Quando ho visto per la prima volta una moto, ho ricevuto un messaggio da essa. È stata una sensazione, il tipo di cosa che fa scoppiare in lacrime una persona ascoltando un brano musicale o restando a bocca aperta davanti a un'opera d'arte raffinata. Il motociclismo è uno strumento con il quale puoi realizzare qualcosa di significativo nella tua vita, è un'arte.

E arte lo è davvero basti pensare a come fu insignita del ruolo di emblema ufficiale di quel movimento artistico e culturale che dette una spallata al concetto classico di bellezza per mettere al suo posto la nuova bellezza, quella dell’uomo integrato nella sua tecnologia, il Futurismo.

Per i futuristi l'uomo era non più l'essere umano ma un umanoide, una sorta di minotauro metà uomo e metà macchina, un artificio frutto della tecnologia creata dal nuovo secolo, dalla grandezza intellettiva raggiunta, dalla potenza della velocità che contraddistingueva la marcia più alta nella quale vivere, anche nel quotidiano.

Quindi un elogio alla velocità e cosa altro meglio della motocicletta raffigurava o meglio incarnava questo concetto, niente altro che questo mezzo umano-meccanico che taglia l'aria in due al passaggio veloce sulla strada, una sega circolare potente, la velocità che supera lo stato fisico dell'aria, che ne compatta le molecole fino a renderle materia densa e la taglia.

Gli uomini moto di Depero, Funi, Dottori, Sironi, Dal Monte sono un blocco unico nell'immagine dell'artista ed esprimono potenza, velocità e tecnologia ma attraverso una lettura inequivocabile, l'arte. La velocità è arte, la tecnologia è arte, la moto è arte.

Perciò il concetto espresso nella intervista del 1977 sul Road Rider Magazine rilasciata da un personaggio che ha abbracciato una moltitudine di personalità: motociclista pioniere, pilota di spedizione militare, ingegnere, rivenditore di motociclette, meccanico e istruttore di scuola di motociclismo, autore di un libro Easy Motorcycling Riding, è perfettamente sincrono al pensiero futurista, di moto e arte.

Forse l'anno di nascita del Manifesto futurista e di Theresa Wallach, 1909, ha sublimato lo stesso concetto o più probabilmente entrambi sono il frutto dello stesso periodo, di quel processo di acquisizione di consapevolezza del poter cambiare la storia, del motore che lavora per l'uomo, elimina le sue fatiche, agisce ai massimi regimi produttivi, conseguentemente ne diviene mito e trasposto, arte.

Theresa Wallach racchiude in sé tutte le facce di questo processo innovativo, figlia di un collaboratore della Royal Geographic Society che aveva tracciato le mappe dell’Africa Occidentale all’epoca della ricerca di giacimenti d’oro, cresce con la passione per l'avventura, sognando, rotte e paesaggi che il padre disegnava in quelle terre affascinanti e misteriose. Impara ad apprezzare le motociclette ed a guidarle abitando a pochi passi dalle più importanti ditte produttrici inglesi, Norton, BSA, Triumph e AJS, qui conosce ingegneri e persone che la istruiscono al mondo motociclistico.

Theresa, impara a guidare benissimo e si appassiona a quel mondo diventando ben presto una pilota bravissima, si laurea in ingegneria, unica donna del suo corso, ma quel mondo però la esclude, in quanto donna, in quanto figlia benestante, in quanto facente parte di quell'Inghilterra vittoriana nella quale una ragazza di buona famiglia non poteva aspirare ad altro che un buon matrimonio.

Theresa parte con una amica, Florence Blankiron, anch'essa pilota di moto e parte per attraversare il continente africano, da Algeri a Città del Capo, Sud Africa. Dopo 8 mesi ed oltre 12.000 km l'impresa è compiuta, primi esseri umani al mondo, due donne, ventenni, su una motocicletta Panther 600cc, con sidecar e carrellino tenda porta attrezzature.

Siamo nel 1934, contro ogni aspettativa della società, viene messa una pietra miliare nella affermazione delle capacità della donna anche in un ambito che era considerato esclusivo maschile e Theresa commenta così a chi le chiede il perché di questa avventura:

In un momento della mia vita in cui i principi per una donna venivano imposti da chi non era tenuto a rispettarli preferii affrontare la sabbia del Sahara piuttosto che le dune della società dell’epoca.

