A poche decine di chilometri da Torino, nel Canavese, nelle Valli di Lanzo, nel Pinerolese, si trovano numerosi impianti di miniere dismesse. Tra questi, quelli di Traversella, dove per secoli ha proliferato un’importante attività di estrazione del ferro.

Le attività di sfruttamento dei giacimenti di quel comprensorio iniziarono nel periodo preromanico e si sono protratte, in pratica, fino ai giorni nostri consentendo l’estrazione di grandi quantità di ferro, il metallo più usato in assoluto dall'umanità. Infatti grazie al basso costo di estrazione e alla sua resistenza, innumerevoli sono state le applicazioni civili e militari, realizzate anche in ghisa e acciaio, i suoi composti più diffusi.

Alla fine del Settecento, dopo secoli di esercizio, la miniera si estendeva in maniera irregolare su un’area molto ampia. A quel tempo, l’attività era scarsamente regolamentata, i diritti di sfruttamento aspramente contesi e, nonostante i numerosi controlli effettuati e i severi provvedimenti presi dalle autorità locali, frequenti erano le frodi e le irregolarità. Mancavano, inoltre, un piano complessivo di utilizzo della struttura e un'adeguata normativa per lo sfruttamento delle coltivazioni di metalle. Di conseguenza le gallerie finivano per incrociarsi sempre più disordinatamente, aumentando sia i rischi di crolli sia le liti tra i cercatori.

Nel 1819, a seguito di una inevitabile vasta frana, per fortuna con conseguenze solo materiali, la situazione cambiò radicalmente. Infatti, al fine di orientare lo sviluppo della miniera nel sottosuolo, furono apportate sostanziali modifiche nella struttura e costruite, su più livelli di profondità, nuove gallerie. Contestualmente, furono realizzate opere di consolidamento, di messa in sicurezza, camini di aereazione e vie di fuga. La struttura era sostenuta da possenti travi di castagno che, stagionate nel freddo umido delle viscere della montagna ne assimilavano il ferro, diventavano più solide del marmo. I collegamenti tra i diversi livelli di profondità erano garantiti da un sistema di scavi verticali.

La miniera, però, continuò ad avere vita difficile. Infatti, sopraggiunsero nuove difficoltà dovute alla progettazione approssimativa dei nuovi percorsi. Ciononostante, la scoperta di nuovi ricchi filoni e i numerosi avvicendamenti nella proprietà permisero di proseguire le attività estrattive fino alla fine dell’Ottocento, il periodo di maggior espansione dell’impianto. All’epoca, si contavano circa settanta chilometri di gallerie attive, un mondo di bivi e incroci, dove operavano alcune migliaia di addetti che, specialmente durante il periodo invernale quando cioè le attività agricole e pastorali concedevano le pause stagionali, svolgevano mansioni legate all’estrazione. In pratica, l'intera comunità valligiana, con il passare del tempo, andò consolidando un particolare legame nei confronti della miniera, non solo economico ma anche emotivo, motivo per cui al cròso, cioè allo scavo, sovente era attribuito il nome di una famiglia.

Il mineur, aiutandosi con scalpello e piccone, doveva provvedere all’estrazione dei minerali anche a cento metri di profondità dove fatica, pericoli, aria viziata, polvere, umidità rendevano l’ambiente un vero tormento e una minaccia per la propria salute mentre la semioscurità faceva perdere l’orientamento e il senso del tempo. Non sapeva se fuori pioveva o c’era il sole. In certi tunnel soffocava per il caldo in altri gelava. Doveva imparare a vivere con la luce artificiale e con i rumori amplificati dal rimbombo. Anche portare il materiale in superficie, era faticoso e complicato dato che, prima dell’avvento di rotaie e carrelli, si dovevano percorre a carponi i ripidi percorsi.

Il suo soprannome era badula, dal nome dell'attrezzo, una sorta di bilanciere di legno che usava per trasportare i secchi pieni di minerali e che, considerato il peso, lo faceva barcollare e procedere lentamente. Per lungo tempo, causa la mancanza di strade percorribili verso valle, per raggiungere i forni di fusione, il materiale era trasportato, a piedi o a dorso di mulo, soprattutto da donne, verso l'alto Canavese, a Tavagnasco, Quincinetto e Ivrea.

Altra mano d'opera era impiegata nelle fucine costruite lungo il corso del Chiusella, dove si sono avvicendate generazioni di carpentieri e fabbri esperti nel forgiare il ferro e nel fabbricare utensili e attrezzi di uso quotidiano, e pare di sentirne ancora il concerto tra incudini e martelli.

