Tra i numerosi rituali della tradizione natalizia quello che coinvolge le 12 notti che dal Natale precedono l’Epifania, è sicuramente il più misterioso. È una antica celebrazione di radici pagane legata al solstizio di inverno, ma che ebbe l’imprimatur ecclesiastico nel concilio di Tours del 567. Le 12 notti sono 12 passi, che ritmano la celebrazione dalla nascita divina, al passaggio dell’anno (che se pur è una convenzione ha pur sempre un valore simbolico), fino alla Epifania - manifestazione - la presentazione di una incarnazione divina all’umanità.

Svariati possono essere i gesti celebrativi eseguiti in queste notti, ma preferisco quello di accendere una candela di cera d’api e bruciare dell’incenso. In queste 12 notti ogni candela accesa rappresenta un mese dell’anno e il percorso del sole nello zodiaco. Celebro e medito, così, sul significato della luce e del suo peregrinare nella trasformazione stagionale. Una candela di cera di api, un concentrato di luce solare e come tale un perfetto strumento, un segna passi luminoso per queste feste, insieme al gesto, antico e universale, dell’accensione dell’incenso.

La luce per illuminare le intenzioni e il fumo profumato per innalzare la preghiera e i migliori propositi per un altro ciclo che si ripresenta. Al fumo dell’incenso si è da tempo attribuito la facoltà di elevare le preghiere verso il cielo e la simbologia di fondere il regno materiale con il regno immateriale: Come incenso salga a Te la mia preghiera, le mie mani innalzate come sacrificio la sera (salmo 140). La sacralità di questo periodo dell’anno era nota nell’antichità nelle celebrazioni dei Saturnali e nel Dies natalis solis invicti, la nascita del Sole Invitto, o nei culti del dio Mithra. Espando in libertà il rito, iniziandolo dal solstizio invernale includendo così “il compleanno del sole” quando l’astro ricomincia a “rinascere” astronomicamente dopo la sua discesa dal solstizio estivo. Potrei espandere esotericamente questo rituale includendo delle invocazioni a dodici santi prescelti, utilizzare dodici piante, indossare una pietra specifica ogni notte (rifacendosi al pettorale del sacerdote biblico) e altro. Per dettagliati approfondimenti sui significati di queste 12 notti rimando alla lettura data da Rudolph Steiner.

Sia ben chiaro che per incenso si intenda, non i fumogeni e asfissianti bastoncini di imprecise sostanze chimiche che vengono commercializzati come “naturali”, ma possibilmente la fumigazione sul carboncino di autentiche resine. Il carboncino è un concentrato, in una compressa nera, di sostanze infiammabili che mantengono la combustione delle resine per lungo tempo ed è quello che permette, nel turibolo (incensiere), di fumigare a lungo l’incenso e le varie miscele durante le cerimonie liturgiche ( come quelle della tradizione cristiana ortodossa). La chiesa cristiana alle sue origini rifiutò l’uso rituale delle fumigazioni delle resine per distanziarsi da una pratica pagana, per accettarla poi nel IV secolo, prima in Oriente e poi dal IX secolo come prassi nelle cerimonie sacre, per arrivare ad una presenza occasionale nelle celebrazioni attuali. Nel nostro rito personale potremo usare solo della mirra e dell’incenso (in parti uguali) a ricordo dei doni che secondo la tradizione, così riporta il vangelo di Matteo, i Re Magi portarono a Gesù appena nato.

Questi personaggi che conosciamo come Magi o Maghi, non erano probabilmente Re, ma dei mistici sapienti, di regale avevano la propria anima e furono guidati in quel luogo dal loro cuore aperto ai misteri divini. Furono ambasciatori, rappresentazione simbolica e reale dell’Umanità che venne a rendere omaggio a questo bambino unico e speciale. Immagino che il più ricco tra loro portò veramente dell’oro, gli altri la mirra e l’incenso, simboli della regalità, del martirio sulla croce, ma anche della immortalità.

Mi piace pensare che quell’oro fu donato ai poveri e le resine furono usate per essere bruciate, non rimase niente dei doni, ma solo il simbolo del rito tramandato in eterno. Ma cosa è un rito? È il gesto per canalizzare, concentrare una intenzione. Un autentico rito (non il vuoto rituale) amplifica ed espande all’esterno una volontà interiore. Nella ripetizione canalizzata del rituale, la mente è come disciplinata e orientata. Ma il gesto ritualizzato presuppone una intenzionalità e una direzione: per chi e per cosa? Senza l’intenzione devozionale, l’offerta del rito è pura esteriorità. L’uomo moderno ha solo ritualità tecnologiche compulsive, riti automatici sensorio-motori, ma senza partecipazione, senza coinvolgimento interiore. Il rito è una celebrazione al sovrasensibile, dove invito le forze invisibili, misteriose e nascoste a unirsi con l’officiante. Non dimentichiamo come in tutta la tradizione orientale la combustione di resine e piante è parte inscindibile delle celebrazioni e per favorire la meditazione, non a caso la sensibilità della cultura giapponese ha reso la fumigazione dell’incenso un’arte tradizionale, un rituale meditativo di antiche radici storiche, il Kodo.

Mirra e Incenso

Con il termine generico di incenso, che deriva dal latino incendere, incendiare, si designa qualunque sostanza resinosa che bruciata emana fumi profumati. Nei testi classici, in senso lato, si indicavano come incenso miscele ricavate dalla essudazione di canali resinosi vegetali di varie piante: benzoino, labdano, storace, ecc. Ma l’incenso, gommoresina universale per le celebrazioni, ha una sua precisa denominazione indicando la produzione resinosa di alcune specie vegetali del genere Boswellia (B.sacra, B.thurifera, B.serrata, ecc.). È noto come franchincenso (cioè vero, franco, genuino incenso) o olibano (dall’arabo al-luban).