Ed oggi? Come viene considerata una donna in motocicletta? Finalmente è stato digerito nel mondo motociclistico il fatto che la donna ne sia parte naturale?

Sinceramente penso che sia esistita in questi anni un’ipocrisia mal celata di una tacita accettazione. Leggendo qua e là nel web articoli vari su donne e motocicletta mi sono imbattuta in una chiacchierata tra una giornalista ed un vate dell'editoria motociclistica ed esperto del settore, il quale racconta di come un giornale in stampa dal 1914 abbia sempre tenuto in considerazione quella fettina di pubblico femminile appassionato alle due ruote.

Ci sono stati periodi in cui il giornale ha dedicato qualche pagina al pubblico femminile. Negli anni Trenta, per esempio, è stato pubblicato un romanzo d’amore a puntate. Negli anni Cinquanta c’era una rubrica per la donna motociclista, con articoli legati a moda e bellezza. Ricordo che negli anni Sessanta pubblicavamo le vignette “Lilli la motociclista”, dove Lilli ne combinava di tutti i colori.

In tutto ciò si evidenzia chiaramente che la donna non è compartecipe e commensale a tutti gli effetti ma è un ospite delicato e forse vacuo a cui non offrire la portata principale, ma del dolce, un po' di frutta fresca e un leggero rosolio, insomma, cose da donna!

Analizziamo poi la donna nelle pubblicità delle moto degli anni '70 e '80, essa incarna uno dei desideri maschili: donne e motori. La si vede (ancora oggi ai saloni internazionali, a cavalcioni di grosse moto, in abbigliamento esplicitamente ammiccante) come complemento attrattivo e stimolante di un erotismo direi neofuturista di donna e motocicletta come rappresentazione del desidero dell'immaginario maschile. La signorina delle pubblicità, in quegli anni in cui il costume della società cambiò emancipandosi verso quel benessere collettivo che ricordiamo, veniva progressivamente spogliata sino all'azzardosa Suzuki che mostrava nella foto pubblicitaria, una bella ragazza bionda che togliendosi la maglietta prima di salire in moto, rivelava il seno nudo.

Oggi ci sono donne campionesse, donne che gareggiano con risultati ottimi, donne che lavorano con la moto e che semplicemente corrono e viaggiano sulle due ruote per piacere. E ora di cambiare registro.

Quindi forza, cari maschietti, fatevene una ragione, le donne in moto sono persone in moto, ce ne sono di brave, di bravissime ma anche di normali guidatrici mosse da tanta passione e volontà, e ci sono come è giusto che sia e hanno il diritto allo stesso spazio che avete voi, perché le motociclette ormai le comprano le donne (1 donna su 5 ha la moto) così come gli uomini. Il mondo motociclistico è global che piaccia o no.

E noi care amiche non imitiamo gli uomini quando andiamo sulle nostre due ruote, non vestiamoci come loro, non mostriamo i muscoli, non diciamo che guidare la moto è da donna con le palle, perché così facendo ricadiamo nella trappola, in quella tela di ragno tessuta per rinchiuderci in un bozzolo, in quel sottoinsieme disegnatoci attorno per cui la moto è da maschio e se guidiamo è per gentile concessione, fu come in origine, quando alcune case motociclistiche come la Hildebrand & Wolfmuller nel 1895, la Singer nel 1903 ed altre successivamente, concessero la possibilità a donne azzardose di poter guidare la motocicletta inventando, la moto a culla aperta così da poterci salire con la ampia gonna in modo da non stropicciarla o rovinarla.

La moto è un’opera di ingegneria meccanica abbinata a molti concetti, artistici, filosofici e psicologici, è l'essere umano che cavalcando la velocità è libero, e queste esperienze non sono esclusive di un genere ma di tutti. La donna ha guidato e guiderà sempre di più la motocicletta, ma non come imitazione dell'uomo, la guiderà con la sua femminilità e prerogativa, con la sua capacità e consapevolezza, col suo essere semplicemente donna.