Quando la nostra libertà viene maltrattata, lesa, offesa ci si aggrappa anche alla più piccola occasione per ritrovare la quiete della mente. Una lettura che rinfranca e dà la speranza che tornino tempi migliori, rinnovati da un cambio d’epoca può essere vitale e foriera di stimoli.

In questi giorni ci è data l’opportunità di riappropriarci degli spazi aperti, di poter ammirare paesaggi primaverili tinti di cieli liberi da aerei, come da decenni non si vedevano, di dedicarci ad un giardino lontano a cui non era più stato possibile tornare per mesi.

Quanto al contatto diretto, sensoriale, istintivo con la natura molto ho appreso dal maestro giardiniere Libereso Guglielmi di cui parlai nel febbraio dell’anno passato in questa rubrica, in occasione dell’uscita postuma per le Edizioni Pentagora de L’erbario di Libereso, una cospicua raccolta di 600 disegni, a matita, acquerello, corredata di suoi appunti, degni di essere fatti conoscere ai tanti appassionati botanici, naturalisti e cultori del giardino naturale.

Ebbene per chi vuole approfondire l’importanza dei temi inerenti al sentimento della natura non può che continuare nel viaggio di conoscenza di questa personalità del mondo verde, leggendo il suo diario, una raccolta dei suoi appunti, delle sue brevi lezioni di agricoltura e giardinaggio che non sono altro che lezioni di vita.

Se il mondo letterario lo conosce per aver frequentato a Sanremo, sua città natale, negli anni ’40 la casa di Italo Calvino, Villa Meridiana, come apprendista giardiniere ed aver ispirato lo scrittore in diverse opere narrative ormai notissime, oggi Libereso Guglielmi torna con la sua penna vivace e leggera a raccontarsi con la semplicità che lo distingueva.

Di intelligenza spiccata e di natura geniale l’autore si racconta nel Diario di un giardiniere anarchico (Pentagora, 2019), partendo dall’imprinting che lo consegnò fin da piccolo ad un’esistenza libera e coraggiosa, soprattutto per i tempi in cui nacque. Erano gli anni Venti del Novecento e, in piena autarchia, la sua famiglia era nota a Sanremo come luogo in cui si riuniva attivamente il gruppo anarchico fondato dal padre Renato Guglielmi e alcuni intellettuali dell’epoca, mentre la madre teneva al femminile gli incontri della Federazione Anarchica Sanremese. Il vegetarianesimo, il pacifismo, l’ateismo e il rifiuto dello Stato e delle forze militari erano le basi del pensiero e dell’azione del gruppo “Alba dei liberi”.

Io sono cresciuto in una famiglia dove la lezione della non violenza era il pane quotidiano. E all’interno del giardino, un orto botanico meraviglioso, dove mia sorella Omnia giocava con l’acqua del ruscello all’ombra di alcune palme dalle foglie a piuma, su una lastra di marmo a caratteri d’oro, era inciso un brano che recitava: “Amare gli umili e gli oppressi, ispirarsi al benessere popolare, il lavoro creatore, maledire i tiranni, glorificare la virtù popolare, e, soprattutto, cantare la rivolta degli schiavi e la solidarietà”.

Le rose e i garofani, colonne portanti del mercato floricolo Sanremese di quegli anni, venivano creati con nuovi incroci, frutto delle ibridazioni fatte in casa Guglielmi e ribattezzati con i nomi di personaggi importanti dell’arte, della letteratura e delle scienze sociali. Una rosa tea dedicata a Gorki, una di color rosso vivo a Giordano Bruno, tra i garofani ricorda uno dedicato a Pasteur, uno rosso sangue a Lenin e uno argenteo a Dante Alighieri.

Nel giardino rivoluzionario dei Guglielmi, dove nacque anche un profumatissimo garofano rosso vellutato dal nome insolito, Cristo proletario, Libereso trasse linfa per germogliare come ragazzo libero, dai piedi scalzi, agile e temerario.

Fu perfino incarcerato per non essersi presentato alla chiamata per prestare il servizio militare, essendo per lui contro natura imbracciare un fucile. La resistenza passiva nel carcere di Savona e Torino, in cui disegnava in uno stato di serenità tale da sorprendere i suoi carcerieri, fece sì che, portato di fronte al giudice e dichiarando di voler servire colei che lo aveva creato, la madre Nina, e non la Patria, ottenne l’assoluzione.

Il suo caso fu di rilevanza nazionale e in una pubblicazione sulla storia dell’obiezione di coscienza in Italia viene definito come “il primo (quasi) obiettore di coscienza anarchico italiano”.

Libereso ricordava spesso, a chi lo interpellava sulla sua vita, un capitolo molto importante della sua esistenza: l’adesione al vegetarianesimo, con profondo affetto ricorda la conoscenza con Fortunato Peitavino, naturista ligure e Antonio Rubino noto disegnatore e suo maestro. Autore del volume Rigenerazione Umana (Sanremo, 1934), Peitavino curò la sua salute e quella della figlia affetta da tubercolosi, con il rifiuto dei farmaci e l’alimentazione vegetariana, la vita all’aria aperta, i bagni di sole, camminando scalzi e dormendo prevalentemente all’aperto. Entrato poi in contatto con il naturismo internazionale e la scuola Naturo-Trafologica di Barcellona, diviene professore in questa materia in Italia e fonda una colonia naturista aperta a tutti, con lezioni di docenti di fama internazionale, dove la vita sana in semplici capanne di paglia costituiva una cura per la mente e il corpo. In seguito, raccontava Libereso, è stata trasformata in un campeggio, Camping delle Rose a Isolabona, gestito dal pronipote Lorenzo mantenendo i principi di semplicità e naturalezza ereditati dal trisavolo.

Quella di Libereso Guglielmi è una vita narrativa, avvincente, non per niente ispirò più volte Italo Calvino nei suoi racconti. Tutti coloro che lo hanno potuto conoscere, ricordano le sue memorabili lezioni di giardinaggio, frutto di sperimentazioni e di un modo di vivere intenso, verace, fatto di viaggi avventura con il figlio Barry in Nepal, esperienze lavorative in Inghilterra, coltivazioni di piante esotiche in Riviera con i coniugi Mario Calvino e Eva Mameli, fondatori della floricoltura ligure nei primi del Novecento… Un gusto tutto particolare è quello, almeno con la fantasia, di riassaporare la compagnia di un anarchico d’altri tempi che meriterebbe stuoli di seguaci…