Federico Galbiati
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Federico Galbiati

La mia passione per il cinema nasce nel profondo sud del Brasile, dove, in un paesino sperduto tra le campagne sterminate della Serra Gaùcha, saltavo in piedi sulla sedia alla scena della taverna di Bastardi senza gloria oppure mi sforzavo di risolvere l’enigma del magnetico finale di Inception. La sala più vicina era a due ore di macchina, ma ciò non mi fermava: ad ogni occasione possibile correvo al cinema.

A 16 anni sono tornato in Italia insieme alla mia famiglia e mi sono iscritto al liceo linguistico, un po’ per il mio amore per le lingue e la letteratura, un po’ per avere la possibilità di vedere più pellicole in versione originale. In realtà, durante gli anni liceali nella provincia brianzola, il mio obiettivo era imparare tante lingue per fuggire all’estero una volta concluso il quinto anno. Nell’attesa cercavo fughe più vicine. Così, appena ne avevo l’occasione, salivo su un treno per Milano, per non perdermi la mostra su opera e vita di Frida Kahlo o la messa in scena de Caligola di Albert Camus. Frequentavo inoltre workshop su registi cinematografici tra cui Xavier Dolan, che è stato a lungo la mia ossessione estetico-stilistica. La sua maestria nel raccontare personaggi fragili ed esuberanti con un linguaggio che fonde gli stilemi dei grandi maestri del cinema e le innovazioni di canoni contemporanei come i video musicali, mi ha colpito a tal punto che sono partito per Roma con l’obiettivo di incontrarlo al festival del cinema della capitale.

Ottenuta la maturità linguistica non ho preso il volo per la Germania o la Spagna come mi ero prefissato, ma ho deciso di iscrivermi al corso triennale di filosofia per cercare di ottenere qualche chiarimento in più su ciò che maggiormente mi ossessionava: l’essere umano. Nel corso dei tre anni ho sondato tante teorie, alcune affascinanti, altre deludenti, ma nessuna definitiva e l’arrivo tempestivo della pandemia mi ha motivato a coltivare la mia vena artistica, così, in assenza del mondo esterno, pianificavo la mia evasione attraverso le parole. Chiuso in casa ho scritto la mia prima sceneggiatura, quindi, ottenuta la laurea, mi sono trasferito a Torino per frequentare il master in scrittura creativa focalizzato su Cinema e Serie Tv della Scuola Holden. Lì ho capito di non aver già un capolavoro nel cassetto e che dietro ogni opera c’è un intenso lavoro di squadra.

Nei due anni di master ho potuto sviluppare un fiuto per le buone storie e arricchire il mio bagaglio tecnico-narrativo, strumenti che hanno affiancato la ricerca della propria poetica e dell’identità di narratore. All’inizio del corso ci è stato chiesto di scegliere un’opera che rispecchiasse il nostro ideale di narrazione ed io dopo una sudata riflessione sono giunto a due finaliste Il ritratto di una giovane in fiamme di Celine Sciamma e Fleabag di Phoebe Waller-Bridge. Il primo per la poeticità con cui ritrae il desiderio, l’intimità e la solitudine, con uno stile delicato ed emotivamente denso, che mi lascia ogni volta senza parole; il secondo per l’ironia irriverente che mette in campo nel raccontare personaggi fragili e fallaci, ma sempre credibili ed emozionanti.

Concluso il master sono pronto a cimentarmi in nuove sfide, coltivando i miei progetti personali e confrontandomi con altri ambienti creativi, che hanno a cuore la ricerca e lo sviluppo di storie innovative e avvincenti, per mettere in campo le conoscenze acquisite e arricchire il mio bagaglio artistico.

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