La Galleria Alberta Pane è lieta di presentare Kissing Squares, esposizione personale di Esther Stocker nella sua sede veneziana. In conversazione con la gallerista, l’artista parla del suo lavoro e delle sue evoluzioni, riflette sul concetto di responsabilità artistica e commenta le opere presenti in mostra: pitture e sculture di diverse dimensioni, bianco, nero e grigio, elementi lineari e quadrati sono gli ingredienti attraverso i quali Esther Stocker renderà lo spazio della galleria un ambiente avvolgente, “anarchico” e percettivamente stimolante.

Alberta Pane: Cara Esther, ci siamo incontrate per la prima volta a Vienna nel 2010 grazie a Paola Valenti, cara amica e storica dell’arte, che ci ha messo in relazione. Mi ricordo ancora della prima volta che ho visto il tuo atelier e il tuo lavoro: un universo bianco, nero e grigio di linee; anche se mi raccontavi, invece, che ai tuoi esordi realizzavi pitture figurative. Me ne parli?

Esther Stocker: Sì, è vero! La pratica pittorica che sto sviluppando adesso deriva, da un lato, da una pittura espressiva e, dall’altro, dai ritratti di persone che facevo agli inizi. Questo è un elemento che trovo ancora importante, in modo particolare mi interessa l’atto di guardare con attenzione l’altro, il capire me stessa attraverso quest’ultimo. I temi che sviluppo, questi paradossi formali, sono infatti molto legati alla questione dell’identità. Il tema del ritratto si lega a quello di figura-sfondo, che si relaziona anche con l’uso del bianco e nero; questi elementi costituiscono per me un “gruppo percettivo”, non solo dal punto di vista dell’aspetto formale. Lo sviluppo del mio lavoro nell’astrazione è legato infatti a un tema esistenziale. Trovo importante far capire al pubblico che non si tratta di una “forma per la forma”: la forma ha dentro di sé una dimensione sociale ed esistenziale.

AP: La prima mostra personale che hai presentato in galleria a Parigi, il cui titolo era ‘Dirty Geometry’, è stata dieci anni fa, nel 2011: un’installazione di linee spezzate riempiva nella quasi totalità lo spazio della galleria. Come si è evoluto il tuo lavoro da allora?

ES: Il mio lavoro è ancora legato anche al tema della dirty geometry, che è il cuore della mia pratica, la quale si costituisce di sistemi irrazionali in un sistema quasi razionale. Questi paradossi e queste contraddizioni sono quindi sempre al centro del mio lavoro. Uno sviluppo c’è stato; infatti, solo negli ultimi anni ho cominciato a fare scultura. Nell’esposizione a Venezia ne presenterò una grande nello spazio principale della galleria e una serie di diverse dimensioni nel corridoio d’ingresso. Se in Dirty Geometry vi erano pitture e un’installazione lineare, Kissing Squares si focalizzerà invece prevalentemente su pitture e sculture. In questi dieci anni ho inoltre iniziato qualcosa di diverso: ho instaurato nuove collaborazioni e creato oggetti che si avvicinano al design. Ho fatto sculture mobili, esperimenti e collaborazioni con il mondo della moda.

AP: Parlaci della tua mostra personale in galleria a Venezia.

ES: Kissing Squares proporrà un focus sulla pittura. Anche se utilizzo sempre il bianco e il nero e un sistema molto simile a quello che usavo prima, spero di essere stata in grado di sviluppare i miei lavori rispetto a quanto realizzato in passato. Il titolo dell’esposizione forse già spiega in parte il modo in cui faccio uso dei quadrati nelle pitture. In queste, tuttavia, c’è più libertà di quanta non ci fosse una volta; c’è ancora la griglia, ma non si vede bene. Si tratta di pitture che si avvicinano di più a un tema galatticocosmologico, in dialogo con la geometria. In mostra ci saranno poi delle sculture e anche un video, che farà riferimento a sculture che possono essere intese come moda.

AP: Hai in parte anticipato la mia domanda nelle risposte precedenti; volevo infatti chiederti in merito alle svariate collaborazioni che stai facendo da qualche anno proprio con il mondo della moda: perché sei attratta da questo e in cosa lo trovi stimolante?