Per quanto riguarda la mirra è una gommoresina del genere Commiphora con oltre duecento specie distribuite in vari paesi, ma la Commiphora myrrha della Somalia, dell’Etiopia, della penisola arabica è la specie più utilizzata. La loro presenza non è stata solo sui bracieri dei templi e delle chiese, ma anche nelle ricette mediche e cosmetiche e queste resine conservano proprietà curative efficaci ancora applicabili. Potreste aver usato un estratto di mirra in un collutorio o in un dentifricio, è infatti una vera panacea per i problemi del cavo orale, in perfetta sinergia con la ratania, il timo, la salvia, il propoli o anche sciolta in un infuso di rosa dolcificato con miele. Afte, stomatiti, ulcere, piorrea, gengiviti, mughetto, beneficiano della mirra, così come per la sua azione antisettica, antinfiammatoria, antiflogistica, antibiotica (già gli antichi soldati greci portavano una pasta di mirra nelle battaglie come medicinale per pulire le ferite e prevenire le infezioni) anche per faringiti, tosse e infezioni bronchiali.

Gli aromi di mirra e di incenso (anche per le loro capacità conservative) si sprigionavano nei profumi e negli unguenti antichi più famosi, un tempo dove la differenza tra rito, medicina e arte profumiera non era così netta. Dal Kuphi (o Kiyphi) egiziano composto da una decina fino a più di 60 essenze, al Mendesium, al Metopium, al Cyprinum, fino a ricette sacre indicate direttamente dal Profumiere Divino:

Ed il Signore disse a Mosé

Procurati balsami: storàce, ònice, galbàno come balsami e incenso puro: il tutto in parti uguali. Farai con essi un profumo da bruciare, una composizione aromatica secondo l’arte del profumiere, salata, pura e santa. Ne pesterai un poco riducendola in polvere minuta e ne metterai davanti all’arca della Testimonianza, nella tenda del convegno, dove io ti darò convegno.

(Esodo 30, 34-36)

Mosè fu inoltre istruito a preparare l’olio sacro per l’unzione:

Procurati balsami pregiati: mirra vergine per il peso di conquecento sicli, cinnamòmo odorifero, la metà, cioè duecentocinquanta sicli, canna odorifera, duecentocinquanta, cassia cinquecento sicli, secondo il siclo del santuario (16,4 g circa), e un hin (5, 83 litri circa) d’olio d’oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere.

(Esodo 30, 22-25)

La mirra era usata per aromatizzare il vino, anche se l’etimologia ne denuncia un sapore amaro (il termine viene dal latino murra o myrrha, a sua volta derivato dal greco e dall’ebraico da cui una radice semitica mrr, “amaro”) e si dice che lo stesso Gesù ne bevve all’ultima cena. Ma dopo il dono dei Magi e il vino rituale, la mirra servì anche per l’unzione del suo corpo:

Egli (Giuseppe di Arimatea) dunque venne e prese il corpo di Gesù. Nicodemo (…) venne anch’egli, portando una mistura di mirra e aloe di circa cento libbre.

La mirra non manca nella mitologia e riporto l’avvincente mito greco antico:

Il brevissimo racconto dello Pseudo-Apollodoro (citando come fonte più antica il poeta epico Paniassi) indica Teia come un re assiro la cui unica figlia, Smyrna, viene punita da Afrodite, adirata per la sua scarsa devozione, facendola innamorare del padre. La giovane donna, per merito della compiacente nutrice, riesce a giacere dodici notti di seguito con un Teia inconsapevole della sua vera identità, fino a quando non desidera vederla in volto alla luce di un lume per scoprire così l’inganno della figlia, e tramutato il piacere in ira, inseguirla per ucciderla. Smyrna fugge pregando gli dei di renderla invisibile e costoro, pietosi, la trasformano in un albero dalla resina profumata: la Mirra. Dopo nove mesi l’albero si apre e dal suo fusto viene alla luce il bellissimo Adone.

O navigando nella leggenda, narrata da Plinio dove la mitica Fenice costruisce il suo nido di incenso e mirra dove bruciare e rinascere dal fumo profumato.

Aromaterapia... sacra

Sia dall’incenso che dalla mirra si distillano oli essenziali in corrente di vapore di grande utilità in terapia, ma anche in cosmetica, in particolare contro l’invecchiamento della pelle, uso già noto dagli antichi Egizi (oltre che usarlo come antidoto alla cicuta). Una delle numerose e preziose ricette (di personale sperimentazione) in cui inserire l’incenso: olio di rosa mosqueta, olio essenziale di incenso, di semi di carota selvatica e, se ne avete di qualità certificata, anche dei preziosi oli essenziali di sandalo o/e neroli. Anche l’olio essenziale di mirra ha capacità rigenerative e di risanamento dei tessuti, inoltre ha evidenti proprietà antifungine: una combinazione con olio di neem (Azaridachta indica, albero medicinale eccezionale) e olii essenziali di timo, lavanda, tea tree, limone, mi è risultata efficace in numerose affezioni micotiche. Tuttora sono in corso ricerche approfondite sulle proprietà antinfiammatorie degli acidi boswellici ed è già commercializzata una combinazione con un’altra pianta antinfiammatoria come la curcuma.