Il postmoderno è quella corrente che decostruisce la linea di narrazione classica attraverso la fusione dei linguaggi attuando una sintesi che trasforma l’opera in qualcosa di sperimentale e personale. Essa coinvolge tutta l’arte. Comincia a emergere intorno agli anni ’80. Spesso nell’arte postmoderna c’è una commistione di generi anche diametralmente opposti tra di loro. Spesso assume una connotazione violenta. Questo perché attinge alla cultura mediatica e sociale di quegli anni, quale televisione, pubblicità, politica e scelte economiche neo-liberali che appunto appoggiano i tre punti elencati in precedenza. Queste opere svelano la società o forse la influenzano, esattamente come accade con l’informazione mediatica, in cui la macchina da presa inquadra un uomo che è vittima di un incidente dove la benevolenza dell’umanità sembra scomparsa.

In questo momento è acceso il dibattito sulla corrente postmodernista, in cui ci si chiede se essa è ancora attuale. Alcuni sostengono che il post-moderno sia terminato. Credo sia un discorso davvero relativo. Credo che il postmoderno per alcuni sia cominciato, per altri è in corso e per altri ancora è finito e non sto parlando dei critici ma dei registi e artisti.

Prima di tutto bisogna considerare che qualunque prodotto commerciale o opera d’arte pop diventa uno specchio in cui lo spettatore può riflettersi e identificarsi. Questo è uno dei cavalli di battaglia del post-moderno. Secondo, la frammentarietà e varietà delle informazioni che si acquisiscono oggi contaminano culture e sottoculture determinando individui dalla personalità sfaccettata e complessa: esattamente come puoi trovare una persona che ascolta swing e musica sperimentale, se ne può trovare un’altra che ascolta musica classica ed è appassionata dei film di Russ Meyer (altamente improbabile ma possibile per la legge dei grandi numeri).

Terzo, l’opera d’arte è sempre contemporanea alla società in cui vive e ciò ne determina le caratteristiche, perciò una società come la nostra in cui bene e male si fanno sempre più labili e in cui l’informazione diventa sempre più diffusa ma anche più vaga e generica – quindi di massa – l’arte non può che essere pop e ambigua. Questi sono i tre punti di forza del postmoderno di cui sono provvisti molti prodotti artistici.

Certo non tutta l’arte ha queste connotazioni, film come quelli di Asghar Farhadi sono molto lontani da questa visione però se ci si sofferma un attimo sia i film d’intrattenimento come possono essere quelli targati Marvel, in particolare U, sia i film d’autore come può essere Ave Cesare dei fratelli Coen rientrano appieno nei caratteri elencati prima. In più alcuni autori stanno migrando verso la televisione, come Sorrentino che in un’intervista afferma che la televisione potrebbe diventare la nuova sede del prodotto audiovisivo d’autore.

Anche nelle arti figurative il postmoderno permane, anche in autori emergenti come Reginald Sylvester II, esposto tra marzo e aprile alla Fondazione Stelline a Milano, con una tela in cui racconta un evento mediatico che ha sconvolto la comunità americana: un ragazzo afroamericano venne arrestato ingiustamente e dopo la sua scarcerazione avvenuta alle porte dell’estate, si è suicidato per ciò che aveva subito in galera. L’artista racconta un evento mediatico truculento e scomodo ma al contempo tra i suoi soggetti preferiti c’è la Bibbia che gli piace rappresentare attraverso il linguaggio dell’espressionismo astratto. Chiaramente c’è anche un senso critico nel postmoderno ma spesso aleggia nell’ambiguità o non è chiaramente detto, caratteristica tipica del cinema della modernità in cui il linguaggio si è fatto più sofisticato e meno trasparente.

Ci sono diversi artisti che adoperano strumenti digitali per realizzare le loro opere quali videogiochi, internet e computer, linguaggi inusuali che si adattano bene alla vena pop del postmoderno. Detto tutto questo torno alla mia provocazione, aggiungendo che nel tempo gli artisti di diverse età si sovrappongono e s’influenzano. Finché la società non conoscerà dei reali cambiamenti globali, il postmoderno vivrà sempre, con più o meno artisti a farlo ma sempre rimarrà.