavora da due anni. Ha un contratto di lavoro regolare, vive con i suoi amici e parla con gli occhi che brillano di corsi in Francia per fare sculture di cioccolato, per fare sempre meglio il suo lavoro”.

Quella di Hilal è una delle tante storie portate avanti dalla cooperativa sociale romana Spes contra spem citata nel catalogo che accompagna l’installazione Surplace di Mario Airò in quanto parte del ricavato della vendita del catalogo sarà devoluto da Trait d’Union Onlus, un’associazione socio-culturale che organizza e promuove eventi di diverse espressioni artistiche con particolare attenzione ai soggetti svantaggiati, al fondo per le borse lavorative pensate per dare tante opportunità ai giovani ragazzi della casa famiglia Approdo, dove ha soggiornato Hilal al suo arrivo in Italia.

Dopo l’opera di Marzia Migliora nel 2012, l’edizione 2015 di Toccare l'Arte, rassegna sensoriale di arte contemporanea per una cultura senza barriere, vede come protagonista Mario Airò, artista tra i più interessanti a livello nazionale e internazionale. Attraverso una memoria degli affetti o guidato da un particolare desiderio Mario Airò osserva la realtà quotidiana semplificandola in alcuni elementi, importanti, essenziali destinati ad essere ingigantiti e amplificati con l’intento di suscitare nello spettatore stupore e più genericamente particolari stati d’animo sia di tipo emotivo che riflessivo ricordandoci l’importanza di quel potere creativo e contemplativo del daimòn che ognuno di noi ha dentro di sé.

Surplace, che letteralmente significa “sul posto”, è un termine che l’artista ha preso in prestito dal mondo delle gare ciclistiche dove indica la tecnica che permette all’atleta di restare fermo in equilibrio sulla bicicletta in attesa del momento migliore per sfuggire al proprio avversario senza lasciargli la possibilità di reagire. Surplace è un’installazione aerea sospesa a quasi quattro metri di altezza dal suolo, costituita da foglie di magnolia vetrificate disposte nel cielo come uno stormo di uccelli migratori e libere di ondeggiare armonicamente danzando nel vento. Quelle foglie in ogni caso non vanno da nessuna parte, sono lì ferme, sospese tra cielo e terra, in attesa di muoversi e reagire sorprendendo così tutti. Un ulteriore aspetto che emerge dall’installazione è che le foglie esistono non solo come elementi singoli ma come parti di una comunità che loro stesse costituiscono. Surplace richiama le problematiche dei migranti, degli apolidi, degli esuli e più genericamente di tutti coloro che non si riconoscono nel conformismo sociale, richiama la condizione/sensazione di essere sospesi tra mondi diversi, culture diverse senza ancora raggiungere terra quindi trovare una stabilità.

Ho raggiunto l’artista Mario Airò e ne ho approfittato per porgli qualche domanda e approfondire la poetica ma anche la condizione reale e realistica della sua installazione.

Surplace (2015) è il tuo ultimo capolavoro commissionato e prodotto per l’edizione 2015 di Toccare l'Arte. Puoi raccontarci questo tuo ultimo progetto e il legame con la tua produzione artistica precedente?

Sono stato invitato a pensare a una installazione specifica per il giardino di Sant'Alessio e a riflettere sulla condizione dei migranti. Ho sempre prediletto forme d'arte aperte e polisemiche, che concedessero più possibilità d'interpretazione. Mi sono quindi adoperato a ricercare un'immagine che riuscisse a trasmettere più per sensibilità che non per contenuti un'idea di fragilità, connessa al nostro senso dell'esistere. Con uno sguardo retrospettivo posso ritrovare questo stesso concetto in molti altri lavori passati, anche se non così centrale: direi piuttosto come uno dei fili che compongono la tela.

Nell’introduzione ho sottolineato come l’installazione richiami la condizione di sospensione che caratterizza le vite dei migranti, degli esuli, degli apolidi sospesi appunto tra la loro cultura di provenienza e la cultura del paese ospitante. La contemporaneità ci ha abituati (parlo ovviamente di noi occidentali) a ripensare il nostro rapporto con gli spostamenti che diventano sempre più veloci e facili rispetto al passato. Così come la globalizzazione ci ha abituati a una cultura globale internazionale basata sulla condivisione di abitudini e pratiche tipiche del sistema anglosassone/americano. Non sempre però ci rendiamo conto che queste modifiche riguardano soltanto una parte dell’umanità concentrata soprattutto a Nord-Ovest del pianeta dotata di mezzi economici e culturali tali da permettere questa visione. Pensi che l’arte possa aiutare a riflettere su questi cambiamenti facendoci recuperare un nuovo senso etico o comunque una certa consapevolezza delle nostre responsabilità?

L'arte a mio avviso ha sempre avuto anche un ruolo etico. È una cosa pubblica e chi la pratica è partecipe al dibattito culturale del suo tempo attraverso il suo agire. Anche chi rivendica nelle maniere più radicali la totale autonomia dell'arte sta dicendoci qualcosa che riguarda tutta la nostra cultura.

Il tema delle migrazioni è un tema estremamente delicato anche per noi italiani che fino a qualche generazione fa siamo stati un popolo di migranti a tutti gli effetti e probabilmente oggi in parte lo siamo ancora. Ovviamente non parlo di migrazioni volontarie ma della migrazione di persone che non hanno altra scelta. Secondo te può l’arte aiutarci a comprendere meglio questa condizione?

L'arte può renderci evidenti, farci vedere un sacco di cose sottili, non vedo perché dovrebbe essere da meno su questo argomento.

Molte tue installazioni riflettono sul rapporto tra la complessità sociale e culturale e le nostre possibilità di percezione sottolineando l’importanza della percezione rispetto alla forma in un mondo dove la forma prevale quasi sempre sulla sostanza. Cosa significa per te “percezione” e perché è così importante per la tua poetica?

Credo che solo l'esperienza reale sia in grado di darci una percezione che ci trasmetta intensità. urgenza e necessità, che ci costringa a prendere posizione non solo nel campo delle opinioni, ma con partecipazione attiva. E credo anche che solo attraverso di essa comprendiamo realmente qualcosa e ci possiamo modificare.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho un po' di progetti in corso, di alcuni non me la sento di dire nulla, poiché sono appena stati definiti. Ce n'è uno però a cui tengo particolarmente: è una commissione di una comunità belga, attraverso il programma di nuovi committenti, per la creazione di uno spazio per la loro città. È la terza volta che sono selezionato da differenti comitati di Nouveau Commanditaires, una modalità di portare l'arte nello spazio pubblico che apprezzo molto. In questo programma ho appena completato una installazione permanente a Torino, con l'associazione culturale a.titolo ed è stata un'esperienza molto bella.