La storia del pianeta, quale oggi la conosciamo, ci dice due cose fondamentali: la prima, è che sono innumerevoli gli eventi che l’hanno radicalmente trasformata, sia sotto il profilo morfologico che sotto quello delle specie viventi; la seconda, è che l’Uomo non è che un piccolissimo frammento di questa storia, che la sua presenza sulla Terra è - ancora - soltanto un episodio.

La differenza fondamentale è che, per la prima volta nella storia di questa palla vagante nell’universo, c’è una specie animale che è stata straordinariamente fortunata, perchè la sua evoluzione (e quella delle altre specie presenti sul pianeta, nonché quella del pianeta stesso) lo ha messo in una condizione assolutamente unica, cioè quella di modificare radicalmente, in modo volontario e consapevole, il proprio habitat.

Di questa straordinaria opportunità, da un certo punto in poi abbiamo cominciato a fare un pessimo uso, avvelenando ed impoverendo quell’habitat, rendendolo sempre più inospitale, non solo per le altre specie che lo condividono con noi, ma per noi stessi.

Questo pone, dal punto di vista evolutivo, un quesito interessante.

Quel che sappiamo dell’evoluzione, è che essa si determina a partire da due fattori: uno casuale, le mutazioni che avvengono nel DNA quando questo viene trasmesso alla generazione successiva, ed uno ‘deterministico’, ovvero la maggiore o minore efficacia di queste mutazioni, sotto il profilo dell’interesse della specie. In particolare, gli elementi fondamentali che rendono positiva una mutazione genetica, sono un’aumentata capacità di sopravvivenza e, quindi, riproduttiva.

In prima istanza, si potrebbe dire che la specie umana, per quanto sussistano ancora spaventose sacche di mortalità per denutrizione e malattia, si è comunque assicurata una elevatissima capacità di sopravvivenza, persino oltre le mere condizioni ‘naturali’. Grazie alla elevata capacità di produrre cibo, grazie alla elevata capacità di curare e prevenire malattie, grazie alla elevata capacità persino di sostituire ‘pezzi’ dell’organismo non più funzionanti, l’Homo Sapiens ha esteso come non mai la propria possibilità di sopravvivenza. Non per caso, siamo ormai sette miliardi.

Viene però da chiedersi, giunti a questo punto della storia, se questa raffinatissima ed efficacissima capacità di dominio sulla natura è giunta al punto da mettere in pericolo la nostra stessa esistenza in quanto specie, come si comporterà il meccanismo dell’evoluzione?

Ovviamente, non abbiamo alcun punto di riferimento su cui basare delle ipotesi. Nessuna specie animale si è mai trovata in queste condizioni.

Se la proliferazione della specie diventa una minaccia alla sopravvivenza, l’evoluzione favorirà una sua contrazione, ad esempio, attraverso una riduzione dell’arco temporale di fertilità femminile e/o maschile? Se guardiamo ai nostri cugini babbuini, vediamo che quando il branco cresce oltre un certo limite, cresce anche l’aggressività dei suoi membri. Il problema viene alla fine risolto con l’abbandono del branco da parte di alcuni, ristabilendo l’equilibrio. Ma quando non è possibile ‘abbandonare il branco’, perchè il territorio è saturo, e le risorse finite?

Un’altra delle caratteristiche uniche della nostra specie è l’elevatissima conflittualità intraspecifica. Nessun altro animale uccide così spesso, ed in tali quantità, altri appartenenti alla sua specie; anzi, i conflitti vengono quasi sempre risolti in modo incruento, o con pochi danni. Solo gli umani uccidono i propri simili di continuo. Lo fanno singolarmente, per avidità, per gelosia, per paura, e lo fanno in modo esteso, organizzato, per ragioni economiche, religiose o ideologiche - o per un intreccio di tutte queste. Più e più volte, hanno teorizzato e pianificato lo sterminio di altri umani.

Quando le risorse scarseggeranno, quando gli spazi abitabili si ridurranno, sarà la nostra elevata aggressività a fornire lo sbocco ‘evolutivo’ necessario a riequilibrare tutto?

Quale che sia la risposta, di sicuro non sarà né breve né indolore.

Il fattore chiave del nostro successo evolutivo è stata l’indole collaborativa. Quel che, più di un milione d’anni fa, innescò il processo che portò una specie di australopiteco a divenire l’Homo Erectus, fu una eccezionale capacità di cooperare. Da lì nacque il linguaggio, e da questo è nato tutto il resto.

Quella che abbiamo davanti, è la sfida più grande della nostra storia. Possiamo affrontarla da Sapiens, o da babbuini.