ES: In un certo senso lo trovo stimolante proprio perché io non vengo da questo. Provengo da un mondo contrario, quasi anti-moda. Mi sono sempre interessata a concetti filosofici e formali e non di sviluppo in un senso estetico. Io stessa, per molto tempo, non ho avuto grande interesse nei confronti della moda e del design. Negli anni ho però capito che questi universi sono tutti legati a quello dell’arte. L’avanguardia russa e il Bauhaus avevano creato questi collegamenti, pensando in maniera più universale, e proprio qui sento, in qualche modo, affondare le radici della mia pratica artistica. In tedesco c’è questa parola, che non si riesce a tradurre esattamente, Gestalt o il verbo gestalten, cioè figura o fare un design per un oggetto. La Gestalttheorie, la teoria della percezione, è qualcosa a cui sono molto vicina nel mio lavoro. In più, a me piacciono gli esperimenti! Un altro elemento che mi sembra importante sottolineare è la responsabilità artistica. I medici devono firmare un codice di responsabilità, quasi etica, in cui si impegnano, considerate le loro abilità, ad aiutare le persone. Penso che sia una cosa giusta e che valga per tutti i talenti: anche per gli artisti esiste una responsabilità. La moda non è un terreno che conosco bene, ma penso che noi artisti abbiamo la responsabilità dell’immaginazione, della fantasia, delle idee un po’ più “rischiose”. Design e mobili perfetti esistono già. Queste idee “rischiose” penso facciano parte della nostra responsabilità e anche necessità artistica. Quando ci sentiamo pronti è giusto sperimentare nuove idee e cercare di instaurare un discorso e dialogo in senso più ampio. Il mio interesse nei confronti di moda e design non è legato a qualcosa di tangibile, ma piuttosto a idee visionarie che ritengo facciano parte della responsabilità artistica.

AP: Qual è la tua visione dell’artista di oggi?

ES: Forse ho già risposto in parte parlando di responsabilità artistica. Questa fa parte della mia visione dell’artista. Non penso che ogni artista debba occuparsi di moda. Per me il senso dell’essere e fare l’artista non solo oggi, ma sempre, è quello di rappresentare una grande libertà, anche in qualche modo prendendo dei rischi. Per me l’arte si deve collegare alla vita, ma non deve insegnare alla gente. Il cuore dell’arte è più anarchico, deve essere sempre una strada aperta in tante direzioni e rimanere un terreno di libertà.

AP: Cosa ti aspetti da questa mostra e quali sono i tuoi progetti futuri?

ES: Da questa esposizione mi aspetto di condividere le mie idee con il pubblico e di instaurare e far crescere così un dialogo, non solo con me stessa, ma con gli altri. Come progetti futuri ho altre mostre con pitture e sculture, di cui non posso ancora specificare troppo!

Esther Stocker (IT, 1974) Riconosciuta a livello mondiale per le sue pitture, sculture e grandi installazioni caratterizzate da uno stile astratto e geometrico e per l’uso di una palette limitata al nero, bianco e grigio, Esther Stocker incentra la sua ricerca sulla visione e sulla percezione dello spazio, attraverso un approccio esistenziale e sociale. “Nei miei dipinti, nelle mie sculture e installazioni cerco di descrivere l’ambiguità e l’incertezza del sistema. Utilizzo la precisione di un sistema per investigare il sistema stesso. Cerco di liberare e abbandonare i nostri modi di vedere e comprendere che sono associati alla riconoscibilità delle forme e che ci distinguono gli uni dagli altri, talvolta inconsciamente.”

Esther Stocker ha studiato all’ Accademia di Belle Arti a Vienna, a quella di Brera (Milano), all’Art Center College of Design a Pasadena, in California. Espone regolarmente in musei, fondazioni e gallerie internazionali. Il suo lavoro è stato esposto in sedi ed eventi quali Changwon Sculpture Biennale (Corea del Sud) Museum Haus Konstruktiv (Zurigo), Museo Vasarely (Budapest), Museo Gegenstandsfreier Kunst (Otterndorf, Germania), LA BF15 (Lione), Triennale di Setouchi (Giappone), Kunsthalle di Bratislava, Ambasciata Italiana a Vienna, MACRO (Roma), Museum Ritter (Waldenbuch, Germania), Georg Kolbe Museum (Berlino), Künstlerhaus Hannover, CCNOA – Center for Contemporary Non-Objective Art (Bruxelles), Museum Moderner Kunst Stiftung Ludwig (Vienna), Sharjah Art Museum (Emirati Arabi), solo per citarne alcune.

Tra le recenti collaborazioni con il mondo del design e della moda ricordiamo quella con Flora Miranda per Cyber Crack 2020, una sfilata tenutasi durante la Settimana della Moda di Parigi (2020), con BMW Japan per la Setouchi Triennale (2019), con Eider per la collezione invernale 2018/19, con Kohlmaier Wien per la ICFF - International Contemporary Furniture Fair (ICFF) a New York e con Iris van Herpen a Milano (nel 2018). Nel 2020 ha vinto il Prix Aurélie Nemours.