Nel primo Novecento, altre zone minerarie più attrezzate e meglio organizzate, come quella di Capoliveri nell’isola d’Elba o dell’Iglesias in Sardegna, entrarono in concorrenza con quelle piemontesi. Iniziò, così, a un lungo e inarrestabile periodo di declino. Nel 1914, il sito passò di proprietà alle Ferriere Piemontesi del gruppo FIAT. Nel periodo di autarchia nazionale si registrò una rilevante ripresa delle estrazioni mentre, in corrispondenza della Seconda Guerra Mondiale, gli scavi restarono inspiegabilmente fermi. Le attività ripresero solo per un breve periodo per terminare definitivamente nel 1971, non per esaurimento dei giacimenti ma a causa dei costi di estrazione ritenuti troppo elevati. Nella miniera, che per secoli aveva fornito minerali d’interesse industriale e campioni di materiali rari come magnetite, pirite, dolomite, quarzo e altri pezzi pregiati visibili nelle collezioni dei principali musei di mineralogia italiani, a quel tempo operavano regolarmente ancora una quarantina di minatori.

I resti delle strutture e degli edifici minerari, in verità un po' malconci, facilmente localizzabili grazie all’inconfondibile sagoma del piano inclinato utilizzato un tempo per trasportare in superficie i minerali estratti, sorgono poco distante dal centro prealpino caratterizzato da un fitto mosaico di rustici fabbricati con i caratteristici tetti di lose, le scure e sottili pietre tipiche della zona. Tutto intorno, la quiete e la rigogliosa vegetazione del valloncello del torrente Bersella, dove all’ombra di castagni, frassini, querce e ontani tra frutti di bosco, ajucche e valeriana, fanno capolino, improvvise macchie di gigli e orchidee selvatiche.

Il Museo Civico della Miniera di Traversella, aperto da maggio a settembre ogni fine settimana, svolge l’importante compito di custodire il glorioso passato e le memorie che vi appartengono. È gestito dal Gruppo Mineralogico Valchiusella, un gruppo di volontari appassionati di mineralogia che si dedica allo studio del sito, organizza visite guidate e svolge un’intensa attività di divulgazione e di ricerca scientifica.

Il Canavese

È la porzione settentrionale della provincia di Torino posta al confine con la Valle d’Aosta. Il suo centro principale è Ivrea, conosciuta per il carnevale storico e la celebre “battaglia delle arance". Il territorio è vario e articolato, caratterizzato dal profilo dei vicini massicci montuosi alpini e da quello regolare della Serra Morenica, che si estende per venti chilometri da Andrate, in provincia di Torino, fino alle porte di Cavaglià, in provincia di Biella. Austeri castelli e antichi manieri sparsi nella zona rappresentano le testimonianze di un passato ricco di storia, di vicende cruente e di aperti contrasti tra i casati della regione, i Conti San Martino, di Valperga e di Castellamonte.

Numerosi sono anche gli edifici religiosi barocchi che sorgono sia nei centri abitati sia in zone più isolate. La natura è generosa, ricca di parchi, riserve naturali, laghi e corsi d’acqua tra cui l’Orco e il suo affluente Soana, che scorrono nelle omonime splendide vallate. Più ampia e luminosa la Valle di Ceresole Reale che termina con l'imbocco del magnifico altopiano del Colle del Nivolet (2.612 metri slm) a ridosso del versante piemontese del Gran Paradiso. A Sparone, sorgono i ruderi dell’antica roccaforte di Re Arduino, il celebre dignitario che si affacciò sulla scena storica intorno al X secolo, riscuotendo il consenso di ampi strati della popolazione, dei feudatari, della nobiltà e delle forze militari del territorio.

Nella piazza principale di Castellamonte, ridente cittadina medievale nota per i resti della Rotonda Antonelliana, cerchia muraria progettata dal celebre architetto della Mole di Torino, si può ammirare la stufa realizzata da Ugo Nespolo, un richiamo all’antica arte ceramista che ha reso celebre la città. I vini ottenuti dal vitigno Erbaluce, coltivato in una ristretta zona viticola che fa capo al comune di Caluso, arricchiscono l’offerta enogastronomia locale. Il caratteristico nome deriva dal colore che assume l’uva in autunno quando i suoi riflessi diventano più intensi e ambrati.